Caterina Rigoglioso, una domestica disoccupata, decide di abbandonare il figlio neonato dopo essere stata lasciata dal padre di suo figlio. Il soggetto racconta l’intento del film-lampo realizzato in tempi brevissimi a partire da questo fatto di cronaca.
Dati d’archivio. Collocazione Za Sog R 8 è costituita da un’unica cassetta di 341 pp. sciolte dattiloscritte con note manoscritte (e non 156 come indicato nelle voci d’archivio ACZ che tengono conto solo delle carte di Storia di Caterina), in stato di conservazione discreto, con alcune sgualciture causate dall’usura, suddivise in 6 cartelle. Nella cartella 8/1 sono presenti 4 varianti dattiloscritte di soggetto: A) 1 p., La madre pentita. Titolo provvisorio. Progetto per un film-lampo di Cesare Zavattini, con note e correzioni manoscritte, datato 10 giugno 1952; B) 1 p., [stesso titolo], con nota autografa «Copia del deposito presso SIAE 14/6/52»; C) 2 pp., [stesso titolo], con note e tre firme autografe di Zavattini, e con timbro SIAE datato 14 giugno 1952; D) 2 pp., Introduzione (p. 5), e Caterina Rigoglioso (p. 6), con note manoscritte, e col verso di p. 5 autografo. Ci sono inoltre otto varianti di scaletta, di cui sette dattiloscritte: A) 3 pp., Scaletta potabile; B) 2 pp., Storia di Caterina; C) 7 pp., Scaletta Caterina Rigoglioso; D) 7 pp. (con errata numerazione di pp. 19-20), [stesso titolo], con schizzi manoscritti; E) 5 pp., Scaletta del giorno 6, con correzioni e schizzi manoscritti; F) 6 pp., [stesso titolo] (p. 31) e Scaletta del giorno 28 (p. 33), con note manoscritte, e un disegno sul verso di p. 32; G) 2 pp., Scaletta del giorno 7; e una interamente manoscritta: H) 5 pp., «Presentazione generale…». A queste si aggiungono quattro varianti dattiloscritte di sceneggiatura, non rilegate e con note e correzioni manoscritte: A) 5 pp., «Inserto giornale:…»; B) 5 pp., [stesso titolo]; C) 34 pp., “Storia di Caterina”; D) 34 pp., [stesso titolo]. Vi sono infine tre dattiloscritti: Documentazione (2 pp.), con poche correzioni manoscritte, con un comunicato ANSA sul soggetto; Note di lavorazione (24 pp.), contenenti conversazioni con Caterina Rigoglioso (16-26 giugno 1952) e con altri protagonisti reali della vicenda; Piano di lavorazione (9 pp.), dal titolo La storia di Caterina, che ricalca in buona parte le sceneggiature C e D.
Le restanti cartelle conservano le sceneggiature dattiloscritte degli altri cinque episodi de L’amore in città. Za Sog R 8/2 contiene la sceneggiatura del terzo episodio, Paradiso per tre ore, diretto da Dino Risi (con soggetto dello stesso Risi e sceneggiatura di Zavattini, Aldo Buzzi, Luigi Malerba, Tullio Pinelli, Vittorio Veltroni e Marco Ferreri), di 33 pp. rilegate. Il titolo originale del dattiloscritto è Dancing Astoria, sostituito con il titolo a matita Paradiso per quattro ore (p. 1). Za Sog R 8/3 contiene due sceneggiature del primo episodio, L’amore che si paga di Carlo Lizzani (con soggetto e sceneggiatura di Zavattini, Buzzi, Chiarini, Malerba, Pinelli e Veltroni). La prima consta di 30 pp. rilegate (con un difetto di numerazione dattiloscritta originale da p. 11 a p. 15), mentre la seconda è leggermente più lunga della prima e ne corregge gli errori di impaginazione. Za Sog R 8/4 contiene la sceneggiatura del secondo episodio, Tentato suicidio – con la regia di Michelangelo Antonioni, che firma soggetto e sceneggiatura insieme agli stessi de L’amore che si paga –, di 8 pp. non rilegate, con cancellazioni e aggiunte manoscritte. Za Sog R 8/5 contiene la sceneggiatura del quarto episodio, Agenzia matrimoniale, diretto da Federico Fellini (con soggetto e sceneggiatura di Fellini e Pinelli), di 48 pp. rilegate, con carpetta contenitiva dal titolo provvisorio Agenzie matrimoniali. Za Sog R 8/6 contiene infine la sceneggiatura del sesto e ultimo episodio, Gli italiani si voltano, diretto da Alberto Lattuada (con soggetto e sceneggiatura di Lattuada e Malerba), di 30 pp. rilegate, con carpetta contenitiva. Questa stessa variante di sceneggiatura è presente anche nell’archivio privato della famiglia Malerba a Orvieto, in cui si trova inoltre una versione successiva dell’intera sceneggiatura de L’amore in città.
Il soggetto A presenta la prima variante dell’episodio Storia di Caterina, con il titolo provvisorio La madre pentita. Si tratta della «riproduzione esatta, reale, del processo per direttissima di quella serva disoccupata, […] resa madre da un individuo che la lasciò subito. Questa Caterina Rigoglioso non sapendo come provvedere alle necessità del neonato, decise di abbandonarlo all’anonima cura della società» (soggetto A, p. 1). Zavattini espone programmaticamente i caratteri fondamentali: «la assoluta rapidità di esecuzione […] del testo, che è un vero testo inchiesta […]; la necessità di aderire fedelissimamente alla cronaca […] impegnare i protagonisti dell’accaduto quali protagonisti del film» (p. 1). La variante si chiude con riferimenti precisi al processo di Caterina Rigoglioso (p. 2).
Il soggetto B integra tutte le correzioni e aggiunte manoscritte di A. Una nota autografa in prima pagina specifica: «Copia del deposito presso SIAE 14/6/52» (soggetto B, p. 2). La copia ufficiale per la SIAE è in effetti il soggetto C (come possiamo verificare dal timbro in prima pagina), che risulta identico al B sin nelle minime correzioni a penna, la più rilevante delle quali è la sostituzione di «realtà» in favore di «libertà», nella frase: «l’unica libertà fantastica [dell’episodio] sarà scegliere e cucire insieme le varie notizie per individuare la precisa verità dell’avvenimento» (p. 3). Questa variante è già stata pubblicata da Caldiron, che integra le correzioni e aggiunte manoscritte ma sostituisce il titolo provvisorio La madre pentita con il definitivo Storia di Caterina (Zavattini 2006, p. 162).
Il soggetto D è composto da appunti e propositi sui temi rilevanti, in cui Zavattini prende le difese morali della protagonista, la quale «ha commesso anche degli errori […]; ma che alla fine merita ugualmente la nostra più calda comprensione» (soggetto D, p. 5). La seconda pagina presenta un’ulteriore variante di soggetto, senza alcuna nota manoscritta, eccetto il titolo Caterina Rigoglioso. Anche tale variante professa l’adesione alla «cronaca vera» (p. 6), riassumendo brevemente la vicenda di Caterina, costretta, per gravi ristrettezze economiche, ad abbandonare il proprio figlioletto in un parco, per poi pentirsene amaramente.
Per quanto riguarda le scalette, la variante A descrive a grandi linee l’arrivo in città dalla provincia di Caterina, la sua povertà che la costringe a dormire all’aperto nei prati circostanti Cinecittà, l’affidamento del proprio figlioletto a una balia del Ferentino, per giungere poi all’abbandono del bimbo in piazza Ungheria. Qui Zavattini stila diversi temi sociali da toccare: «Introduzione alle ragazze che vengono dalla provincia. […] Blocco documentario sugli uffici di collocamento per domestiche. […] i brefotrofi visti da loro» (scaletta A, pp. 7-8).
La scaletta B presenta un minor numero di scene scritte in modo più approfondito: si parte con l’imbarco di Caterina a Messina, poi il suo arrivo a Roma dove trova lavoro «come orlatrice in via della Stelletta» (scaletta B, p. 10). Nella scaletta B si delinea la storia di Caterina: dal suo innamoramento con Pino alla sua “fuga d’amore”, dal foglio di via consegnatole dai carabinieri fino alla visita medica che certifica la sua gravidanza, dalla sua vita col neonato presso le Mantellate fino all’affidamento del piccolo a una balia. Compare anche un’amica di Caterina: «Donata, un’altra come lei sedotta e abbandonata» (p. 11). La scaletta si interrompe appena prima dell’abbandono del bambino (p. 11).
A partire dalla variante C, le scalette cominciano ad assumere la struttura della versione filmica finale. L’incipit è all’alba, con «Caterina [che] si sveglia in un prato presso Cinecittà» (scaletta C, p. 12). Nella scaletta C vengono innestate alcune scene poi però abbandonate, ad esempio presso l’Ufficio di collocamento domestiche o la visita di Caterina a Donata (p. 16). Si ritrovano invece nel film l’abbandono del bambino presso il «prato di via Panama» (p. 17), i titoli di giornale del mattino dopo che gridano alla «Madre snaturata» (p. 18), e la mesta autodenuncia di Caterina presso l’Istituto Maraini. La scaletta D è una copia di C, con disegni e annotazioni a matita di Zavattini, tra cui un elenco di ambientazioni previste per l’episodio (scaletta D, p. 25).
La scaletta E è divisa in due parti. Le prime due pagine (pp. 26-27) costituiscono una scaletta di 30 scene telegrafiche, iniziando con la partenza di Caterina da Palermo per Roma (scaletta E, p. 26). Le scene 10, 11 e 12 – incentrate sulla gravidanza di Caterina presso Casa Salvatorelli (p. 26) – sono cancellate a matita, e riassunte a margine con la dicitura «Speaker», forse quindi destinate al commento della voce fuori campo. A differenza delle scalette C e D, questa inserisce la sequenza 28 dopo l’abbandono del bambino: «Da Donata; consigli indiretti; partita a dama» (p. 27), che precede l’epilogo finale. La seconda parte (pp. 28-30) è in effetti un’ulteriore incompleta variante di scaletta, non più numerata, che si ferma al momento in cui «le guardie le fecero il foglio di via […] e la rimpatriarono. A Palermo» (p. 30). Qui il tono è più giornalistico e si apre con le frasi: «Quante ragazze arrivano a Roma? […] molte fanno le domestiche. […] ce ne sono 20.000. Ogni tanto qualcuna si butta giù dalla finestra […]; qualche altra finisce sui marciapiedi. […] Anche Caterina Rigoglioso come tante altre un giorno è stata sedotta […] ed è incinta di due mesi» (p. 28). La scaletta F appare identica alla E, con l’aggiunta di un suggestivo disegno di due volti a matita: uno laterale di ragazza, e uno semifrontale di un personaggio demoniaco (p. 32).
La scaletta G si presenta come un’ulteriore variante, con sole cinque scene corpose, ed è incompleta, limitandosi a descriverci l’arrivo a Roma di Caterina – presentataci come «una ragazza di diciassette-diciotto anni, piccola, minuta, bruna, molto simpatica» (scaletta G, p. 37). La quinta e ultima sequenza è una denuncia sociale: «Nascono così 3845 figli illegittimi all’anno» (p. 38). La H è infine una scaletta manoscritta delle principali scene del film, e si interrompe con una frase sospesa: «Ritorna da Pino di cui è innamorata; convive con lui finché un giorno…» (scaletta H, p. 43).
Passando infine alle sceneggiature, la variante A è incompleta, con molte aggiunte manoscritte. Si apre ad abbandono già avvenuto, con Caterina che, in preda al rimorso, si presenta all’Istituto Maraini, dove suor Teresa – personaggio non presente nel film – le chiede conto della sua azione disperata (sceneggiatura A, p. 45). Anche la sceneggiatura B è incompleta, integrando però le cancellazioni e aggiunte manoscritte della A, e chiudendosi con una singolare e interessante annotazione che riporta il pensiero in prima persona di Caterina (sceneggiatura B, p. 53). Le varianti C e D – identiche tra loro – sono copie dattiloscritte della sceneggiatura completa dell’episodio, con poche note manoscritte, e recanti il titolo definitivo Storia di Caterina, suddivise in 25 scene e 129 episodi, che si aprono con «una serie di immagini fotografiche che […] rappresentano tutti i luoghi drammaticamente importanti della sua vita [di Caterina]» (sceneggiatura C, p. 54). Tale excursus è accompagnato da un dettagliato antefatto dello speaker, con alcuni elementi nuovi quali il parto di Caterina sulla via Casilina (p. 55), e la sua degenza all’Ospedale di Zagarolo (p. 56). Dalla scena 1 in avanti, la sceneggiatura C risulta piuttosto fedele all’episodio filmico, con eccezione dell’intera scena 4, assente nel film, con Caterina in un’agenzia di collocamento (p. 61). Dopo una notte trascorsa dalla balia al Ferentino, Caterina si reca al Centro illegittimi di Roma, dove un impiegato (che nel film diventerà una matura impiegata) le dice che occorrono però accertamenti. Mancano nel film anche le scene 15 e 16, in cui Caterina si reca nell’appartamento dove è a servizio l’amica Donata, giocando con lei una partita a dama (p. 77). Benché Donata non sia presente nel film, a ben vedere tuttavia il (mai nominato) personaggio femminile della pensione del film racchiude appunto i caratteri dei personaggi di Donata e Italia, alla quale Caterina si rivolge (senza successo) – nella sceneggiatura C – in cerca di un posto dove alloggiare (p. 60). Il finale della sceneggiatura C si discosta da quello dell’episodio filmico, raffigurando Caterina che «adesso ha un lavoro regolare [accudisce dei bambini], presso il preventorio di Velletri» (p. 87).
Pubblichiamo nel volume il soggetto C e la scaletta C, mentre online il soggetto A.
L’amore in città è nelle intenzioni di Zavattini un “periodico filmato” su temi d’attualità, secondo i canoni del neorealismo: «il film è stato un esperimento che ha affrontato per la prima volta un gran numero di problemi […]. Si tratta di una collaborazione totale come mai prima d’ora» (Zavattini 1954d, p. 2). Ricorda Lattuada: «Abbiamo convocato alcuni registi, grazie all’iniziativa di Zavattini, e abbiamo detto: “Se vuoi fare un film, senza vincoli, […] sei libero di filmare anche il volo di una mosca, […] Gratis, come prezzo della libertà. L’idea era di fare ogni sei mesi Lo Spettatore, una rassegna cinematografica che sarebbe andata in onda regolarmente […]. Un tema unico, con sviluppi diversi» (Lattuada, in Faldini, Fofi 1979, p. 243).
Il primo abbozzo di soggetto dell’episodio Storia di Caterina risale a inizio giugno 1952, quando Zavattini assiste in prima persona «al processo della Rigoglioso […]. Ieri ho avuto l’idea (vecchia mia idea rinfrescata, aggiornata) dei film lampo, i film che ricostruiscono coi protagonisti un fatto di cronaca, il reale del reale massimo possibile. Deposito idea. Sono felice. Sto per proporla con lettera a Rossellini» (Zavattini 2022a, p. 460). In una lettera del 10 giugno, Zavattini parla infatti a Rossellini di «un’occasione veramente straordinaria […] della serva madre che ha abbandonato il proprio figlio di un anno e mezzo per andarselo a riprendere il giorno dopo» (Zavattini 2005b, p. 224), proponendogli di «raccontare il più documentariamente possibile gli ultimi giorni […] della donna prima della sua triste decisione, e poi il resto al processo odierno. […] bisogna che sia proprio Caterina Rigoglioso la protagonista del film con il suo bambino. […] diamo un’altra prova della vitalità del neorealismo […]. Questo film che si potrebbe incominciare a girare davvero tra una settimana per finirlo entro luglio, sarebbe il primo di una serie di film lampo» (p. 225). Con tutta probabilità la risposta di Rossellini fu negativa, da qui la scelta di Citto Maselli: «propongo il tutto a Maselli […]. Espongo la mia idea facendo vedere anche possibilità serie di film lampo e capiscono benissimo e subito […]: devo fare il testo in 15 giorni di Caterina Rigoglioso […], la struttura oramai c’è, bisogna mutare gli episodi con l’esperienza fisica, viva, dei pedinamenti veri» (Zavattini 2022a, p. 461).
Un passaggio cruciale nella genesi del soggetto si ritrova nelle conversazioni intrattenute da Zavattini con la stessa Caterina Rigoglioso, a partire dal 16 giugno 1952. Dopo aver trovato lavoro come orlatrice a Roma, Caterina aveva incontrato Pino, venendo ospitata da lui per un paio di settimane, durante le quali si era assentata dal lavoro, come testimoniato a Zavattini dalla responsabile dell’orlificio. Un imprecisato testimone di San Cesareo riferisce invece a Zavattini il rocambolesco parto di Caterina, avvenuto lungo la via Casilina nei dintorni di Roma, mentre la giovane viaggiava su una corriera diretta a Colleferro. Tra le testimonianze più evocative raccolte da Zavattini, troviamo senza dubbio le confidenze di Caterina, ad esempio quella relativa al suo “smarrimento” e profondo pentimento subito dopo l’abbandono del figlioletto. Sebbene Zavattini reputi Caterina la più attendibile testimone degli avvenimenti, allo stesso tempo egli si mostra cauto nel credere incondizionatamente alla versione dei fatti della giovane (Zavattini 2022a, p. 474). Una testimonianza non meno preziosa è quella che Zavattini raccoglie dalla voce dell’avvocato Taddei, difensore di Caterina nella causa processuale. Il caso suscita un profondo scalpore nell’opinione pubblica, testimoniato da diverse pagine di cronaca che seguono l’intero processo e raccontano la disperata situazione della giovane (Gisaldi 1952).
Per ricostruire l’iter di scrittura di Storia di Caterina torna utile la corrispondenza tra Zavattini e la casa di produzione Astra Cinematografica che inizialmente si fa carico dell’idea. Questa gli richiede di «rimanere nell’atmosfera vera del film [e di] far presente il particolare trattamento che verrà fatto alla madre, compenso e percentuale». È Zavattini a informarci che «questo film, che ha il titolo (provvisorio) Pietà per Caterina, sarà il primo di una serie di film basati esclusivamente su fatti di cronaca […], perché il cinema italiano tende naturalmente ad occuparsi dei casi della gente vera […] potremmo chiamarlo film-lampo. Infatti esso sarà pronto nel giro di due mesi». L’idea del “film-lampo” torna a più riprese nelle riflessioni teoriche zavattiniane del periodo: «Questo tipo di film […] nasce dal mio vecchio desiderio di adoperare il cinema per conoscere ciò che succede intorno a noi, ma in modo diretto e immediato […]. Ho sempre provato una specie di ripugnanza a commuovermi per i personaggi fittizi quando esistono personaggi veri che reclamano in un modo più urgente la nostra commozione e quindi la nostra solidarietà. […] Credo che la realtà […] abbia una forza di convincimento, di suggestione, di comunicativa che ancora non abbiamo saputo sfruttare» (Zavattini 2002c, p. 711). Tuttavia, i produttori sono titubanti: «Seduta all’Astra. Capiscono oggi bene che cos’è il film lampo, come il farlo presto, subito, economico, libero da impacci formali pertanto, sia la condizione, anche morale, del film lampo. Ma hanno paura a farlo perché la Rigoglioso è poco simpatica e il suo provino è venuto male […]. Dico che per me è sempre venuto bene, che io ho fede nella commozione delle cose vere essendo sempre più vicino al vero la Caterina che si rifà (non da attrice, ma da donna che si rifà) che un fatto immaginato» (Zavattini 2022a, p. 465). L’amore in città verrà prodotto infine dalla Faro Film. Nelle ultime fasi di scrittura, Zavattini riflette su scelte pratiche: «Dovrei perdere più tempo a approfondire miei concetti neorealismo, sento la loro modernità. […]; prefazionare pezzo Antonioni […]; dare pezzo Lizzani nuovo carattere inchiesta» (p. 494). L’episodio di Caterina doveva essere diretto da Maselli assieme a Zavattini, ma quest’ultimo, dopo la prima giornata di riprese, lascia la regia al solo Maselli. La scelta è motivata da Zavattini nel Diario cinematografico del 27 giugno 1953: «siamo stati a “girare” in via Panama con Caterina Rigoglioso nel prato dove lei passò in lacrime la notte del pentimento. […] Caterina sdraiata per terra piangeva non tanto per ubbidire al regista ma perché soffriva davvero a rifare la scena del suo errore. […] Guardavo Maselli mentre carrellava e il muoversi del carrello mi pare come il respiro, ciascuno ha un suo respiro, così ogni altra cosa di un film; […] non si può respirare nello stesso modo in due, la regia deve essere una» (Zavattini 2002c, p. 149).
Il film collettivo L’amore in città viene concepito – nei suoi intenti e nella sua forma – come il primo numero di un “giornale filmato” o, meglio, di una «rivista cinematografica» dal titolo «Lo spettatore», «diretta da Cesare Zavattini, Riccardo Ghione, Marco Ferreri». La pellicola esce nel 1953: nonostante il poco fortunato esito commerciale, non manca di suscitare dibattiti e polemiche. Ai critici dell’epoca non sfugge il peso preponderante assunto – nell’intera economia del film – dall’episodio di Maselli e Zavattini: «La Storia di Caterina è senza dubbio la migliore del film, la più sconvolgente […] di tragica intensità» (D’Yvoire 1957, n.n., trad. ns.). In un’intervista rilasciata a Fernaldo Di Giammatteo, Zavattini afferma che «la finalità generale [de L’amore in città] è quella di fare un esame della società moderna al vaglio della creatura umana. Per me è realismo anche questa violenta andata verso le persone vere, fatti veri persone vere […] questa esplorazione nei fatti dell’uomo, di andare a scoprire tutti i suoi rapporti di solitudine e di moltitudine assumendoli a dignità di racconto» (Zavattini 1954d, pp. 2-3). Nell’intenzione di Zavattini, l’episodio di Caterina assurge a banco di prova del neorealismo e dei suoi limiti: «Qualcuno ha detto che è “mostruoso” far ripetere a Caterina Rigoglioso il suo gesto. Ebbene, è proprio questa reazione risentita che denuncia una paura di guardare sino in fondo la verità […] anche con mezzi crudeli, per mettere in grado gli uomini di prendere delle risoluzioni». E ancora: «il neorealismo è un movimento semplificatore, in quanto affronta gli argomenti base dell’umanità […]. L’amore si scompone in una miriade di manifestazioni». L’intera operazione de L’amore in città appare però per Guido Aristarco (1954, p. 27) una «personale esasperazione del neorealismo da parte di Zavattini», utopistica e antistorica: lo stesso direttore di «Cinema Nuovo» tuttavia apprezza l’episodio Storia di Caterina per la sua urgenza espressiva, che supera la cronaca per «il documento, [che] assume la forza di una tragedia moderna» (p. 28).
La critica d’oltralpe, ben rappresentata da André Bazin, distingue tra una generale non riuscita del film collettivo, con la sua eterogenea e confusa disuguaglianza di poetica e di efficacia tra i vari episodi, e l’eccezione positiva del solo episodio di Storia di Caterina, salutato come la più convincente applicazione dei dogmi neorealisti zavattiniani (Bazin 1957). In effetti, l’episodio è un autentico esperimento cinematografico, sintesi del cinema di pedinamento e del futuro cinema d’inchiesta, rivendicati da Zavattini anche nel convegno di Parma sul neorealismo del dicembre 1953.
La disomogeneità rilevata da Bazin e da altri (Kezich 1953a) è riconosciuta dallo stesso Zavattini: «l’errore fu quello di non creare tra tutti i collaboratori una unicità di intenti» (Zavattini 1954d, p. 2).
Ma le critiche talvolta raggiungono l’acredine, come nel caso di Umberto Barbaro: «Amore in città è un film non riuscito. Zavattini […] ha creduto di far procedere il cinema italiano, di fargli fare un passo avanti per la via del realismo. Mentre, in realtà, lo ha fatto retrocedere e scadere sul piano del naturalismo» (Barbaro 1953, p. 3). Per la rivista «Bianco & Nero», L’amore in città è un film «orrendo […], di stupefacente cattivo gusto, di nessuna intelligenza, di torbida crudeltà. […] quelli su Caterina Rigoglioso sono infatti non soltanto brani di scadentissimo cinema ma paurose testimonianze di una totale inciviltà morale. […] tutto è talmente retorico e melodrammatico, da far apparire falsa questa dolorosissima e pietosa realtà». In un’intervista rilasciata a «Cinema Nuovo», anche Caterina Rigoglioso non mancherà di lamentare come «la realtà fosse molto più complessa di quanto non appaia nel film» (Martini 1954, p. 117). Zavattini ritornerà più volte su Storia di Caterina, ad esempio nel lucido riesame critico confidato a Lorenzo Pellizzari in un’intervista del 1962: «L’intuizione era di primissimo ordine. […] Era una carica di verità di quei film-lampo, era un riproporci un certo fatto per conoscerlo meglio nella sua vera costituzione, nella sua genesi morale e sociale. […] È avvenuto che con Caterina Rigoglioso ho fiutato una verità diversa da quella che mi diceva Caterina. […], ma ho voluto fare di lei l’eroina a una dimensione, quindi ho tradito qualche cosa» (Zavattini 1962c, p. 66).
LL