Nel 1942 Giovanna e Antonio si sposano, e lui deve partire per la guerra in Russia. Antonio non torna, ma Giovanna – tenuta a distanza dalla famiglia di lui per la differenza di classe – è convinta che il marito sia vivo. Nel 1953, alla morte di Stalin, Giovanna va in Russia, dove ritrova Antonio, che però si è fatto una nuova famiglia. Lei torna in Italia, disperata, prostituendosi per ripicca. Antonio però torna, e le racconta l’orrore vissuto in guerra, finché Giovanna non lo convince a tornare dalla sua nuova famiglia.
Dati d’archivio. Collocazione Za Sog R 28/1-4 è costituita da 1008 pp., in 1 cassetta, suddivisa in 4 cartelle. La cartella 1 contiene 4 varianti di soggetti: A) 11 pp., Giovanna, manoscritto, e in parte in fotocopia; B) 5 pp., Giovanna. Soggetto cinematografico, dattiloscritto con note manoscritte; C) 11 pp., «Caro De Sica, caro Ponti», dattiloscritto con note manoscritte, datato «26.7.67»; D) 38 pp., Giovanna, dattiloscritto con note manoscritte, datato «28.12.67». La cartella 2 contiene 2 varianti di trattamento dattiloscritte: A) 106 pp., Giovanna, datato «18.1.1968»; B) 105 pp., Italiano, Giovanna, con note manoscritte, datato «18.1.68», ma «con finale corretto [il] 10 maggio 1968». La cartella 3 contiene 4 varianti di sceneggiatura dattiloscritte con note manoscritte: A) 123 pp., I girasoli, datata «1 aprile 69»; B) 218 pp., [stesso titolo], con il sottotitolo «prima stesura sceneggiatura di T.G. [Tonino Guerra]», datato «24.2.1969»; C) 189 pp., [stesso titolo], datato «25 aprile 1969»; D) 210 pp., [stesso titolo], datato «27 maggio 1969».
Il soggetto A racconta di Giovanna e Antonio che si sposano a Napoli nel 1941: «lei è una popolana, lui un avvocato» (p. 1). Subito dopo il matrimonio (osteggiato dalla famiglia borghese di lui), Antonio parte per la campagna italiana di Russia con l’Armir, risultando poi disperso. Nel 1953, con la morte di Stalin, Giovanna si reca in URSS, e qui trova Antonio, il quale nel frattempo ha trovato lavoro da minatore, e si è unito con una ragazza russa, avendo da questa due figli. Antonio tenta in qualche modo di giustificarsi con Giovanna, raccontandole dell’orrore della guerra vissuto in prima persona, ma, disperata, Giovanna riparte col treno.
Il soggetto B ricalca A, ampliandolo. Il matrimonio iniziale tra Giovanna e Antonio viene ora “avanzato” di un anno: nel 1942. È il soggetto che pubblichiamo. Tra i personaggi troviamo ora la madre di Antonio. A differenza che in A, quando in B Giovanna ritrova Antonio. Tornata in Italia, Giovanna mente alla madre di Antonio, e si dà alla prostituzione, scatenando l’ira della madre di lui. Una sera Giovanna riceve l’inaspettata visita di Antonio, venuto a raccontarle «le sue incredibili sofferenze» (p. 15) vissute in guerra», ma lei lo convince a tornare in Russia.
Il soggetto C – inserito in una lettera di Zavattini a De Sica e Ponti del 26 luglio 1967 – ricalca e approfondisce A e B. Qui la protagonista si chiama Maria. Finita la guerra, per anni Maria cerca notizie di Antonio da un ufficio all’altro, consulta per!no dei sensitivi. In C troviamo per la prima volta i personaggi dello spasimante di Maria e del reduce, poi ampliati nelle varianti successive; viene inoltre ipotizzata la presenza di un figlio dei due protagonisti Maria e Antonio (p. 22). Antonio si è fermato in Russia dopo «l’esperienza della sconfitta, del disastro [senza] più fiducia in niente, neanche in se stesso […] disposto a vivere come un albero» (p. 24), e ha due figli piccoli.
Nel soggetto D – anch’esso inserito in una lettera a Ponti (del 28 dicembre 1967) – gli eventi vengono narrati attraverso una serie di flashback “ricordati” dalla protagonista (Giovanna) nel suo viaggio di ritorno in treno dalla Russia. Lei fa la cucitrice, lavorando anche in una fabbrica di conserve alimentari. Come in C, Antonio in Russia ha due figli. Ritroviamo inoltre lo spasimante di Giovanna, Enrico, al quale lei finisce per cedere, senza amore. Come in B, anche qui Giovanna si dà alla prostituzione. In D compaiono inoltre diversi personaggi inediti: la sorella di Antonio – la quale prova «scetticismo e avversione per Giovanna» (p. 42) –, la sorella e il padre di Giovanna, un’anziana domestica di Giovanna. Il finale di D ricalca B, con Antonio e Maria che – dopo un’ultima notte di passione insieme – si separano definitivamente.
Il trattamento A ricalca il soggetto D, a partire dalla serie di ricordi nella mente di Giovanna, sul treno che dalla Russia la porta verso casa. Giovanna lavora da «operaia in una fabbrica di conserve» (p. 14). Al ritorno del treno coi reduci, Giovanna ritrova un soldato che ha combattuto in Russia con Antonio. Compaiono nel trattamento per la prima volta i girasoli, carichi di valenze simboliche. La moglie russa di Antonio si chiama Mascia, si perde il personaggio dello spasimante, e troviamo invece due sorelle di Giovanna. Il trattamento A termina come il soggetto D. Il trattamento B è uguale ad A, salvo che nel finale, in cui Giovanna dopo il loro incontro amoroso finge di non amare più Antonio: è una finzione per convincerlo a tornare in Russia senza ripensamenti.
La sceneggiatura A – incompleta – abbandona la cornice narrativa del viaggio di ritorno in treno, aprendosi invece con Giovanna in un campo di girasoli in Russia, accompagnata da un «funzionario governativo» e da «una contadina bionda» (p. 4). Iniziano così i ricordi di Giovanna, cioè i flashback già presenti nelle varianti precedenti: dall’incontro amoroso in una spiaggia napoletana tra lei e Antonio (elettricista di Ferrara), fino al loro matrimonio. Troviamo anche la sequenza di Antonio che si finge pazzo per evitare la chiamata in guerra (uno stratagemma che ricorda quello di Ulisse nell’Iliade). La sceneggiatura B ripropone un “primo tempo” che ricalca la A, con alcune modi!che, tra cui una sequenza inedita, ambientata a guerra finita da anni in una spiaggia dell’Adriatico, dove Giovanna rivendica a un tedesco un maiale rubatogli dai soldati nazisti «nel quarantaquattro» (p. 188). Una ellissi suggerisce il viaggio di Giovanna in URSS. Nel secondo tempo della sceneggiatura – si riprendono i trattamenti A e B, con variazioni. Dal personaggio dello spasimante (che ora si chiama Ettore) Giovanna ha un figlio di tre mesi, di nome Antonio; Giovanna lavora in una fabbrica di manichini a Milano; e confessa alla suocera la verità sulla nuova vita di Antonio. In questa sceneggiatura compare inoltre il personaggio della prostituta che avvicina Antonio alla stazione di Milano (che entrerà nel film), e la palazzina di periferia in cui abita Giovanna è proprio in «Piazzale Ambrosio Giovagnoli, 42» (p. 298). I due amanti si rifugiano poi in un tram fermo e vuoto, e meditano una fuga insieme, ma alla fine Giovanna, disperata, rinuncia ad Antonio.
La prima parte della sceneggiatura C ricalca grossomodo la prima parte della A, mentre la seconda ricalca invece la seconda parte della B. Qui i due figli di Antonio e Mascia si chiamano Katia e Nikita, e la donna russa racconta a Giovanna come lo ha salvato dalla neve. In una sequenza inedita Antonio si trasferisce con la nuova famiglia a Mosca. Nel finale della sceneggiatura C Antonio riparte dalla stazione di Milano al mattino presto, sotto gli occhi piangenti di Giovanna e del suo figlioletto. La sceneggiatura D ricalca la C, anche nel finale, però Antonio non viene più da Ferrara, bensì da «Bereguardo, vicino a Pavia» (p. 205), e si aggiunge un episodio comico: l’indigestione di frittata dei due giovani sposi. In termini genetici, grazie anche alle datazioni riportate nelle varie sceneggiature, la successione delle varianti di sceneggiatura è quindi: B, A, C e D.
Pubblichiamo nel volume il soggetto B, e online i soggetti A, C e D, e i finali dei trattamenti A e B.
L’origine de I girasoli va individuata in un primo soggetto scritto da Zavattini nel 1967, intitolato Giovanna, in cui «la protagonista è una povera calabrese alla ricerca del marito in Svezia, Paese dove lui era emigrato per lavorare in miniera. La donna […] in!ne conosce la nuova moglie di lui con la figlioletta […]. Tra le due donne nasce però subito un’intesa profonda: sino a quando lei se ne fugge via, dopo aver rivisto l’ex marito» (De Santi 2003, p. 160). Ricordiamo tuttavia che qualche anno prima Zavattini scrive una storia simile, ambientata tra il Messico e la frontiera americana (Braceros, 1958, ora raccolta tra i soggetti mai realizzati), che termina però con l’uccisione del bigamo da parte della prima moglie (Zavattini 2022b, pp. 267-271). Zavattini ipotizza anche di spostare l’ambienta zione dalla Svezia al Belgio, mentre il produttore Carlo Ponti suggerisce di virare verso «dei soldati italiani combattenti in territorio russo nel corso della seconda guerra mondiale» (De Santi 2003, p. 161). Il 26 luglio 1967, in una lettera Zavattini riferisce di aver «provato l’idea di Ponti di trasferire in Russia […] la storia della donna abbandonata. […] Ho interrogato qualche persona sul tema generale dei prigionieri in Russia e letto in proposito una relazione fornitami dall’Associazione Italia-Urss». Zavattini allega alla lettera il soggetto C, che «non dovrebbe differenziarsi molto dalla versione del Belgio. C’è la sposa russa, c’è un bambino di sei, sette anni e un bambino nato da pochi mesi. C’è la finzione di Maria che si presenta come sorella, tutto quello che ho già descritto, e che va tradotto nei termini geografici, di costume e di significato in russo». A metà agosto 1967, l’ambientazione svedese non è stata tuttavia del tutto abbandonata, come possiamo supporre da due viaggi a Stoccolma di Zavattini fra il 5 e il 30 settembre 1967 (Zavattini 2023, pp. 170-171). Nel novembre 1967, in occasione nel cinquantenario della Rivoluzione d’ottobre, Zavattini va poi a Mosca (p. 172): «il mio viaggio in Russia ha un preciso valore di verifica e perciò quando tornerò saremo in grado di decidere definitivamente quale dei due films sarà meglio fare» (Cecchini 1968). Al ritorno di Zavattini si decide per l’ambientazione russa, e a fine dicembre è pronto il soggetto D, concepito come «una versione interlocutoria» in vista della variante definitiva. Il 18 gennaio 1968 Zavattini ha già approntato il trattamento A. Il 1° aprile invia a Ponti «il sunto di Giovanna da stampare per il copyright. Non è un capolavoro letterario ma credo che serva allo scopo». Il 10 maggio è pronto il trattamento B. Alla scrittura della sceneggiatura, che si protrae da febbraio fino a maggio 1969, lavorano Zavattini, Tonino Guerra e lo sceneggiatore georgiano Georgij Mdivani, che farà anche l’aiuto regista, più che altro come uomo di fiducia della «nomenklatura sovietica» (De Santi 2003, p. 160).
Le riprese de I girasoli, effettuate da fine giugno a fine luglio 1969 a Mosca e in Ucraina, sono meticolosamente restituite dalle lettere di De Sica alla figlia Emi (De Sica 2014). Zavattini verso metà gennaio 1970 assiste a una visione preliminare del film, che però non lo lascia soddisfatto: pur ravvisandovi diversi elementi positivi, quali «la ideologia, i sentimenti del film semplici, popolari, contro la guerra e contro il fascismo, la interpretazione eccellente di Sofia e Marcello», Zavattini lamenta l’eccessiva lunghezza del film, ed è dell’idea «che il montaggio dei ricordi vada meglio elaborato»
I girasoli (De Sica, 1970) è una coproduzione italo-francese-sovietica, che vede coinvolti Ponti e Arthur Cohn, ed esce nelle sale il 13 marzo 1970. Il film ricalca la sceneggiatura D, abbandonando tuttavia l’incipit nel campo di girasoli in Russia, in favore di una sequenza iniziale ambientata a Milano, con Giovanna (Sophia Loren) alla ricerca di notizie del marito presso il ministero della Difesa, con la madre di Antonio (Anna Carena) che mostra verso di lei un atteggiamento amorevole. Come in sceneggiatura, il film adotta una narrazione a flashback, Antonio proviene da un paese di campagna del Nord Italia, e ritroviamo anche la gag dell’indigestione di frittata. Il film presenta talune scene inedite, come ad esempio quando i due sposi, durante la loro luna di miele, vengono colti dal bombardamento di un ponte lì vicino. Di fronte a Maša (Ljudmila Savel’eva), Giovanna non si spaccia per sorella di Antonio, inoltre non diventa prostituta, ma lavora come il suo nuovo compagno in una fabbrica, e ha avuto un figlio. Nel finale, il film riprende fedelmente la sceneggiatura D, con Antonio che riparte sul treno mentre Giovanna piange.
All’uscita nelle sale, non sfuggono alla critica gli squilibri del film, che ricorre «alle facili risorse del sentimento» e appare inverosimile in soluzioni narrative come il «miracoloso» (Solmi 1970, p. 122) ritrovamento di Antonio da parte di Giovanna in URSS, nonché gli eccessivi salti temporali, o il contrasto manicheo tra la rappresentazione dell’Unione Sovietica e quella dell’Italia: là tutto è «tinteggiato di rosa» (Bianchi 1970, n.n.), «con bambini sorridenti e abitanti premurosi e gentili; qui [in Italia], la metropoli lombarda è vista senza molta simpatia, con una stazione ferroviaria in sciopero, un impiegato che legge fumetti pornografici e una prostituta che dà il benvenuto ad Antonio» (Solmi 1970, p. 122). Tuttavia, il film viene salutato come «un’opera onesta, […] di indubbia dignità, naturalezza e sincerità» (p. 122), e la critica apprezza l’interpretazione di Sophia Loren, grazie alla scrittura di Zavattini, il quale «ha sempre scritto copioni adatti alla personalità della Loren» (La Ferla 1969, p. 34), «su misura per mettere in rilevo le [sue] doti più genuine» (Solmi 1970, p. 121). Intorno al film si consuma una battaglia ideologica, non priva di strumentalizzazioni di cui si lamenta lo stesso De Sica, in una lettera aperta sul quotidiano comunista «Paese Sera»: «è ora di finirla con la propaganda fascista e nazista!» (De Sica 1970, p. 3). A De Sica risponde la critica di destra de «Il Borghese», che si scaglia contro la rappresentazione nel film troppo “benevola” del governo e dei soldati sovietici (Boensch 1970, p. 391). Ancora su «Il Borghese» Ida Iannini, moglie di un soldato disperso in Unione Sovietica, accusa Zavattini di non solidarizzare con le donne italiane rimaste a casa ad aspettare. E una testata conservatrice quale «Lo Specchio» accusa il film di «mistificazione storica […], badando solo a produrre una pellicola che piacesse al PCUS e al PCI» (Caccavale 1970, pp. 10-12), e di raffigurare «la Russia come una placida e comprensiva Svizzera del Nord, aperta a tutti» (Baracco 1970, p. 12). Anche la critica cattolica lamenta «l’ipotesi narrativa assolutamente prevedibile nelle sue soluzioni popolari e […] sentimentali (in cui si avverte la mano inconfondibile di Zavattini)», deplorando «il piegarsi [della regia desichiana] alla necessità commerciale» 9. Sul fronte critico opposto, nelle pagine dell’«Unità» Casiraghi (1970, n.n.), pur riconoscendo al film il lirismo di «un De Sica perduto da tempo», e una «sceneggiatura abilmente concertata e limata (specie negli episodi padani) da Zavattini e Tonino Guerra», parla al contempo di «un’opera che lascia veramente troppo spazio al “sentimento” […]. Così non possiamo accontentarci, oggi, del ritratto benevolo e patriarcale che ci viene offerto della Russia […], perché è languido e insufficiente». Gli fa eco il quotidiano socialista «L’Umanità», che bolla il film come «un “fumetto” bello e buono […] un fotoromanzo» (Guerrini 1970, n.n.). In tempi più recenti, il film viene giudicato con maggiore obiettività. De Santi, ad esempio, ravvisa un «afflato emotivo sincero, ma [che] viene portato a spegnersi nei toni enfatici» (De Santi 2003, p. 162). Se la sceneggiatura continua a suscitare perplessità per la sua natura «semplicistica» (Mereghetti 2022, p. 2816), Brunetta esalta invece De Sica e Zavattini per la loro capacità di valorizzare l’interpretazione della Loren (Brunetta 2007, p. 145).
LL