Con l’aiuto di registi giovani e motivati e la supervisione di Zavattini, I misteri di Roma racconta sotto forma di inchiesta ventiquattr’ore della capitale, svelando realtà nascoste e verità dimenticate. Le diverse storie e situazioni hanno come speaker i registi stessi.
Dati d’archivio. Collocazione Za Sog R 38/1-39/5. I documenti relativi a I misteri di Roma conservati presso ACZ sono numerosi ed eterogenei. Troviamo una sintesi del progetto del film stampata e rilegata in doppia copia (nella cartella Za Sog R 38/1), intitolata I modi Roma di Cesare Zavattini, intestata SPA Cinematografica SRL, con data 10 maggio 1962, siglata dalla firma di Zavattini. Qui si enunciano le linee guida di un film-inchiesta da girare in ventiquattro ore che sveli le storie nascoste di Roma: «il film sarà girato da 14 giovani registi e Zavattini sarà il coordinatore del loro lavoro e il responsabile principale del definitivo montaggio del film» (p. 4). Nella cartella Za Sog R 38/2 sono raccolte una ventina di proposte, sotto forma di lettere di possibili collaboratori, alcuni dei quali faranno parte del gruppo di registi del film. Troviamo così spunti di situazioni da indagare in una Roma poco conosciuta scritti dal giovane Bernardo Bertolucci, ma anche da Raffaele Andreasi, Baccio Angioletti, Mino Argentieri, Dino B. Partesano, Gianni Bisiach, Libero Bizzarri, Eugenio V. Caldi, Mario Carbone, Luigi Di Gianni, Giovanni Fago, Ugo Fasano, Giuseppe Ferrara, Michele Gandin, Giulio Macchi, Amleto Micozzi, Paolo Nuzzi, Luigi De Marchi, Massimo M. Puccini, Giovanni Vento e Brunello Rondi. Il progetto del film è quindi fin dall’inizio collettivo (ma non a episodi) e di taglio documentario; molte proposte passeranno nelle sedici varianti del soggetto dattiloscritte e raccolte da Zavattini, catalogate in ACZ nelle cartelle Za Sog R 38/3 (le prime dieci varianti) e Za Sog R 38/4 (le sei seguenti). Presentiamo i documenti seguendo un ordine cronologico. Il soggetto A (pp. 1-10) è la copia del deposito in SIAE del 07.06.1961, con note autografe. Il soggetto B (pp. 11-30) è intitolato Copia di quella consegnata a Ponti il 20.6.61, Progetto per un film inchiesta intitolato I misteri di Roma, e contiene un elenco di temi selezionati. Nel soggetto C (pp. 31-53) Zavattini approfondisce l’elenco precedente con descrizioni delle situazioni da riprendere, esplicitando il rifiuto di una vera sceneggiatura: «consegnar[la] equivarrebbe nel nostro caso a un inganno. Si tratta di un film in fieri fino all’ultimo giorno, e i suoi autori devono essere in allarme instancabilmente» (p. 41). Le due versioni seguenti, D (pp. 24-76) ed E (pp. 77-113), dattiloscritte con note e correzioni autografe, vengono redatte a pochi giorni di distanza, rispettivamente il 02.08.1961 e il 10.08.1961. Nel soggetto F (pp. 114-163), del 21.08.1961, dattiloscritto con note autografe, con copertina, Zavattini ragiona sulla fattibilità del film e specifica che le riprese saranno diverse per le specifiche esigenze tecniche e stilistiche di ogni regista. Il soggetto G (pp. 164-196), dattiloscritto, è privo di correzioni, mentre la variante H (pp. 197-246), datata 22.08.1961, è una copia della versione F con correzioni, note e cancellazioni autografe a matita. Da questo momento, Zavattini decide di coinvolgere dodici registi e non più venti, come precedentemente dichiarato. Il soggetto I sembra una variante precedente perché conta solo sedici cartelle (pp. 247-262) e Zavattini specifica con una nota autografa: «Superata!». La variante L (pp. 263-295) presenta numerose note, correzioni e schizzi autografi; è anche questa precedente, perché le correzioni vengono integrate nel soggetto H. Nella cartella Za Sog R 38/4 proseguono le stesure del progetto. Nel soggetto M (pp. 1-23), dattiloscritto con note autografe, intitolato Progetto per un film inchiesta intitolato I misteri di Roma, Zavattini vuole realizzare un film che vada «dall’alba di un giorno qualsiasi di quest’estate all’alba seguente» (p. 1) con l’aiuto di giovani collaboratori sparsi per Roma che registreranno quante più immagini possibili, un’abbondanza che verrà poi «orchestrata» (p. 14) in sede di montaggio. L’inizio dei lavori è previsto per il 15 di luglio, la conclusione a settembre. Il soggetto N (pp. 24-47) è una copia di lavoro, dattiloscritta ma colma di note autografe e correzioni manoscritte, intitolata I misteri di Roma (Film inchiesta ideato da C. Zavattini con la collaborazione di- da mettere in ordine alfabetico). Il progetto non è più in prima persona singolare e passa ad un “noi”. Le ore di ripresa vengono suddivise in quattro momenti: mattina/pranzo; pranzo/sera; sera/notte; notte/mattina, e alcuni temi si definiscono come «la vita burocratica, la vita religiosa, la vita politica, la vita mondana che include anche quella turistica, la vita del cinema e della televisione» (p. 26) in luoghi tipici quali Stazione Termini, Via Veneto, Piazza Montecitorio. Il soggetto P (pp. 82-126), intitolato I misteri di Roma, Progetto di Cesare Zavattini per un film inchiesta su Roma, con note dattiloscritte e correzioni autografe, precede la variante O (pp. 48-81), che ne ingloba le correzioni. Con la penultima variante conservata in ACZ, il soggetto Q (pp. 127-177), datato 22.08.1961, Zavattini raggiunge una versione quasi definitiva, rilegata con copertina, in cui sono comunque presenti note dattiloscritte e autografe. Qui Zavattini spiega come il lavoro di ciascun regista potrà essere diverso in termini quantitativi e qualitativi. Sin dalle prime riprese «il materiale girato sarà regolarmente visionato e si faranno dei montaggi parziali e sperimentali che serviranno qualche volta a modificare il ruolino di marcia di qualche troupe» (p. 173). Il soggetto R è una copia. La variante S, intitolata I misteri di Roma e datata 19.5.1962 (pp. 213-254), con pagine dattiloscritte e note autografe, si dichiara come una introduzione alla scaletta, che elenca «cento ipotesi […]. Alcune troveranno una esatta coincidenza con la realtà, altre si limiteranno ad avere una funzione puramente indicativa» (p. 234). Zavattini scrive: «Ciò che conta è lo spirito generale del film che viene affrontato da tutti noi in un modo concorde: non tanto nel senso di stili formali quanto di uno stile morale col quale ci poniamo a vedere, a ascoltare, a dialogare, a provocare nel cuore di questa città» (p. 234); e continua: «il pubblico ha bisogno tuttavia di chiarezza circa l’impostazione del film. Per questo noi ci dovremo sforzare a non creare equivoci, a metterlo nelle condizioni di capire che egli assiste davvero al passaggio di una intera vera giornata per dargli la quale si sono mossi tutti insieme dodici registi» (p. 241).
In una nuova cassetta troviamo tre versioni di scalette (Za Sog R 39/1), con elenchi molto sintetici di situazioni e luoghi, e sette stesure di sceneggiatura (Za Sog R 39/2), in cui manca una versione definitiva, perché servono per riflettere sul ruolo dello speaker di volta in volta impersonato dai vari registi. Nella cartella Za Sog R 39/3 sono archiviate le note di lavorazione: la prima (di 9 pp.) di schizzi autografi e appunti manoscritti, la seconda è invece un bloc-notes A4 di 32 pp., con rapidi appunti manoscritti con i nomi dei registi, situazioni e luoghi delle riprese. La cartella Za Sog R 39/4 contiene invece diversi piani di lavorazione, con cinque cartoni ripiegati dattiloscritti e autografi. La cartella di documentazione (Za Sog R 39/5) conserva 67 fotografie di diversi formati con ritratti dei molti registi, momenti delle riprese e foto di diversi protagonisti.
Pubblichiamo il soggetto e le note finali già usciti nel libro I misteri di Roma a cura di F. Bolzoni (Zavattini 1963, pp. 13-32), ripubblicato senza le note da Caldiron (Zavattini 2006, pp. 254-270), perché più avanzato rispetto ai soggetti Q e S in ACZ. Online pubblichiamo invece: “progetto del film” edito il 10.05.62; i soggetti A, B, L, S; la scaletta B; la sceneggiatura F; delle note di lavorazione A e B; materiale di documentazione e articoli sul film.
Zavattini ripropone un’idea a lui cara, quella di raccontare in un film una giornata di ventiquattro ore, una struttura formale non valorizzata in Stazione Termini (De Sica, 1953), che riappare in alcuni soggetti mai realizzati dei primi anni sessanta come Diario di uomo e Diario di una donna (Zavattini 2022b); ma qui il personaggio da raccontare è la «metropoli straordinaria» di Roma (soggetto L, p. 264, correzione manoscritta). Come spiega nelle interviste raccolte da Francesco Bolzoni nel libro che esce un anno dopo il film I misteri di Roma (Zavattini 1963, p. 50), Zavattini sperimenta assieme al figlio Marco e al fotografo Renzo Ragazzini una sorta di “candid camera” (nascosta da uno specchio opaco in un furgone) in modo da girare «all’insaputa dei passanti» immagini che imprimano gesti «familiari eppure misteriosi». Fare un «film-inchiesta» su Roma vuol dire allora poterla fermare «nella sua entità temporale e spaziale. Dentro l’involucro della giornata, fatto di luci, di ombre e di cose, si sarebbero mossi gli uomini coi loro misteri quotidiani. Il titolo calzava come un guanto alla mia intuizione della giornata. La parola mistero esprimeva la nostra continua tensione, la nostra trepidazione nello scoprire qualche utile segreto in più degli abitanti di una grande città»; non per fare un film «scandalistico, ma un film sincero, libero e mobile come un diario […] un documentario di interpretazione» (p. 51). Nei suoi diari, il 29 marzo 1962 Zavattini parla dei registi che collaboreranno con lui alla realizzazione del film, passati dalla ventina iniziale a poco più che una dozzina: «12 poetiche di una sola poetica, per una sola posizione morale-sociale. […] devo dare l’impianto coram populo, come ho detto lanciando l’idea, cioè far assistere il pubblico a ciò che si fa» (Zavattini 2023, p. 39). I giovani registi (Libero Bizzarri, Mario Carbone, Angelo D’Alessandro, Lino Del Fra, Luigi Di Gianni, Giuseppe Ferrara, Ansano Giannarelli, Giulio Macchi, Lori Mazzetti, Enzo Muzii, Pietro Nelli, Paolo Nuzzi, Dino B. Partesano, Massimo Mida, Giovanni Vento), come recita il soggetto che pubblichiamo, potranno usare qualsiasi mezzo tecnico, «dal teleobiettivo alle macchine da presa, o sonore, nascoste qua e là come trappole», dalla 35mm alla 16mm «e perfino la fotografia, in qualche circostanza eccezionale», saranno come «gatti» sparsi per la città, cronisti improvvisati, che riprendono fatti di cronaca o ricostruiscono «un momento importante della vita nazionale (il delitto Matteotti, le torture di Via Tasso, l’intervento in guerra)» (Bolzoni in Zavattini 1963, p. 54). Zavattini promuove un progetto documentario che carezzava fin dal mai realizzato Italia mia (1951), in forme che si aprono alla confessione e all’inchiesta come nei film collettivi Siamo donne e L’amore in città (entrambi del 1953; si vedano le schede relative in questo volume), il primo sulla vita privata di alcune dive del cinema italiano, il secondo interpretato da persone comuni, o addirittura con la stessa protagonista del fatto di cronaca, come nell’episodio scritto da Zavattini e diretto da Maselli (e Zavattini), Storia di Caterina. È in questa direzione che va il film-inchiesta, in questo caso con «un fine rivelatorio di alcune verità contemporanee», come recita la presentazione del progetto I misteri di Roma di Cesare Zavattini nell’opuscolo rilegato (intestato SPA Cinematografica SRL) del 10 maggio 1962: «Quattro saranno i principali modi per assaltare i vari aspetti della città: il modo d’incontro, quello per cui il fatto viene avanti da solo, il fatto occasionale; poi il fatto agguantato, lungamente, che si ripete ogni giorno e per il quale abbiamo anche studiato gli accorgimenti tecnici necessari per coglierlo il più schiettamente possibile […] (per esempio, un occhiopedinamento); il fatto provocato, come quello di correre per la città con un camioncino a raccogliere delle folate di risposte su grandi temi com’è quello della pace, o della paura del domani, o dell’ossessione del benessere […]. Infine, il fatto “ricostruito”, accenno, come valore analogico, di un momento tipico: la “ricostruzione” di una tortura in via Tasso che ci farà rivivere, insieme a uno dei tanti patrioti che là soffrirono, un momento di quelle giornate, che culminerà in un grido, ripetuto per noi con tremenda esattezza» (pp. 4-5, corsivi nostri).
Il film, però, non viene ben accolto dalla critica. Dopo la sua proiezione fuori concorso al XXIV festival di Venezia viene definito «un esperimento fallito» (Zanelli 1963, n.n.), oppure «una serie di sciocchezzuole e non tutte pulite» (Lugaro 1963, n.n.), o ancora una «“verità” italiana di Zavattini indecisa, pesante e noiosa» (Tortora 1963, n.n.), addirittura un «orripilante film inchiesta nel quale Zavattini ha immolato dei giovani registi» (Guidotti 1963, n.n.). Per gli studiosi di cinema come Micciché, invece, I misteri di Roma è «un’opera chiave per intendere se non la sua poetica zavattiniana, i suoi presupposti teorici, soprattutto l’identificazione tra raccolta del dato e sua interpretazione che sta in Zavattini alla base di un realismo integrale» (Micciché 1963b, n.n.). Del metodo d’inchiesta che Zavattini impiega nella fase di scrittura cinematografica scrive Stefania Parigi: «per Zavattini il neorealismo si connota innanzitutto come un percorso di ricerca», si tratta di immergersi direttamente «nel caos dei fatti» (Parigi 2006, pp. 189-190); il neorealismo di Zavattini è caratterizzato da un imprescindibile «“spirito d’inchiesta” che porta gli autori e gli sceneggiatori a misurarsi concretamente con le dinamiche fisiche e culturali del territorio in cui intendono girare e, anzi, a modulare il percorso del film sui dati direttamente ricavabili dall’esperienza sul campo» (Parigi 2014, p. 218). Il progetto zavattiniano si approfondisce nel già citato volume I misteri di Roma curato da Bolzoni (Zavattini 1963), utile a comprendere le ragioni di Zavattini e ad approfondire le inchieste preliminari condotte dai vari registi. Zucchelli (1963, n.n.) descrive il volume come una «cronaca interpretativa [del] metodo zavattiniano, [che coglie] puntualmente l’incessante zampillare delle idee, il continuo modificarsi delle prospettive, l’inesauribile rincorsa della verità e del documento che ha caratterizzato l’opera di Zavattini e dei giovani che lo hanno assecondato». Il film è promosso dapprima dal produttore Ponti, gode di un breve interesse della Federiz di Fellini, prima di trovare il supporto della Spa Cinematografica di Achille Piazzi, che lo produce nel marzo del 1962, alzando perfino il budget richiesto. L’entusiasmo dei giovani registi e la grande libertà di azione (su temi e progetti concordati con Zavattini) porta però a non pochi problemi tecnici: spesso il sonoro delle riprese «era cattivo. […] Molti dei cinquantamila metri impressionati alla fine delle riprese rimangono, pertanto, al livello del documentario in “campo medio, inerte”, come dice [criticamente] Zavattini. Solo una parte di essi possiedono i requisiti di ariosità, imprevedibilità, essenzialità, desiderati dall’ideatore» (Bolzoni in Zavattini 1963, p. 127). Inoltre, come previsto dal progetto, il film va ricomposto nel montaggio finale curato da Zavattini (con Eraldo da Roma e il figlio Marco), ma bisogna «portare il film da cinquantamila metri a tremila metri» (Zavattini in Fallaci 1962, n.n.) spiega Zavattini in un’intervista a Oriana Fallaci: «ebbene, questo è stato fatto quasi sempre con la presenza di qualcuno dei giovani registi, informati, direi continuamente» (Zavattini 2006, p. 271). Nonostante le difficoltà riscontrate, per Di Giammatteo (1963, n.n.) il cinema-verità che cerca Zavattini è anticonvenzionale, prevede la partecipazione inaspettata di personaggi autentici e di situazioni quotidiane reali, e «fotografa quel che si nasconde dietro la faccia barocca e solenne di una città mezza europea e mezza balcanica, con storia autentica, chiacchiere oziose e trombonate di giullari per soprammercato». Nelle parole di Zavattini, «I misteri di Roma non è, per questo, un film inutile, poiché ci mostra una città inconsueta, una città che non rientra nella nostra quotidianità, una città che non conosciamo. Con i suoi interventi di natura provocatoria, esso accresce il numero di quelle caselle conoscitive, nelle quali crediamo di intrappolare la verità delle città» (Zavattini 2002c, p. 919).
MDM