Anna Zaccheo, donna molto bella, racconta la propria vicenda e le difficoltà incontrate a causa del suo aspetto avvenente. Per colpa di un impresario che ha approfittato di lei, infatti, ha rischiato di compromettere le nozze con il fidanzato e i rapporti con la propria famiglia.
Dati d’archivio. Za Sog R 35/1-5 è composta da cinque cartelle. La cartella 1 contiene due varianti di soggetti dattiloscritti con note e correzioni autografe: A) 38 pp., Anna Zaccheo; B) 58 pp., Un marito per Anna Zaccheo. La cartella 2 contiene due varianti di scaletta dattiloscritte: A) 3 pp., Scaletta della sceneggiatura, con note e schizzi autografi; B) 21 pp., Una corona per Anna Zaccheo-Scaletta, con note autografe. La cartella 3 contiene un trattamento dattiloscritto: A) 115 pp., Una corona per Anna Zaccheo, con sottotitolo «soggetto e trattamento di Alfredo Giannetti e Franz Laurani». La cartella 4 contiene una sceneggiatura dattiloscritta con note e correzioni autografe: A) Primo tempo. La cartella 5 contiene note di lavorazione dattiloscritte con note e correzioni autografe: 2 pp., «Riassunto delle osservazioni fatte da De Santis sul soggetto Anna Zaccheo in presenza dei suoi autori e con l’accordo completo di Forges Davanzati».
Il soggetto è firmato da Zavattini insieme a Salvatore Laurani, Alfredo Giannetti e Giuseppe De Santis. Alla sceneggiatura, oltre gli stessi, anche Elio Petri e Gianni Puccini.
L’idea di partenza è, presumibilmente, quella presente nei vari documenti che recano il titolo Una corona per Anna Zaccheo e che, stando alla scaletta, si conclude con un matrimonio. Nella vicenda di Laurani e Giannetti, Anna Zaccheo è una bellissima ragazza di Perugia che, dopo un periodo di prostituzione, sposa un principe romano che le offre, come dono di nozze, una corona (da cui il titolo «Una corona per Anna Zaccheo»).
Soggetto A Anna Zaccheo di 38 pagine dattiloscritte con note a mano. È diviso in due parti: «Nota» (pp. 1-5) e «La storia» (pp. 5-38), quest’ultima suddivisa in trenta capitoli numerati, scritti in prima persona. Sul retro della p. 5 è presente un brano manoscritto interrotto e poi cancellato con due tratti di penna: «Mio padre lavora da un quarto di secolo sulla funicolare, è un uomo che parla sempre del suo caposquadra col quale, dice, un giorno o l’altro litigherà. Intanto gioca al lotto regolarmente con la speranza di vincere una grossa somma e di potersi perciò presentare davanti al caposquadra con l’automobile e farlo morire d’invidia. Mi porta con lui quando va al botteghino del lotto perché dice che io lo ispiro. La preparazione dei numeri è per lui un’operazione complessa alla quale farebbe collaborare mezza città. Mia madre invece è di poche parole. Lavora in casa, lavora fuori di casa. Il pane non è mai mancato in casa mia, ma non c’è mai stato un soldo da poter buttar via; i conti tornavano appena appena» (soggetto A, p. 5). Più avanti un’ulteriore nota a bordo pagina espande le riflessioni della protagonista: «Quanti mariti! Non ci sarà che da scegliere. Il droghiere ha anche l’automobile. Tutti cercano di attaccare discorso. Ce n’è uno timido timido che mi segue sempre da lontano e quando si incontra coi miei sguardi finge di interessarsi al cielo» (p. 8). Numerose altre piccole annotazioni si trovano in altre pagine del soggetto. Il finale vede il ritorno di Anna nella casa di famiglia per ricominciare una vita ordinaria.
Soggetto B Un marito per Anna Zaccheo (verosimilmente più recente) di 58 pagine dattiloscritte con note autografe. È anch’esso suddiviso nelle due parti: «Nota introduttiva» e «La storia», quest’ultima non più strutturata in capitoli numerati ma con titoli tematici: Mi chiamo Anna Zaccheo (pp. 44-50), Andrea (pp. 50-55), Cerco un lavoro (pp. 55-58), L’agenzia fotografica (pp. 58-68), Il suicidio (pp. 69-71), L’ospedale (pp. 71-80), Antonio il droghiere cancellato a matita e sostituito con «Sono sola» (pp. 81-87), «La maratona di danza» (pp. 88-96), «Addio Andrea» (pp. 96-98) e «Ritorno a casa» (pp. 98-99). Numerose le differenze rispetto al soggetto A. La conclusione della «Nota», ad esempio, passa da «Non crede più al sorriso di chi le dice qualche amabile o devota parola […] sa che presto o tardi le sarà domandato soltanto di soggiacere incondizionatamente agli istinti proprio di quegli uomini che ora si inchinano» (soggetto A, p. 5) a quest’altra versione: «Quando alla fine del film Anna Zaccheo è stanca della lunga serie di peripezie durante le quali ha constatato che ciò che doveva essere la sua forza era invece la sua debolezza nella vita e si sente profondamente smarrita, noi dobbiamo con lei farci la sua stessa domanda: e ora che cosa debbo fare? Che cosa deve fare Anna Zaccheo? Ha ancora davanti a sé tanti anni e la sua bellezza è intatta, ma che fatica ancora ogni ora, ogni minuto muoversi nella giungla delle forsennate voglie degli uomini» (soggetto B, pp. 2-3). Le situazioni narrative vengono espanse e riscritte, riprendendo tutte le annotazioni a mano del soggetto precedente.
Sono presenti inoltre: due scalette; un trattamento di 115 pp. dattiloscritte, dal titolo Una corona per Anna Zaccheo, col sottotitolo: «soggetto e trattamento di Alfredo Giannetti e Franz Laurani; delle note di lavorazione (2 pp.); e una sceneggiatura di 453 pp. La scaletta A di 3 pagine – intitolata Scaletta della sceneggiatura e divisa in sequenze puntate: «Anna si lava», «Grida dei venditori», «Anna esce con Peppinello», «Anna al mare con Caterina», «Anna con Andrea» ecc. – elenca scene del primo e secondo tempo nelle prime due pagine, mentre la terza pagina riscrive le scene del secondo tempo seguendo maggiormente il soggetto A, e si conclude con: «Anna resta sola […] Sua carrellata lungo le strade». La scaletta B, di 21 pagine, intitolata Una corona per Anna Zaccheo, è divisa in macrosequenze e riprende il trattamento di Alfredo Giannetti e Franz Laurani, partendo dalla scena di un comizio: «Comizio in piazza a Perugia. Parla Guido Zaccheo. Dalla folla una voce l’accusa di farsi mantenere dalla sorella, che fa la puttana» (p. 4).
Il trattamento dal titolo Una corona per Anna Zaccheo, firmato da Giannetti e Laurani, è verosimilmente precedente al contributo di Zavattini (e di Petri e Puccini), ha una dinamica assai diversa dai soggetti, sia per lo stile narrativo (privo di racconto in prima persona) che per struttura. L’incipit infatti descrive: «Nella piazza comunale di Perugia si sta svolgendo un comizio. È una domenica di primavera. La folla sta immobile, sparpagliata, e ascolta. Suonano le campane della cattedrale. Molta gente, dall’ombra dei portici, segue con ostilità il discorso dell’oratore. Costui è un giovane invalido, Giulio Zaccheo. Sta inchiodato su una carrozzella a ruote. Ma grida con voce altissima, in un tono di esagerata esaltazione. Incute una gran pena. Su in alto, ad una finestra del palazzo comunale, il giudice Pinto lo ascolta. Appare un tipo sanguigno, volgare. Alla loggia della cattedrale sta immobile la figura del prete. Don Mario è un uomo alto, forte, e il suo sguardo velato s’accende a tratti di una luce ironica. Il mutilato, nella foga del suo discorso, parla di onore, di onestà e, rivolte alla folla, le sue frasi vibrano di un livore sordo. È come se egli stesse lanciando una sfida all’indifferenza di tutta quella gente» (trattamento A, p. 3). Il racconto presenta molte avventure di Anna Zaccheo, che dapprima si fidanza con un neolaureato figlio di un povero ferroviere, poi tutto si sfascia per i sospetti di tradimento e lei si fa proteggere da un notaio che se ne approfitta. Anna Zaccheo decide allora di sfruttare la sua avvenenza e riesce così a conquistare un produttore di cinema, che le fa fare un film audace e l’attrice di teatro (ma lei non sa recitare e sfiora il ridicolo), quindi lo lascia e va a vivere da un giornalista, poi con un ricco industriale, fino ad accettare di sposare per denaro un «debole» rampollo dell’aristocrazia napoletana.
Le Note di lavorazione sono costituite da due pagine e recano per sottotitolo: «Riassunto delle osservazioni fatte da De Santis sul soggetto Anna Zaccheo in presenza dei suoi autori e con l’accordo completo di Forges Davanzati». De Santis sembra riferirsi proprio al summenzionato trattamento, perché descrive Anna Zaccheo come «fin dall’inizio già corrotta, ha già due amanti! E così la ritroviamo alla fine del soggetto quando la ragazza sposa per denaro il Principe, pur continuando ad amare il giovane buono e onesto dell’inizio» (p. 1). De Santis spiega le motivazioni che sottendono alla realizzazione dell’opera, ma anche le carenze che ha riscontrato: «Questo soggetto mi ha interessato ed ho accettato di dirigerlo perché, pur presentando enormi difetti di struttura, nel suo sviluppo narrativo, contiene al centro una buona intuizione, e cioè: l’enorme fatica che deve compiere una ragazza bella e provocante, ma indifesa, per trovare nella vita una naturale sistemazione» (Note di lavorazione, p. 1). Successivamente, De Santis espone le sostanziali modifiche che intende attuare, anche per un maggior riscontro dal punto di vista commerciale: «Se tutto questo è vero, propongo di trasformare il soggetto intervenendo in due direzioni: 1) tracciare una linea di sviluppo graduale e sempre più montante della carriera di Anna, approfondendo le premesse e precisandone le ragioni, per rendere anche più interessanti le avventure di Anna e per non correre il rischio che sembrino tutte uguali (talvolta, infatti, viene fatto di pensare che in fondo Anna incontri sempre lo stesso uomo); 2) rendere Anna più pensosa delle sue avventure e dei casi della sua vita, toglierle quell’aria di cinismo e di crudeltà che spesso essa viene ad assumere nei riguardi di alcuni avvenimenti. Penso che facendo così avviciniamo di più alla realtà il personaggio di Anna, lo rendiamo più umano ed anche più accettabile dal pubblico. Anna non deve essere un personaggio negativo, ma positivo. Per questo bisognerà cambiare il finale. Il pubblico non ama i personaggi negativi come è attualmente Anna nel soggetto, e quindi bisogna moralizzarla nei sentimenti» (Note di lavorazione, p. 2).
La sceneggiatura specifica nelle prime didascalie la produzione di Domenico Forges Davanzati e la regia di Giuseppe De Santis. Fin dall’incipit, che descrive il rapido montaggio iniziale, la sceneggiatura corrisponde al film realizzato: «Il letto, a piano ravvicinato. Le coperte si scostano, due gambe nude di donna (PAN . Discendente) scendono a terra. Su questo movimento la scritta: Un marito per Anna Zaccheo. I piedi della donna si infilano in due pianelle, mentre a terra scivola una camicia da notte. DETT. Di capelli, braccia e spalle, nel movimento di infilare una sottoveste che ci impedisce di vedere il viso della ragazza. Ad un certo punto la scritta: un film di Giuseppe De Santis. Ancora parte del letto: le gambe e le braccia impegnate nell’operazione di infilare le calze. La scritta: con Silvana Pampanini. Un lavabo all’antica. Le braccia della donna entrano in c., versano l’acqua da una brocca. Sulla immagine la didascalia con i nomi degli altri interpreti più importanti. La catinella. La testa si tuffa, per una rapida abluzione del viso. Qui si sviluppano gli altri titoli di testa, relativi al soggetto ed alla sceneggiatura, al cast tecnico, agli altri attori. Quando la donna si rialza e prende ad asciugarsi, l’asciugamano ch’essa strofina con vigore sulle guance ce ne nasconde ancora le sembianze. Poi, nettamente di spalle, la donna si stira un poco, sbadiglia, e lentamente si dirige verso la finestra. La finestra. La donna, di spalle, entra in c. qui finiscono i titoli di testa, e inizia il racconto del film» (Sceneggiatura, pp. 2-3). Il racconto si svolge ampliando la struttura narrativa del soggetto A, con il finale del ritorno di Anna alla casa dei genitori.
Pubblichiamo nel volume il soggetto A e online il soggetto B.
La discrepanza tra l’idea di partenza di Laurani e Giannetti e il contributo dato da Zavattini è confermata da una nota di diario del 24 luglio 1952, in cui Zavattini, parlando di un altro progetto, scrive: «Dico a tutti che ci penserò causa mia delicata posizione con Andreotti, se fosse una battaglia per Italia mia, ma è una battaglia per un film in sostanza mediocre che io ho cercato di rendere con la mia versione meno mediocre (com’è per l’altro di De Santis, Anna Zaccheo)» (Zavattini 2022a, p. 468). La considerazione di film «mediocre» torna ancora in una pagina dell’ultimo giorno del 1952: «Vorrei lavorare molto nel ’53, forse conclusivamente nel cinema, non più lavori medi ma tutti secondo la linea massima, perché poi anche quelli mediocri (Anna Zaccheo, Piovuto dal cielo) mi costano come capolavori in quanto tempo impegno» (pp. 484-485).
Per Silvana Pampanini, quello di Anna Zaccheo è il primo vero personaggio messole a disposizione dal cinema italiano del dopoguerra (Vitella 2024, p. 77). Alberto Farassino, nella monografia dedicata a De Santis, sottolinea come «tra Roma ore 11 e Un marito per Anna Zaccheo si apre nella filmografia di De Santis una frattura che non verrà più richiusa. Egli esce definitivamente, agli occhi della critica, dalla schiera dei registi “importanti” del cinema italiano […]. Con Anna Zaccheo film di serie B, il marchio del mestierantismo, in un cinema di genere, ripetitivo e compromesso, viene indelebilmente apposto sul lavoro di De Santis […] agli inizi degli anni Cinquanta De Santis è già considerato un autore finito, un ex protagonista decaduto a comparsa» (Farassino 1978, p. 35). Ciononostante, su «Cinema», n. 103 del 1953 (pp. 68-70), Roberto Paolella scrive una lunga recensione positiva: Il problema del matrimonio senza amore: Un marito per Anna Zaccheo. Anche per Alberto Moravia il film è il più piacevole di De Santis, che, tuttavia, si è posto «dei limiti angusti e ha fatto concessioni pericolose ad un gusto melodrammatico e decorativo» (Moravia 1953, p. 35, ora in Moravia 2010, pp. 199-200).
Antonio Vitti, dedicando al film il capitolo Could an Italian Male Marry an Everyday’s Woman?, ricorda l’articolo di Feraldo Feraldi su «La fiera letteraria» in cui si accusava, da una prospettiva “di destra”, l’eccessivo marxismo di De Santis. Tuttavia, citando le parole di Vittorio Spinazzola, «la questione femminile non riusciva a occupare un posto adeguato nei programmi politici del movimento democratico, né gli uomini di cultura se ne facevano un assillo particolare» (Spinazzola 1974, p. 22). Per questo motivo Vitti sostiene che «il film dev’essere considerato uno dei primi in Italia a parlare della oggettivazione femminile. Adottando i cliché narrativi della sceneggiata e del romanzo d’appendice come modalità di racconto, e poi rompendo i loro messaggi sociali conservatori e conformisti, De Santis ha continuato il suo progetto di creare un cinema nazionale per le masse – un cinema che potesse sia intrattenere che formare una coscienza sociale progressista» (Vitti 1996, pp. 76-77, trad. ns.). Ricordiamo che nella nota iniziale del soggetto la dimensione di critica sociale è molto esplicita: Anna Zaccheo «rappresenta la donna che, forse sempre, ma particolarmente nel nostro tempo, è braccata […] dagli uomini più come una compagna di piacere che come una compagna di vita», e una frase significativa del soggetto che pubblichiamo è: «Io avevo bisogno di parole dolci, di qualche parola che mi desse fiducia nei buoni sentimenti. E invece quest’uomo parlava del mio corpo, guardava il mio corpo, quasi parlava con le mie gambe» (soggetto A, p. 23).
La scelta di far esprimere la protagonista in prima persona, già presente nel soggetto, viene rispettata da De Santis, nel cui film la voce della giovane esordisce con le parole: «Questa è la città dove sono nata. Mi chiamo Anna Zaccheo», passando poi a presentare i protagonisti della vicenda. Nota a proposito Paola Valentini: «L’incredulità non è determinata solo da una voce che, pur facendo parte della diegesi, condivide a volte i tratti di onniscienza e ubiquità della voce narrante, estendendo il suo potere oltre il suo raggio effettivo di visione. La voce di Anna infatti letteralmente commenta non tanto le sue vicende quanto le immagini mostrate sullo schermo, con un uso sistematico dei deittici e addirittura numerosi interventi per rettificare, affermare o negare i significati prodotti autonomamente dall’immagine. […] La voce di Anna si situa in uno strano territorio a metà strada tra il rappresentato e la rappresentazione, profondamente coinvolta nella storia eppure abbastanza distaccata al punto da valutare, guidare e influenzare il discorso» (Valentini 2002, p. 105). Anche Paolo Noto, oltre a rilevare alcuni elementi della sceneggiata napoletana, si sofferma sull’incipit: «i brani musicali concorrono a collegare il mondo narrato nel film a quello della sceneggiata e della canzone partenopea. Nella seconda parte del film una canzone tradizionale (’E ccummarelle) è eseguita a teatro su richiesta della protagonista e cantata da tutto il pubblico. L’incipit del film è invece un buon esempio di quello che potremmo definire procedimento di “condensazione attrattiva”. Nella stessa sequenza sono infatti sovrapposti tre elementi testuali ad elevato valore di spettacolarità e di memorabilità: una canzone intradiegetica ma eseguita fuori campo, la presentazione in prima persona e in voce over della protagonista (Silvana Pampanini), nonché la vestizione della stessa, altro elemento ricorrente di una certa importanza» (Noto 2011, p. 121). Ricordiamo inoltre che un incipit molto simile, con una bella ragazza che al mattino si sveglia, si lava e si veste, si era già visto nel film-manifesto di Dziga Vertov L’uomo con la macchina da presa (1929).
MM