Il pastore. Un vecchio pastore spagnolo della Mancha, ancora attivo nel suo lavoro con le pecore (ad esempio le difende di notte dai lupi), è accompagnato da un bambino di dieci-dodici anni. Il vecchio, malato agli occhi anche per la troppa polvere e il vento che subisce vivendo all’aperto, si decide infine ad andare dal medico del paese. Questi gli fornisce degli occhiali, ma il pastore si vergogna ad usarli in pubblico.
Domestica e soldato. Il primo appuntamento tra una giovane domestica e una giovane recluta viene rovinato dal senso di umiliazione patito dal ragazzo per il suo celato analfabetismo.
Dati d’archivio. Collocazione: Za Sogg. NR 6/5 contiene: soggetti dattiloscritti A) 8 pp., Il pastore; B) 9 pp., Domestica e soldato (Soldado y criada), con correzioni manoscritte; C) 24 pp., Cinco historias de España, argumento cinematográfico original de Cesare Zavattini, Luis Garcia Berlanga, Ricardo Muñoz Suay, 15 abril 1955, Madrid, con note manoscritte.
L’Archivio Zavattini conserva una copia stampata del volumetto contenente i racconti El pastor, Emigrantes, La Capea, Soldado y Criada, Las Hurdes (in quest’ordine). In archivio troviamo solo una versione del soggetto Il pastore, dattiloscritta e con poche correzioni a mano, riportate quasi integralmente dalla versione pubblicata in Mazzoni e ripresa in Caldiron. Saltano alcune piccole correzioni come nella frase: “camminando senza quasi guardare davanti a sé, con la faccia rivolta verso terra” (p. 4), che rimane così nelle trascrizioni, mentre contiene nell’originale una correzione: “[…] con la faccia rivolta a terra”; oppure nella frase: “Lo vediamo andare per il sentiero opposto a quello che prendono gli altri pastori e lo torniamo a incontrare mentre si ferma nella piazzetta di un piccolo villaggio” (ib.), che diventa nelle trascrizioni “[…] e lo incontriamo mentre si ferma […]”; la correzione a mano invece recita (senza però cancellare la parte riportata tra parentesi quadra): “lo [torniamo a] incontriamo ancora mentre si ferma”; oppure: “È passato del tempo, perché è giunta la volta del nostro pastore” (p. 6), che diventa con le correzioni “È passato del tempo, è la volta del nostro pastore”, mentre nella trascrizione di Mazzoni (probabilmente rivista dallo stesso Zavattini) si legge: “È passato del tempo, è giunta la volta del nostro pastore” (1979: 69). Sono variazioni minime, a penna, scritte tra l’altro con una grafia piccola e precisa che non corrisponde a quella di Zavattini.
Il soggetto A dal titolo Domestica e soldato, dattiloscritto, porta un sottotitolo scritto a penna (Soldado y criada)¸che è quello riportato nella trascrizione di Caldiron, mentre Mazzoni preferisce il titolo italiano. Anche in questo caso le poche correzioni a mano, scritte a matita, sono quasi integralmente riportate nelle trascrizioni di Mazzoni e di Caldiron; il finale del soggetto A riporta: “con le mani pendenti dietro la schiena” (p. 18), come viene trascritto nei due volumi citati, ma nel soggetto originale troviamo a matita delle cancellazioni che trasformerebbero la frase così: “con le mani dietro la schiena” (ib.).
Pubblichiamo nel volume e online il soggetto A dal titolo Il pastore e il soggetto A dal titolo Domestica e soldato. Pubblichiamo online: La capéa (in spagnolo); Las hurdes (in spagnolo); Emigrantes (in spagnolo), oltre ai soggetti in spagnolo Soldado y Criada, El Pastor.
Spiega Mazzoni: “Tra il 1955 e il 1958 Zavattini produce soggetti per il Messico, la Spagna e Cuba. Abbiamo così Mexico mio del 1955, Cinco Historias del España – a cui dovevano collaborare il regista Luis García Berlanga e Ricardo Muñoz Suay – dello stesso anno, El año maravilloso del 1957 e una serie di Soggettini cubani sulla rivoluzione scritti tra il 1958 e il 1960” (Mazzoni 1979: 17). Al progetto Cinco Historias de España afferisce anche Francisco Canet, nel viaggio attraverso la Spagna dell’agosto 1954 di cui Zavattini scrive: “seimila chilometri in automobile per vedere prima di scrivere” (Zavattini 1979: 239 [2002: 239]). Ricorda Caldiron (2006: 355) che “Nel Diario cinematografico sono rievocati alcuni momenti del viaggio, gli incontri e le situazioni che si ritrovano in Emigrantes, La capea, Las Hurdes, le altre tre storie spagnole”. Scrive infatti Zavattini, il 6 marzo 1955: “È un ricordo di Villanueva de la Jara, dove arrivammo in quella bella ora domenicale delle 16 quando il sole scalda di giallo anche le case brutte. C’è la capéa, dissero. […] andammo nella piazza del villaggio, avevano messo dei carretti tutti intorno alla piazza e l’arena era fatta. Il pubblico gridava come a Madrid e una vecchia di almeno 80 anni si era ficcata sotto a un carretto pur di vedere senza pagamento e non si tirava indietro neanche quando un toro cogli zoccoli passandole davanti sollevava polvere. I toreri erano due del luogo, vestiti secondo le regole, dovevano aver preso in affitto il costume. Il torello già sanguinava per le banderillas quando uno scamiciato saltò giù da un carretto nell’arena e con il velo di una ragazza, violetto, cominciò a toreare […]. Mi rimasero impressi quei giovanotti che gareggiavano per i begli occhi delle ragazze, e il toro che fuggiva alla volta della sua fattoria d’origine lontana sessanta chilometri […] Non vi parlo della terza storia, il coscritto analfabeta (nato a Barcellona) e di quella della ragazza emigrante, nata a Vigo in Galizia. Vi parlo della quinta. C’era un titolo su un giornale che mi fece vedere Berlanga e diceva: Las Hurdas è una piaga nel cuore della Spagna, e parlava di un gruppo di studenti andato in quella regione, sulla quale il regista Buñuel ha fatto un documentario che io non ho visto ma che pare sia di una straordinaria efficacia [..] C’era, sul giornale […] un episodio che era perfino troppo patetico, ma se era vero meritava di essere raccontato. Era quello di un bambino che non aveva riso mai, e uno studente ci si era messo di proposito e dopo una settimana di sforzi veramente faticosi era riuscito finalmente a farlo ridere. È un film, dissi” (Zavattini 2002: 244-245). Quest’ultimo racconto coglie la sensibilità di Zavattini forse anche perché è tematizzato all’inizio di un suo antico soggetto, La casa dei tic nervosi (che riportiamo in questo volume). Spiega ancora Caldiron (2006): “nei mesi precedenti Muñoz Suay era riuscito a far incontrare Zavattini e Berlanga, per abbozzare tutti insieme il progetto Festival de cine, feroce satira di un festival cinematografico, anch’esso destinato a restare irrealizzato: <Venivano da ogni paese i cineasti con le loro pellicole, dove avevano svolto il tema: la pace, nientemeno. L’aria era piena di colombe, quando uno si levava il cappello ne uscivano colombe. Ma tutto finiva male, pur avendo presentato dolci storie che affratellevano, finiva in una grande lite, addirittura nella guerra, e sull’ultimo fotogramma col fatale fungo fumoso appariva la scritta: ‘Fine del film e fine del mondo’. Ci parve a un tratto così disperata e così cinica quella conclusione che ci spaventammo, troncammo il lavoro che per tanti aspetti ci aveva affascinato> (Zavattini 1979: 396-397). […] I soggetti Festival de cine e Cinco Historias de España – apparsi in un’edizione amatoriale rispettivamente nel dicembre 1954 e nell’aprile 1955 – sono stati ristampati in volume nel 1991 dalla Filmoteca della Generalitat Valenciana, con una bella prefazione di Muñoz Suay e un’ampia documentazione fotografica del viaggio spagnolo di Zavattini” (Caldiron 2006: 355-356). Si veda la pubblicazione integrale online del volume Festival de cine e la scheda relativa nel portale dell’Edizione Nazionale.
Spiegano Ferraboschi e Brancaleone (2019: 41) che negli anni Cinquanta la chiusura della prima fase del regime franchista “cominciò ad allentarsi […] In questa fase, il neorealismo italiano divenne un punto di riferimento per gli ambienti culturali del dissenso, sia sul versante letterario che in quello cinematografico”. Nel 1953 Berlanga e Muñoz Suay vanno a Roma da Zavattini per progettare il film satirico El gran festival [Festival de cine], presto abbandonato per difficoltà nella fase di lavorazione. Zavattini propone allora “un nuovo film destinato a rappresentare la Spagna mutuando il vecchio progetto […] di Italia mia in España mia” (id.: 46); il progetto viene finanziato dalla casa produttrice UNINCI e così “Zavattini nell’estate del 1954 tornava a Madrid per lavorare insieme con Berlanga e Muñoz Suay al progetto de Le cinque storie di Spagna [con un viaggio attraverso la Spagna che] avrebbe consentito di raccogliere la base documentaria per l’elaborazione di progetti ispirati ai canoni neorealisti. […] Sulla falsariga di Italia mia e sperimentando una prassi adottata in seguito anche in Messico nel 1955 ed a Cuba nel 1959, il viaggio si sarebbe trasformato in un’appassionata scoperta alla ricerca dell’identità del paese […], lo scenario per riproporre in Spagna l’idea di un film a episodi, volto a rappresentare l’antropologia sociale spagnola. […] Alcuni dei soggetti come Il pastore e Il soldato e la domestica, lontani dalla tradizione folcloristica proposta dalla documentazione ufficiale della propaganda franchista, toccavano motivi di grande rilevanza della società latina come il ‘machismo’ e l’analfabetismo […]. Tuttavia […] il film rimase allo stadio progettuale […], apparivano ancora forti i condizionamenti della censura franchista” (Ferraboschi, Brancaleone 2019: 47-48). Il progetto delle Cinco Historias de España viene riaperto alla metà degli anni Sessanta grazie a Javier Aguirre, un giovane documentarista, che lo vorrebbe riattualizzare, ma senza esiti positivi (id.: 50).