Fra il 1939 e il 10 giugno 1940, giorno dell’entrata in guerra dell’Italia, Silvia racconta nel suo diario il rapporto con il marito Carlo, giornalista fascista, scrive di non amarlo più. Alterna alle situazioni della giornata i ricordi delle tappe del loro amore e del suo allontanarsi dal marito che si conforma e aderisce alle richieste del momento (credere nel fascismo, nella religione, ecc.) pur di fare carriera. Nella foga di scappare da un bombardamento, Carlo trova il diario e lo apre, scoprendo tutto il disprezzo che Silvia prova per lui.
Dati d’archivio. Per chi ha di fronte i materiali d’archivio e li sta consultando, consigliamo di controllare nel volume stampato per Marsilio la congruità dei dati descritti nelle Note filologico-genetiche. Rispetto alla nuova catalogazione d’archivio che si può trovare online al link che indichiamo volta per volta nelle schede dei soggetti, il nostro lavoro di descrizione filologica a volte risulta incongruente perché ci basiamo sui documenti consultati direttamente in archivio e che poi abbiamo riportato nei PDF messi a disposizione.
Le numerose varianti presenti appartengono a diversi periodi di lavorazione: una prima evoluzione va dal 1963 al 1965, mentre il progetto viene poi ripreso nel 1968, nel 1970-71 e nel 1977. Il soggetto A si intitola Diario di una donna, è datato 12 giugno 1963. Nonostante le numerose correzioni manoscritte, la struttura di base del racconto diaristico della protagonista è già presente. Sulla prima pagina si trovano delle note manoscritte: “No. Meno importante rispetto alle altre versioni” e “Sì (è da vedere)”. Questa variante è incompleta e si interrompe bruscamente nel momento in cui Carlo legge del disamoramento della moglie sul diario. I soggetti D1 e F1 sono atipici, probabilmente delle versioni transitorie, abbastanza diverse dalla precedente. D1 presenta in testa la nota manoscritta: “Z. […] guardarlo” mentre F1 la nota manoscritta “difetto del marito emergente prima”. In alcune porzioni di entrambi la scrittura è in prima persona. Le note d’archivio a proposito di D1 dicono “questo documento sembra una collezione di varie versioni, quasi a visualizzare possibili cambiamenti; si tratta di un documento di difficile decifrabilità”. Il soggetto G1 riprende in parte il lavoro fatto da Zavattini sui precedenti. Alla fine, è presente una nota di lavorazione di due pagine sui piani del racconto (quello diretto e quello rievocato dal diario), sulla lunghezza ipotetica del film (2500m) e sull’uso dell’elemento storico (il fascismo deve restare sullo sfondo). Sempre in questa nota di lavorazione, è presente una datazione manoscritta “1963?”. Il soggetto B è una copia di G1, ricca di correzioni manoscritte, inserti e cancellature. Sulla prima pagina sono presenti le note manoscritte: “Superata” e “Letta il 18/6/63 a Marco, Enzo, [Luca?]”. Il soggetto C si intitola Diario di una donna (soggetto-trattamento), è datato 22 giugno 1963 e presenta la nota manoscritta “Da qui copiato per De Laurentiis”. Si tratta di una riscrittura con molte differenze formali rispetto alle varianti precedenti. Sono presenti numerose correzioni, inserti e cancellature manoscritte. Il soggetto è diviso in una prima parte relativa all’idea del film e una seconda parte in cui sono riportati estratti del diario della protagonista che dettagliano meglio alcuni episodi della vita matrimoniale prima dell’entrata in guerra. Il soggetto F è una nuova versione del precedente che integra le tante correzioni oltre ad alcune variazioni formali, e conclude la vicenda con Carlo rannicchiato a piangere dopo la lettura del diario. Sulla prima pagina sono presenti le note manoscritte “Consegnato a De Laurentiis il 31-7-63” e “Nota: è lo stesso soggetto consegnato a De Laurentiis, ma con le visibili correzioni, specie nelle pagine 19-20”. Il soggetto D è un’ulteriore versione che integra tutte le correzioni della precedente e opera qualche altro breve taglio. Nella prima pagina è presente la nota dattiloscritta: “Consegnato a De Laurentiis il 31/7/1963”. Il finale è identico al soggetto F e il documento si conclude con la dicitura “Fine”. Il soggetto E è una copia del precedente con moltissime correzioni, cancellature e inserti manoscritti.
Da notare che in archivio sono presenti numerose Considerazioni generali sul progetto che approfondiscono la figura della protagonista a partire dal racconto del ritrovamento del suo diario da parte degli autori, oltre a un trattamento di 42 pagine. In particolare, il trattamento e le Considerazioni dalla A alla D presentano tutti la dicitura “Consegnato a De Laurentiis il 31-7-63”, quindi sono stati inviati insieme al resto del materiale. Questo primo filone del 1963, consegnato a De Laurentiis, non è semplice da seguire. Da una parte, tra il febbraio e il maggio del 1964, Zavattini produce una versione “umoristica” del soggetto, archiviata a parte. In essa troviamo un’indicazione sui possibili interpreti nella dicitura dattiloscritta “(Loren, Gassman?)”. In questo caso la vicenda si trasforma in una convenzionale storia di equivoci, triangoli amorosi e gelosia. Nella versione umoristica D, si trova anche una nota manoscritta “Copia come quella data a Ponti il 29/5/64” che testimonia il fatto che anche questa versione, seppur non prosegua oltre questo filone, è stata sottoposta alla revisione di un produttore. Dall’altra parte però prosegue anche il lavoro sulla versione originale. Il soggetto H1, molto diverso dai precedenti, sembra essere una versione successiva che conduce alla rilavorazione del 1965. Il soggetto I1 continua a presentare la struttura con una prima parte dedicata all’idea del film e una seconda al soggetto vero e proprio, oltre a numerose correzioni e inserti manoscritti poi integrati nel soggetto G, che si intitola Diario di una donna (soggetto di C.Z.) e presenta la nota manoscritta “Copia corretta, battuta dalla Signora Milano (originale mandato a Rizzoli e ritornato […] il 16/7/65)”. Questa versione è molto lunga, quasi un trattamento, presenta diverse correzioni manoscritte e amplia i vari episodi della vicenda trasformando gli spezzoni in prima persona del diario di Silvia in resoconti narrati dall’autore. Il soggetto L1 si discosta ancora dai precedenti, pur mantenendo parti identiche, tra cui il finale e presenta la nota manoscritta “Mario” in apertura. Le prime sei pagine, di impostazione generale del progetto, sono riprese nelle Considerazioni generali E, F e G intitolate A proposito di Un Diario di una donna. La E in particolare presenta diverse correzioni manoscritte e la nota “Consegnate a Bevilacqua il 26/4/68”. La lavorazione del 1968 procede con altre Considerazioni generali sulla protagonista Silvia, dalla H alla N. In H in particolare sono presenti numerose note manoscritte, oltre alla datazione “(1968)”. Le più significative sono senz’altro “manca altro materiale!! 9.5.77, consegnato da Blasetti”; “Caro Blasetti, non è tutto oro, ma qualche considerazione utile la troverai. tuo Za”, e ancora: “Ti prego di tenere tutto il materiale gelosamente, in quanto ne ho solo una copia”. In I invece, oltre all’anno, troviamo la nota: “Materiali fatti leggere a De Sica, De Laurentis, Bevilacqua, Blasetti (anche a Zampa?), Ponti”. Tali note dimostrano anche che questa versione viene ripresa da Zavattini nell’ultimo periodo di lavorazione sul progetto, a fine anni Settanta.
Il successivo filone, tuttavia, è dell’inizio degli anni Settanta. Il soggetto H ha in comune le prime due righe con il soggetto B, ma poi se ne distanzia rapidamente. Nella prima pagina troviamo la nota manoscritta “data una copia a Blasetti, il 27/7/70”. Gli episodi narrati sono molto simili ai precedenti. Il soggetto Z è quasi identico al precedente, con in più alcune correzioni manoscritte e la nota “solita” in testa. A1 è una copia di Z con pochissime altre correzioni manoscritte. Il soggetto I è datato 4/12/70 e presenta diverse differenze formali rispetto al precedente. Il soggetto L è una copia di I con numerose correzioni manoscritte e la nota: “copia del 4.12/70 = a quello dato a Blasetti”. Il soggetto M è un ulteriore copia, che integra le correzioni di L e ne presenta altre, oltre alla nota manoscritta: “ricopiata 28/5/1971”. Il finale è scritto in modo leggermente diverso integrando una nota manoscritta presente nell’ultima pagina di I, non presente in L e M. Il soggetto N è una copia di M e ne integra le correzioni, oltre a presentarne poche altre. Nella prima pagina è presente una datazione manoscritta: “21.6.71”. Il soggetto M1 è una copia di N con la nota manoscritta in testa “accluse 4 note”. Il soggetto Q è una copia di M1 con all’inizio la nota manoscritta “anche qui qualche cosa di buono poi interrotto”. La variante si interrompe alla scena del teatro e presenta qualche correzione manoscritta. Il soggetto S, anche questo quasi un trattamento, integra le correzioni manoscritte del precedente e ne presenta poche altre, oltre a una nota “Blasetti” in apertura. Il soggetto R integra queste ultime correzioni in una versione priva di ulteriori note. Il soggetto B1 è una copia di R con diverse correzioni manoscritte. Il soggetto C1 è una parziale riscrittura di questo filone, con la nota manoscritta “no” in testa. Di più difficile datazione ma sempre appartenenti a questo filone anche i soggetti U e V, dattiloscritti identici e incompleti (manca la seconda parte del soggetto) ma diversi per le molte correzioni e riscritture presenti in V. Entrambe presentano la nota manoscritta “versione cominciata e interrotta, superata”. Il soggetto E1 appartiene a sua volta al presente filone ma, presenta variazioni significative e moltissime correzioni. All’inizio è presente la nota manoscritta “ipotesi” e il nome di Blasetti come regista e co-sceneggiatore cancellato a penna.
Fra il settembre del 1970 e almeno fino all’aprile del 1971, Zavattini lavora inoltre a diverse scalette insieme a Blasetti e a varie prove di dialogo, tutte presenti nell’Archivio Zavattini. In alcune sono presenti commenti manoscritti dello stesso Blasetti e, nella Scaletta E, una breve lettera su carta intestata “Alessandro Blasetti”: “Cesarone mio bello, non so fare di meglio. Ma qualche spunticello forse c’è. Un po’ di appoggio per il tuo lavoro. Non ho fatto copia. Perché speravo di ricorreggere ancora e meglio. Quindi conserva la pagina per rivederla insieme quando mi chiamerai. Dunque: 1° giornali 2° diario con il biondo 3 il testo unito. Ti abbraccio il tuo Blasetti. 15-3-71”.
L’ultimo filone è quello del 1977 e inizia con il soggetto T, una nuova riscrittura che non modifica i contenuti narrativi, con rarissime correzioni manoscritte. Il soggetto O è una copia di T ricca di correzioni con due note manoscritte in avvio: “Restituita da Blasetti, maggio 77 (anche mie tre pagine dialogo [Silvia])” e “Zavattini N 1”. Il soggetto P integra tutte le correzioni di O e ne aggiunge poche altre. Anche in questo caso in avvio si trovano due note manoscritte: “restit. da Blasetti maggio 77” e “Zavattini N 2”.
Il soggetto esce su Vie Nuove in modo seriale nei numeri 23-24-25 del 1969. La versione riportata in Mazzoni (234-253), datata 1971, viene ripresa in Caldiron (2006: 299-324) è quasi identica al soggetto R del 1971, a parte due piccole differenze: la frase “Parlatore mondano, aveva citato La princesse De Clèves e L’histoire d’O come matrici di due donne, opposte nel carattere e nel fascino, le cui figure vedeva convergere stranamente in quella di Silvia. Ch’era rimasta sedotta dallo strano complimento”, è presente nel soggetto R, ma non nella trascrizione. Viceversa, nel penultimo capoverso, la versione stampata aggiunge un “credute immutabili” non presente nel soggetto R. Tali differenze sono riconducibili a una successiva versione leggermente modificata non conservata nell’Archivio Zavattini.
Pubblichiamo nel volume e online il soggetto R, mentre solo online il soggetto A, il soggetto G1, e le Considerazioni generali A, del 31 luglio 1963, ed E.
Mazzoni collega diversi lavori zavattiniani al tema della “diaristica”, intesa come “presa di coscienza della realtà”: “Sono sempre stato animato da questa voglia di prendere in contropiede le cose e di ottenere dagli altri momenti di grande apertura: la confessione direi di più, la diaristica… noi italiani siamo poco diaristici. Per presunzione: tendiamo a considerarlo un imbroglio emotivo, un camuffamento emotivo, in fondo perché evitiamo abbastanza di conoscere le cose come stanno” (1979: 23-24). Alcuni esempi contenuti nel nostro volume, oltre a Diario di una donna, sono: La conferenza, Diario di un uomo, L’uomo ’67, fino a L’ultima cena. La diaristica di Zavattini si sviluppa poi attorno alla ricerca introspettiva a proposito della domanda: “Chi è l’uomo?”, cui cerca di rispondere a volte anche in modo testamentario (La confessione), o confessionale (La cavia). Nel soggetto che presentiamo emerge chiaramente il desiderio di mostrare la “carica autobiografica” dei protagonisti, in questo caso Silvia, come fosse un filtro sulla realtà, che non viene mai descritta in ampiezza ma sempre per sottrazione, per ridurre il racconto all’intimità della percezione personale. Riportiamo un estratto dalle Considerazioni generali F del 1968, in cui Zavattini approfondisce la natura della protagonista e le intenzioni del film: “Questo soggetto è ispirato dal diario tenuto segretamente da Silvia R., una donna sui trenta sposata a un noto giornalista e scrittore, Carlo T., pressappoco della sua età. Il diario va dal 1939 al 1940, e le sue ultime righe sono state scritte il 10 giugno, proprio nel pomeriggio mentre Mussolini stava annunciando al mondo che l’Italia entrava in guerra. Il racconto si svolge su due piani che si intersecano continuamente, quello reale, dalle ore sei circa del pomeriggio fino alla mezzanotte, quando gli aeroplani francesi fecero la prima innocua incursione su Roma; e quello più fantasticato del diario, cioè i pensieri di Silvia, i suoi sempre più arditi ma immaginari tradimenti contro il marito che non ama e non stima più. Carlo T. da fidanzato le era sembrato un uomo perfetto, poi a poco a poco aveva scoperto il suo carattere, nel quale si raccoglievano i più tipici difetti di un italiano, l’opportunismo, il conformismo, un egoismo feroce e mascherato di maschio che crede che tutto gli sia dovuto e soprattutto l’omertà della moglie per qualsiasi azione egli possa compiere al fine di raggiungere una situazione sociale preminente. Il marito è talmente sicuro di sé che senza la scoperta del diario non avrebbe mai avuto neppure il sospetto della verità, e Silvia R. avrebbe continuato a far traboccare soltanto nelle sue nascoste pagine la nausea che le cresceva dentro nei riguardi del marito. Perché Silvia R. non è molto diversa dalla maggior parte delle donne: pur essendo piena di un’istintiva ribellione, di un bisogno sincero, anche se ancora confuso in mezzo a secolari sottomissioni, di emancipazione, non ha il coraggio di dire al marito che non lo ama più, non ha neppure il coraggio di tradirlo, oltre che con il pensiero, anche con il corpo. Di questa ambiguità psicologica soffre nell’intimo, ma si sente destinata a condurla avanti per tutta la vita pur di non infrangere quelli che crede siano i doveri sostanziali di una moglie e di una madre, conservare l’unità della famiglia a costo di qualsiasi finzione, di qualsiasi ipocrisia morale, anche quando l’odio ha inequivocabilmente sostituito l’amore. I delitti del marito, che provocano l’avversione di Silvia R. non sono quelli che riempiono le cronache dei giornali. Sono quelli che l’occhio vede implacabilmente attraverso gli usi e costumi quotidiani, domestici: la naturale capacità di osservazione di Silvia R., raffinata nel silenzio del disamore, riesce a svelarci quanto male, quanta ingiustizia, quanta viltà e quanta inaccettabile prepotenza si celi nel tessuto dei rapporti tra marito e moglie che risultano pertanto come espressioni di una società ferma nei confronti delle esigenze attuali della coscienza. Il film vuole dare a tutto tondo questo ritratto di donna, e con lei una situazione matrimoniale che non è soltanto la conseguenza di un momento lungo quale fu il fascismo: anche oggi, sotto nuove forme, la psicologia della donna è inceppata da secolari remore, e per questo il film intende far giungere fin sulla nostra spiaggia le onde del suo significato. Ma sotto il fascismo, i valori familiari, tradizionali, erano in modo schematico, retorico, di continuo esaltati, e perciò era il clima più adatto per accrescere fino allo spasimo il dilemma posto a una donna come Silvia R., che anticipava vivendoli con una franchezza solitaria – a volte rabbiosa e a volte poetica – i problemi di fondo della donna moderna. Da questo profilo, si possono stabilire dei nessi molto stretti tra quella situazione pubblica e le situazioni private, di cui Silvia R. e il marito rappresentano un preciso campione, situazioni sorrette da impalcature fittizie, dalla necessità di apparire più che di essere, da idee subite più che da decisioni autonome. Nelle nostre intenzioni, il racconto deve svolgersi come narrato dalla protagonista, per sentire sempre dietro ogni fotogramma il suo fiato caldo, appassionato, la sua immaginazione erotica che coincide con la ricerca di un uomo insieme al quale il letto non sia il torbido rifugio, una fuga dalla verità, ma la sublimazione della verità stessa. La libertà dei sensi corrisponde per Silvia R. a chiarezza e lealtà, a libertà responsabile; l’adulterio che essa non riesce a compiere, in effetti, si configura nel suo spirito come un grido di purezza e di coerenza. Insistiamo: non è l’avidità di una dissoluta in questo suo incessante variare di immaginari interlocutori, ma la istintiva speranza, che le si accende sempre più dentro, quanto più il marito decade nell’animo, di trovare colui che la aiuti a togliersi dalle mistificazioni fra le quali sente che tutti vivono come su un vecchio palcoscenico. Il marito, scoperto il diario, la chiama puttana. Non può chiamarla diversamente, secondo la mentalità del novantanove per cento degli uomini, particolarmente italiani. Infatti essa era venuta meno a quella immagine di donna e di sposa e di madre che allora più che mai vigeva. E che vige ancora oggi, lo abbiamo già detto, ma almeno oggi c’è qualche nuovo fermento, se è possibile fare un film come questo che di quei fermenti vorrebbe essere stimolatore. Da un punto di vista non esteriormente formale vogliamo aggiungere che gli elementi cosiddetti storici, quali per esempio il raduno a piazza Venezia, non vanno considerati anche da un punto di vista figurativo, come elementi documentari, ma piuttosto come sempre rievocati dalla protagonista, quindi per scorcio, per sintesi, in funzione di quanto il suo sguardo, il suo cuore in quel momento interpretano; e tutto quel fragoroso giorno solenne, quelle luci, quei canti, quelle bandiere, sono raccordate di continuo dal dramma familiare ch’essa sta vivendo. Riusciamo a sentire, come un odore nell’aria, che la crisi di Silvia R. e di Carlo T. si mescola con una crisi più generale, che crollano insieme fatti grandi e fatti piccoli, fondati su principi e abitudini ormai logore” (Considerazioni generali F: 130-134).
Durante questa prima fase di lavorazione del soggetto fra il 1963 e il 1964, Zavattini e De Sica ne parlano spesso, sia in relazione a questioni produttive, sia per discutere gli interpreti. In queste conversazioni emerge la forte convinzione di Zavattini per il progetto e in generale per il tema della “diaristica”; scrive Zavattini: “Caro De Sica, il 20 consegnerò il Diario di una donna. […] ronzo continuamente intorno al Diario di una donna alla ricerca del punto d’appoggio. Suppongo di riuscirci, anche se il modo di pensarci tutti i giorni non è quello vistoso del pensatore di Rodin” (lettera a De Sica del 11 giugno 1963, ACZ D499/310); risponde De Sica: “Spero che finalmente la situazione relativa alla parte letteraria del film possa dirsi a buon porto […]” (lettera a Zavattini del 21 settembre 1963, ACZ D499/128); “Ti parrà strano ed assurdo quanto sto per dirti. Mi occorrerebbe ambientarlo in Messico. Io lo proporrò a De Laurentiis. Le ragioni te le spiegherò a voce a Roma. Qualora non si potesse, dovrò allora rinunciare ad esso e seguire invece la storia di un tuo soggetto messicano […]” (lettera a Zavattini del 1963, ACZ D499/123) Scrive ancora Zavattini: “La tua idea di Gassmann comincia a incarnare i personaggi, e lui e la Lollo possono formare una coppia ideale e nuova; per la Lollo è una grande occasione, tu puoi rimetterla alla luce in un modo inedito e convincente” (lettera a De Sica del 5 maggio 1964, ACZ D499/315); “[…] almeno per due terzi i motivi fondamentali e di forma (l’idea del “Diario” è eccellente) sono già belli caldi e strutturati in me. Sento di potervi bruciare dentro anche degli elementi del Diario di un uomo, te ne sarai già accorto” (lettera a De Sica del 7 maggio 1964, ACZ D499/316); “Io penso che sarebbe assolutamente fuori posto tenere bloccato questo progetto per la Lollobrigida; lo si farebbe, e non è neppure certo, alla fine del ’65. In questo momento invece esso rappresenta una novità totale, con una carica spettacolare indiscutibile. Se Ponti ne dubitasse, vorrei illustrargli questa mia convinzione e capirebbe come capì per La ciociara dopo aver insistito con il no per tanto tempo. […] Sottratto agli scrupoli privati di De Laurentiis, il soggetto può articolarsi in tutta la sua liberazione sessuale che coincide con una liberazione morale” (lettera a De Sica del 15 giugno 1964, ACZ D499/320); “Ho per esempio fiducia al cento per cento, da ogni punto di vista, per il Diario di una donna, perché sarebbe nuovo e tuttavia nei tuoi mezzi espressivi, solo [vorrei] che si discutesse in proposito non nel modo frammentario che si è adoperato adesso, sicuramente non per colpa mia” (lettera a De Sica del 24 marzo 1965, ACZ D499/345).
Mazzoni data il periodo di lavorazione di questo soggetto dal 1963 al 1971: “La versione più recente risale al 1971, quando il progetto fu considerato da Blasetti. Il regista aveva già cominciato a pensare agli attori: Silvana Mangano e Enrico Maria Salerno. Una copia del soggetto è stata spedita anche a Ponti” (Mazzoni 1979: 326). Il lavoro con Blasetti, tuttavia, prosegue (o ricomincia) anche nel 1977. Caldiron anticipa la prima idea per questo soggetto citando il Diario cinematografico (p. 437) e in particolare l’8 giugno del 1959. Zavattini scrive: “In automobile ho ripensato a un intreccio, l’ho ristretto in una giornata, il 10 giugno del 1940 a Roma, con la voce di Mussolini che dà l’annuncio fatale. […] In una casa probabilmente del centro, dunque, vive un insegnante con la moglie e la figlia piccolina; lui ama la moglie, crede di essere amato e proprio quel giorno ha trovato un biglietto che gli fa nascere dei sospetti sulla fedeltà della moglie” (Caldiron 2006: 319). In questa prima versione è evidente che il protagonista è l’uomo, non un giornalista ma un insegnante, “fascista per pigrizia”, che scopre il tradimento della moglie. Ancora Caldiron ricostruisce che è De Sica il primo a interessarsi al progetto, mentre Zavattini lo propone anche a Visconti, senza successo (Caldiron 2006: 320-21).
Caldiron riporta anche la questione del rapporto di questo progetto con Una giornata particolare (1977) di Ettore Scola: Zavattini scrive a Ponti il 29 giugno del 1977 a proposito del film: “[…] Come sai, ti dicevo che si diceva, e a me pure sembrava dalla lettura dei giornali, che ci fossero delle somiglianze strutturali tra le due storie. […] Ora non me la sento di fare l’inquisitore… le cose parlano comunque da sole, e posso assicurarti che non pochi hanno rilevato la suddetta parentela strutturale, comunicandomela spontaneamente in presenza di parecchie persone vive e vegete. […] l’attuazione di Diario di una donna sarà ormai fortemente più difficile, se non addirittura impossibile, proprio a causa dell’uscita di Una giornata particolare. Ti prego di darmi una tua sollecita risposta, sarò felice se metteremo tutto a posto con lealtà e amicizia e ti abbraccio insieme a Sophia. Informo Scola, col quale credo che ci vogliamo bene e ci stimiamo (fa dei passi da gigante), sulla sostanza di questa lettera” (cit. in Caldiron 2006: 323-324). L’archivio Zavattini conserva diverse lettere di Blasetti a Zavattini (del 23 maggio 1970; 11 luglio 1970; 8 gennaio 1971; 18 maggio 1971), in cui egli riflette sulla scaletta di Diario di una donna e fa delle proposte di trasformazione. Blasetti interpreta il diario di Silvia come la storia di un “esercito di rinvii”, quelli che lei fa tra il disamore intuito e quello ammesso, mentre legge il personaggio di Carlo come un emblema di “vanità, di arrivismo, di doppiezza, di viltà” (lettera del 23/05/1970). Nella lettera di maggio 1971 Blasetti propone come attori la Mangano e Salerno, spiegando: “Ho detto Salerno, non Mastroianni né Gassman. Salerno è più vivo, più libero, più ambizioso, più sospettabile di cinismo e suscettibile, per contro di realmente nobili aspirazioni. Mastroianni sarebbe incosciente delle sue colpe. Gassman se ne compiacerebbe istrionicamente. Salerno, riconoscendole, può soffrirne in forme dilanianti” (ACZ, Za Corr. 918/49-53).
Za a Il Cairo, 1959 (foto Sobhi Afifi)
Per gentile concessione dell’Archivio Cesare Zavattini, Biblioteca Panizzi, Reggio Emilia