I coniugi Antonio e Maria, maestri elementari di paese, hanno il cruccio di non riuscire ad avere un figlio. Un luminare spiega di una piccola imperfezione di lei, superabile con la ginnastica. Maria si applica e crede di essere incinta, ma è una gravidanza immaginaria. Una chiromante le predice che accadrà in una notte di plenilunio all’aperto, ma quella notte Maria si infortuna, Antonio va a chiamare il medico, Maria trova riparo a casa del suo alunno Giulio. Il mattino dopo, Maria e Antonio si avviano a scuola accompagnati da Giulio.
Dati d’archivio. Collocazione Za Sog R 32/2-33/3 è contenuta in due cassette. La cartella 32/2 contiene undici varianti di soggetto dattiloscritte: A) 8 pp., Si chiamerà Andrea (titolo provvisorio), con note manoscritte, datata «gennaio 1954»; B) 10 pp., Vecchia versione, con note manoscritte; C) 26 pp., Si chiamerà Andrea, con note manoscritte; D) 8 pp., Si chiamerà Andrea (titolo provvisorio); E) 19 pp., Si chiamerà Andrea, con note manoscritte; F) 19 pp., Si chiamerà Andrea – Originale, con note manoscritte; G) 21 pp., Si chiamerà Andrea; H) 27 pp., [stesso titolo]; I) 27 pp., [stesso titolo], con aggiunte manoscritte; L) 30 pp., [stesso titolo], con note manoscritte; M) 30 pp., [stesso titolo]. La cartella 32/3 contiene due varianti di sceneggiatura dattiloscritte: A) 247 pp., [stesso titolo], rilegata, con la dicitura «1ª versione»; B) 265 pp., Lo chiameremo Andrea, con l’annotazione «Prima versione revisionata», anch’essa rilegata. La cassetta 33/1 contiene altre due varianti di sceneggiatura dattiloscritte: C) 242 pp., Si chiamerà Andrea (copia ultima ma scorretta), rilegata, datata «28/10[/1971?]»; D) 223 pp., Lo chiameremo Andrea, con note autografe, rilegata. La cartella 33/2 contiene sei varianti incomplete di sceneggiatura, dattiloscritte e con note manoscritte: E) 60 pp.; F) 28 pp., Pagine riscritte e sostituite. Si chiamerà Andrea; G) 55 pp., Si chiamerà Andrea; H) 53 pp., [stesso titolo]; I) 65 pp., [stesso titolo]; L) 4 pp., con la dicitura «Da aggiungere nella scena della seduta dei professori».
Il soggetto A racconta del signor Marioni, maestro elementare di Roma che «desidera ardentemente un figlio» (p. 1). Va in Svizzera con la moglie da un luminare, il quale «consiglia alla donna di camminare, di vivere all’aria aperta» (p. 3). Marioni è angustiato anche a causa di Dario, un alunno indisciplinato, proveniente da «un ambiente di povera gente; la madre fa la lavandaia e il padre risulta nn» (p. 4). Nel frattempo, porta la moglie in pellegrinaggio al Santuario del Divino Amore. Dopo un “falso allarme” di gravidanza, la moglie di Marioni «si mette nelle mani di certe donne, con pratiche irregolari» (p. 6), finendo quasi morta. Il medico invita la coppia a rassegnarsi. Marioni trova conforto nel prendersi cura di Dario, come fosse suo figlio. Il soggetto B precede cronologicamente A, e presenta un finale alternativo in cui la moglie muore e Marioni, dopo un periodo di depressione, torna a scuola dopo un incontro con il suo alunno Dario: incontro che convince Marioni a riversare «sugli altri ragazzi […] la sua paternità» (soggetto B, p. 17). Il soggetto D ricalca A – integrandone le note manoscritte – e sembra la versione definitiva di questa prima fase di scrittura del soggetto datata 1954.
Il soggetto C è invece successivo a E, di cui integra le aggiunte manoscritte. Il soggetto E è una variante più dettagliata rispetto alle precedenti. Qui i due coniugi si chiamano Antonio e Maria, «vivono in un piccolo paese. […] lei fa la maestra e lui il maestro» (soggetto E, p. 56). La frustrazione di non avere figli li spinge a continue liti. Maria viene descritta come «una giovane sposa, […] inventiva, estrosa, sincera, litigiosa», mentre Antonio ha «un carattere allegro, più accomodante, innamorato della vita» (p. 56): tale differenza si ripercuote sui loro stili di insegnamento. In E l’alunno indisciplinato è di Maria e si chiama Giulio, e, come nel soggetto che pubblichiamo, quando Maria sembra incinta Antonio inizia ad allestire la casa e acquista perfino «una macchinetta cinematografica» (p. 65). Disperata, Maria si affida «alle cartomanti, alle mammone, alle medicastre […], che le asciugano i suoi risparmi» (pp. 68-69). F è la copia di E, ma con l’aggiunta di note manoscritte inedite, come la scena dell’arrivo del medico fiscale a scuola, con Maria che si barrica «nell’aula insieme ai suoi allievi» (soggetto F, p. 88). L e M sono successive a H e I, integrandone le note manoscritte. M approfondisce e accentua l’attaccamento di Maria al suo alunno Giulio. L integra le correzioni di M tra cui l’aggiunta nel finale: «Ci sono gli altri bambini. I bambini degli altri [aggiunta manoscritta: “sui quali si può esercitare il proprio bisogno d’amore”]» (soggetto M, p. 227, poi in soggetto L, p. 197). L presenta moltissime aggiunte manoscritte con due ordini di correzioni, a pennarello rosso e a penna.
La sceneggiatura A ricalca i soggetti L e M, sin dall’incipit del film, ambientato «nell’interno di un piccolo e modesto appartamento […] dove abitano i nostri eroi […]. Eccoli a tavola nel loro tinello» (p. 2). Qui il protagonista non si chiama più Antonio bensì Paolo (di cognome Antonazzi), e i due coniugi abitano ora nella «borgata di San Valentino, la più estrema di Roma» (p. 26). Il personaggio di Giulio si chiama Nino, e si aggiunge il bidello Mariani. Fra le tematiche inedite introdotte dalla sceneggiatura A troviamo la pubblicità e l’ecologia, con un cementificio «che manda nell’aria fumo e polvere» (p. 26), che passerà nel film, e le proteste dei due maestri. Si accentuano anche i tratti femministi di Maria, coi suoi discorsi sull’emancipazione della donna. Sarà lei a prendersi a cuore l’alunno proletario Nino. La sceneggiatura A termina con l’amplesso di Paolo e Maria in un prato al chiaro di luna, e con il loro arresto per atti osceni in luogo pubblico. La sceneggiatura B – con il titolo definitivo Lo chiameremo Andrea – ricalca A, ma si apre col primo giorno di scuola. In B la protesta di Maria e Paolo contro il cementificio avviene durante l’ora di educazione motoria. Nel finale viene abbandonata la scena dell’arresto e ci si riferisce all’allunaggio trasmesso dai notiziari televisivi. La sceneggiatura C è la copia di A. La sceneggiatura D si colloca dopo la B, con modifiche tra cui l’aggiunta della scena serale a casa Antonazzi dopo il primo giorno di scuola. Il finale di D cancella l’allunaggio e introduce una conversazione tra Maria e Paolo sull’opzione di non avere figli. La successione cronologica delle sceneggiature è quindi: A, C, B, D. Le varianti di sceneggiatura dalla E alla L sono scene o parti incomplete.
Pubblichiamo nel volume il soggetto M e online i soggetti A, D e L.
Lo chiameremo Andrea nasce da una prima idea di Mario Carotenuto proposta a Zavattini nel 1954 (Zavattini 2022a, p. 504), che di rimando il 20 febbraio 1954 gli invia un «primo abbozzo» 3 di soggetto (il soggetto B). Il progetto è accantonato però fino all’estate 1967, quando se ne interessa Carlo Ponti (Zavattini 2023, p. 166), il quale presto lo abbandona. Pochi anni dopo, il progetto si interseca con la lavorazione di Una breve vacanza (De Sica, 1973), come testimonia Zavattini in una lettera dell’aprile 1971 al critico Nino Frank: «Ora sto lavorando per De Sica a due film “mercenari” [Lo chiameremo Andrea e Una breve vacanza]: se non me li commissionavano, ero negli impacci economici più preoccupanti» (Zavattini 2005b, p. 355). A fine ottobre 1971 è ancora tutto sospeso (De Luca 1971), finché i produttori Arthur Cohn e Marina Cicogna si impegnano per entrambi i progetti. A novembre 1971 Zavattini termina una prima sceneggiatura di Lo chiameremo Andrea (la variante A), inviandola a Cohn. Ai primi del 1972 si decide per Nino Manfredi come attore protagonista, e a febbraio questi partecipa alle sedute di sceneggiatura (Zavattini 2023, p. 324). In quelle settimane, De Sica in un’intervista dichiara: «sarà una favola controcorrente, con un umorismo alla Zavattini e alla De Sica […]. In questo mondo di oggi – […] del divorzio e della pillola, in cui la donna è soltanto un oggetto di piacere […] – il film intende ridare un senso di poesia all’amore e alla maternità» (De Sica in Ceretto 1972, n.n.). Alla stesura della sceneggiatura collaborano Leo Benvenuti, Piero De Bernardi e Iaia Fiastri, il cui apporto viene riconosciuto da Zavattini. Il lavoro di Benvenuti e De Bernardi viene tuttavia bollato da De Santi come un «massacro della sceneggiatura di Zavattini» (De Santi 2003, p. 171). A marzo 1972 Zavattini invia a De Sica «le ultime correzioni per Andrea», e a metà mese De Sica inizia a girare il film, tra Monte Mario (Gaudio 1972a), la Nomentana (Pertica 1972), Colleferro e la borgata della periferia romana San Basilio. Pochi giorni dopo l’inizio delle riprese, De Sica precisa che nel suo film «ci sarà qualcosa di fiaba alla Miracolo a Milano, qualcosa di umoristico, ma poetico, senza toccare il patetico» (Torri 1972a, p. 10); attribuendone la paternità per buona parte a Zavattini, «sempre così carico di humour, di poesia, con un soggetto dove trovo le mie misure, il mio mondo […]. Non ci sono intenzioni polemiche, semmai ironiche e umoristiche» (Pertica 1972, n.n.). Per la parte femminile, dopo aver inizialmente pensato a Monica Vitti, viene scelta, per la prima volta come protagonista, Mariangela Melato (Maza 1972; Torri 1972b), in quanto (nelle parole di De Sica) «fisicamente più indicata» (De Sica in Cardone 1972) e «antidiva per eccellenza» (De Sica in Majolini 1972, p. 33). Tra i personaggi secondari, De Sica chiama Maria Pia Casilio, la “servetta” di Umberto D. (Gaudio 1972b).
Uscito nelle sale il 14 ottobre 1972, il film ricalca la sceneggiatura D, per l’ambientazione nella borgata di San Valentino (che rimanda al quartiere di San Basilio di Roma) e per la scena iniziale dell’entrata alla “Scuola elementare G. Mazzini”. La signora Soliani e la signora Barini della sceneggiatura D diventano le maestre Soriani e Parini (Maria Pia Casilio), colleghe dei due maestri protagonisti, i coniugi Antonazzi (Manfredi e Melato). Il film accentua la componente ecologista, aprendosi su un paesaggio ammorbato dal fumo della ciminiera del cementificio, e ritroviamo la coppia del direttore autoritario e del bidello servile, spesso perno di gag comiche. Il film accentua inoltre l’invasività della pubblicità, con jingle pubblicitari cantati dai bambini e réclame televisive di sottofondo alla vita domestica. Nel film, Maria intenderebbe mettere al nascituro anche il proprio cognome da nubile, e troviamo una denuncia contro la speculazione edilizia e la «coscienza moderna del cemento», con un lungo discorso ecologista del maestro Antonazzi al direttore della scuola. Tra le maestre più anziane, spicca un cameo di Isa Miranda. Come nella sceneggiatura D, nel finale del film Maria e Paolo rivendicano il diritto a essere felici senza figli.
Già durante la lavorazione, la stampa acclama l’avvenuta «ricostituzione della celebre coppia De Sica-Zavattini» (Castellano 1972, n.n.). All’uscita nelle sale, tuttavia, molti critici restano delusi nelle loro aspettative (Brambilla 1972; Kezich 1977b, p. 316), definendo il film «un’occasione mancata» (Zambetti 1972, p. 31). Rincara la dose Comuzio, rimproverando a Zavattini e De Sica di «aver tirato dentro per i capelli, nel loro film, uno squarcio di “neo-realismo”, e cioè la visita della maestra alla casa della poveraccia oppressa dalla miseria: una stonatura di pessimo gusto […] una malinconica auto-parodia» (Comuzio 1972, p. 92). Il fronte cattolico bolla la pellicola come «stucchevole e stantia […], in bilico tra andamento boccaccesco […] e sentimentalismo roseo alla De Amicis». Il quotidiano «Avvenire» si scaglia contro un’«allegoria pretestuosa e confusa […la] debolezza ideologica degli autori [la] stanchezza della loro vena poetica» (Maraone 1972, n.n.). Il periodico cattolico «Città Nuova» lamenta l’incapacità del film di approfondire «problematiche autentiche e serie, qui trattate con leggerezza, come l’educazione sessuale ai bambini delle scuole elementari e l’adozione di un bimbo orfano» (Molè 1972, p. 46). Sul fronte opposto, il quotidiano socialista «L’Umanità» celebra il «ritorno quanto mai felice di De Sica alla commedia […], senza mai tralasciare comunque l’aggancio con una “realtà” amara» (Guerrini 1972, n.n.). L’«Avanti!» rimprovera invece al film «la preoccupazione di non impegnare troppo lo spettatore con proposte problematiche», mentre Argentieri vi legge un De Sica «già in pensione» (Argentieri 1972, n.n.). Casiraghi bolla il film come «anacronistico, […] perché della illustre coppia Zavattini-De Sica rimangono soltanto gli scampoli di una poetica antica. […] Gli accenni sociali rimangono ai margini» (Casiraghi 1972, n.n.). Ancor più drastico Morandini, che la definisce una «commedia ginecologica» inverosimile, priva di «un minimo di rispetto per la passata poetica zavattiniana del “pedinamento della realtà”» (Morandini 1972, n.n.). Tuttavia non mancano gli apprezzamenti: il «Corriere della Sera» definisce Lo chiameremo Andrea «un’operina da teatro di corte dove […] certe tipiche situazioni di marca zavattiniana, sull’orlo dell’assurdo e del bamboleggiante, sono rese con accenti azzeccati da De Sica» (Grazzini 1972, n.n.). «Il Giorno» parla di «un film fresco e gentile, spiritoso e acuto […] in quella chiave piccolo borghese in cui Zavattini e De Sica sono specialisti: […] il motivo più autentico è lì, negli affetti domestici, nelle cucine dove si mangia per risparmiare i mobili del salotto buono, nei bambini che vanno a scuola, nelle piccole (e grandi) liti familiari» (Bianchi 1972, n.n.). «Il Mondo» giudica il film una «favoletta comico sentimentale […] non priva di frecciate polemiche […] sulla smania di aver figli della piccola borghesia italiana e su spunti d’attualità come la scuola, l’ecologia, la contestazione, l’erotismo» (Visentini 1972, p. 23). «Epoca» plaude al «garbo con cui vena ironica e vena patetica si integrano» (Meccoli 1972, n.n.). La rivista femminista «Noi donne» – in passato dalla parte di Zavattini – si trova costretta a «dover parlare male di Lo chiameremo Andrea», in quanto privo della verve abituale «del vecchio sentimentale ma ruggente sceneggiatore». In tempi più recenti, De Santi ravvisa qualche «traccia della levità fantastica zavattiniana» nell’ironia e nell’intimo lirismo di taluni episodi, come il finale del film, in cui «per un attimo la poesia patetica e surreale di De Sica e Zavattini torna a dare qualche colpetto timido» (De Santi 2003, p. 172).
LL