Una banale lite per strada tra due coppie, una più anziana e tradizionalmente borghese, l’altra più giovane e irregolare, finisce con una revolverata. Le azioni vengono sezionate, riviste al contrario, rallentate e variate grazie ai mezzi del cinema (montaggio all’indietro, ripetizione di singole scene o dettagli, ralenti, primi piani).
Dati d’archivio. Collocazione: Za Sog NR 21/4 contiene: varianti di sceneggiatura A) 12 pp., Un minuto di cinema. Di Cesare Zavattini, datato 1943; B) 10 pp., Un minuto di cinema di Zavattini, datato 1943. Le due versioni di 11 pagine presenti in Archivio Zavattini, datate entrambe 1943, sono indicate come “Sceneggiature” e si presentano scritte solo sulla colonna di sinistra, lasciando la destra per i dialoghi. La versione A è la più antica perché presenta molte aggiunte scritte a penna, con pagine intere autografe e i dialoghi molto definiti (con gli insulti tra i due uomini); il soggetto B trascrive le note di A, ma aggiunge a matita molte specificazioni sui personaggi, ad esempio che la prima coppia ad apparire “è la più anziana, più matrimoniale” (soggetto B: 14), mentre l’altra “è un po’ più giovane; forse non sono marito e moglie, piuttosto un impiegato a spasso con la sua ‘maschietta’” (id.: 14); al posto dei dialoghi con parolacce la versione B scrive a matita tra parentesi “insulti” o “battute degli altri” o “pensieri degli spettatori”; nell’ultima pagina della versione B si trova la scritta a matita “l’altoparlante insegue gli spettatori” e nel retro della pagina, accanto a disegni a penna, le scritte: “1) gelosia al [illeggibile] 2) lei è muta [illeggibile] 3) il grido”.
Pubblichiamo nel volume e online la sceneggiatura B, mentre online la sceneggiatura A.
“Un minuto di cinema del 1943 può considerarsi il manifesto di questa poetica dell’evento. Una lite in strada che dura tre (o un) minuto di tempo reale, viene scomposta in 90 minuti di tempo cinematografico […] per analizzare il fatto in tutte le sue componenti psicologiche, emotive, culturali, sociali. Disposizione che si ripeterà spesso in Zavattini” (Mazzoni 1979: 8).
Spiega Zavattini in una intervista uscita nel 1942 su Cinema (“Zavattini dice: un minuto di cinema”, n. 136, 25 febbraio 1942: 111, intervista a firma R.G.; ora in Zavattini 2002: 655-658): “Posso tornare da capo analizzando la scena in parecchi altri modi raggiungendo così i 90 minuti, cioè la lunghezza di un film, con poca spesa. E certo avrei il film più economico che si sia mai fatto al mondo. Si tratta di considerare il tempo da un diverso punto di vista morale, cioè il fotogramma con lo stesso rigore che sempre più adoperiamo verso la parola. Con un’azione di sei, sette, otto minuti mi sento in grado di fare un film di lunghezza normale e perfino accettabile ai produttori (spesa irrisoria, poche migliaia di lire).” Con quaranta metri di pellicola, un solo minuto di proiezione: si tratta della prova scritta di un concetto di cinema, il dettaglio che diventa racconto dilatato e che apre alle variazioni: una esplorazione del linguaggio cinematografico e della sua potenzialità.
Il soggetto, nella versione breve di una prima idea, è stato pubblicato su Straparole. Diario di cinema e di vita (anno 1940-1943), con il titolo Un minuto: “Conoscere una vecchia situazione in un modo nuovo: una lite, un minuto di questa lite mortale, che diventa 90 minuti di cinema senza aggiungere nulla ma soltanto accelerando, rallentando, retrocedendo, riavviando, arrestando, ingrandendo, rimpicciolendo, accostando, disgiungendo anteponendo posponendo (mettere il sonoro dei lamenti funebri quando il morto era ancora vivo e operava con una sua interezza, una presunzione di cui né lui né gli altri avevano il sospetto, che si sgrana in passi, in atti creduti originali e sono increati: così si desautora il morto stesso e ci viene richiesta una partecipazione inedita” (Zavattini 2001: 408).
Ancora su Cinema (n. 68, agosto 1951) Paladini, in uno dei cinque articoli dedicati ai soggetti non realizzati da Zavattini (Distesa interpretazione dell’anima collettiva, pp.68-70) ritorna sul progetto: “Il film avrebbe dovuto chiamarsi Tre minuti di cinema (…) Al tempo in cui Zavattini lanciò l’idea nessuno la raccolse tranne un giovane allora del tutto sconosciuto, che gli scrisse una lettera persino commovente dichiarandosi disposto a realizzare il tentativo in un film a passo ridotto. Si chiamava Carlo Lizzani; con lui e con Ruggero Jacobbi Zavattini diede mano a un inizio di sceneggiatura, ma l’impresa si arenò presto”.
A proposito di questo progetto, De Vincenti scrive, alla voce Sperimentalismo del volume collettaneo Lessico zavattiniano: “I dinamismi delle articolazioni interne al testo ricordano, nella formulazione zavattiniana, quei concetti di ‘sistema’, ‘funzione’ e ‘gerarchia’ che, esplicitati da Tynjanov, troviamo operanti in tanto cinema avanguardistico e sperimentale […] Già nel 1942, dunque, Zavattini propone un cinema di ricerca autenticamente sperimentale perché mette alla prova se stesso come linguaggio, proprio nel momento in cui prende in considerazione lo sguardo dello spettatore” (De Vincenti 1992: 254-55). Anche Parigi ricorda che, come tutti gli artisti che hanno respirato il clima delle avanguardie storiche, “Zavattini vuole liberare prima di tutto l’immagine dalla narratività e dalla rappresentazione naturalistica […] per mostrare, invece, lo sguardo cinematografico in azione, per mettere in opera i suoi meccanismi non narrativi, ma riflessivi, concettuali” (Parigi 2006: 34).