Nato a Milano sotto un cavolo, Totò viene adottato dalla vecchina Lolotta e dopo la sua morte cresce in orfanotrofio. Uscitone ventenne, Totò va a vivere con dei barboni in una baraccopoli di periferia, ma l’industriale Mobbi tenta di scacciarli perché vi si trova il petrolio. Grazie a una colomba magica donatagli dallo spirito di Lolotta, Totò compie molteplici “miracoli” per resistere, fino all’esodo dei barboni, che volano via a cavallo di scope.
Dati d’archivio. Alla collocazione Za Sog R 36/3-37/5 troviamo due cassette con molte cartelle: denominiamo i materiali per chiarezza in ordine di archivio con lettere maiuscole progressive. Le cartelle 36/3-5 contengono due varianti di trattamento e una sceneggiatura, dattiloscritti con note manoscritte: trattamento A) 68 pp., Prima (36/3); trattamento B) 45 pp., Seconda. Personaggi (36/4); sceneggiatura A) 387 pp., I poveri disturbano, rilegata (36/5). Le cartelle 37/1-5 conservano altre varianti di sceneggiatura: sceneggiatura B) 425 pp., Totò il buono, dattiloscritto con note manoscritte, rilegata (37/1); sceneggiatura C) 134 pp., [stesso titolo], dattiloscritto con note manoscritte, rilegata (37/2); sceneggiatura D) 379 pp., “Copione depositato dalla famiglia De Sica al Centro Sperimentale di Roma”, fotocopia da dattiloscritto (37/4); e due varianti di soggetto, dattiloscritte con note manoscritte: soggetto A) 31 pp., Totò il buono (dal racconto di Cesare Zavattini), con firma autografa di Zavattini su ogni pagina (37/3); soggetto B) 11 pp., Miracolo a Milano, con una Prefazione alla traduzione del libro (37/5). Utilizzeremo le lettere A e B esclusivamente per riferirci ai due soggetti presenti in ACZ , mentre le varianti di soggetto non presenti in ACZ saranno identificate con il rispettivo anno o luogo di edizione.
Silvana Cirillo riferisce di una versione originaria di soggetto di 7 pp. del 1939, seguita da due versioni intermedie dattiloscritte, leggermente diverse tra loro (non presenti in ACZ ), nelle quali compare un principe saggio, consultato da Totò, e un finale (nella prima versione intermedia) con i poveri che volano «verso quel regno nel quale potranno vivere anche senza petrolio» (Cirillo 1999, p. 45). La prima variante edita del soggetto, apparsa su «Cinema» nel settembre 1940 con il titolo Totò il buono (Zavattini, De Curtis 1940), si apre con un antefatto fiabesco: la nascita di Totò in un campo di cavoli e la sua amorevole adozione da parte di due coniugi. Totò diventa «un uomo magro e modesto sui trenta anni» (Zavattini 2006, p. 74), dal carattere ingenuo e cordiale; lavora presso un marmista e abita in una baraccopoli di una «città moderna dello stato di Aaa» (p. 74), che Totò ha organizzato secondo solidarietà e giustizia sociale. È «una specie di Primula Rossa, di Zorro. Ma quanto più ingenuo!» (p. 76). La scoperta del petrolio nel terreno mette in moto un Plutocrate e il suo esercito, contro il quale i baraccati lottano grazie ai miracoli compiuti da Totò (per intercessione di due angeli), con armi “pacifiche” quali topi o racchette da tennis. Totò dona vita a una statua femminile di cui è invaghito, la quale si lascia corrompere e lo tradisce. Creduto morto, con tanto di funerale, Totò guida infine i poveri in un volo a cavallo di scope, «verso quel regno nel quale tutti dicono buon giorno volendo veramente dire buon giorno» (p. 80).
La variante di soggetto più antica in ACZ è quella che chiamiamo soggetto A (Za Sog R 37/3), successiva però a quella di «Cinema» del 1940, di cui mantiene il titolo Totò il buono. Una dicitura manoscritta recita: «depositato alla SIAE» (p. 1). Rispetto al soggetto del 1940, nel soggetto A si precisa la città: Milano, con luoghi come il teatro alla Scala e il duomo; si mantiene la caratterizzazione di Totò; invece di Gec (barbone invidioso e avido) qui troviamo Michele. Novità del soggetto A sono alcune gag e la festa dei poveri con relativa lotteria. La scoperta del petrolio viene riferita da Michele a un ricco affarista della città, Carlo Mobbi. Rispetto al soggetto del 1940, la parte finale del soggetto A è singolare: Totò è deluso e in preda a «pensieri lugubri» (p. 29) e propositi di vendetta; con un salto temporale vediamo poi il terreno della baraccopoli diventato zona di estrazione petrolifera, e tra gli operai ecco Totò – ora con «moglie e figli e con [una misera] busta paga» (p. 31), con Mobbi che ordina di licenziarlo.
Il 23 febbraio del 1950 – a lavorazione del film già avviata – un’ulteriore variante di soggetto viene pubblicata dalla rivista «Il Momento», con bozzetti di Franco Gentilini, con il titolo Miracolo a Milano. Rimane l’incipit fiabesco e compare per la prima volta l’anziana e buona Lolotta, al posto della coppia di genitori adottivi del soggetto del 1940. Un climax drammatico, che verrà ripreso in sceneggiatura, è il funerale di Lolotta con il solo Totò dietro il carro funebre per le vie della città. Nel soggetto del 1940 Totò è «segaligno, sui trent’anni, ricalcato sull’attore omonimo» (Cassarini 2000, p. 57), mentre nel soggetto del 1950 compare «un ragazzo ventenne» (p. 57).
Se – nel soggetto del 1940 e nel romanzo di Zavattini – il villaggio di capanne appare come un luogo ideale nato dalla creatività del protagonista, nel soggetto edito nel 1950 esso risulta invece già esistente, seppure poi riorganizzato da Totò secondo gli stessi principi di solidarietà. Nel soggetto del 1950 troviamo per la prima volta il personaggio di Edvige, «una ragazza sui quindici anni, così povera che faceva la domestica ai poveri, certi Giuseppe e Marta» (Zavattini 2006, p. 129), ben differente dalla statua di cui si invaghisce Totò nel soggetto del 1940. Tra gli altri personaggi spiccano il mendicante nero e la ragazza bianca, segretamente innamorati l’uno dell’altra, e Rappi, nel quale ritroviamo i caratteri negativi già di Gec nel soggetto del 1940 e di Michele nel soggetto A. Mentre nel soggetto del 1940 il Plutocrate sembra rappresentare più una figura-tipo che un personaggio in carne e ossa, il Mobbi del soggetto del 1950 acquisisce tratti psicologici falsamente cordiali, come quando riceve una delegazione di mendicanti nel suo ufficio. La scoperta dell’acqua (poi rivelatasi petrolio) suscita un’euforia generale che culmina in un canto dei poveri che ritroveremo in sceneggiatura e nel film: «Ci basta una capanna per vivere e dormir, ci basta un po’ di terra per vivere e morir» (p. 130). Nel soggetto è lo spirito di Lolotta a offrire a Totò una colomba miracolosa, e il finale vede i poveri che «volarono via come i passeri» (p. 134).
Il 20 febbraio 1950 la rivista «L’Écran Français» pubblica in esclusiva lo «scénario» Toto le magnanime (Zavattini 1950b). Rispetto al soggetto uscito in quello stesso anno su «Il Momento», lo «scenario» francese presenta talune discrepanze – a partire dal titolo, che traduce quello del soggetto del 1940 Totò il buono –, è privo di ogni riferimento geografico ed è suddiviso in nove paragrafi (Parigi 1992, p. 272). La differenza più rilevante si riscontra nel finale: la versione francese riporta l’episodio del volo a cavallo delle scope, già presente nel soggetto del 1940 e nel romanzo del 1943, mentre il soggetto del «Momento» si limita a far volare i poveri. Questo confronto conferma l’ipotesi di Cassarini (2000, p. 55) che Toto le magnanime non sia una mera traduzione, ma una versione anteriore.
Nessuno dei due soggetti del 1950 risulta ancora quello definitivo, come apprendiamo da una lettera inviata da Zavattini il 30 ottobre 1950 al direttore di «Epoca», con la volontà di aggiungere due trovate narrative recuperate dal romanzo Totò il buono: lo spettacolo (a pagamento) del tramonto e l’affitto dei laudatori (Nuzzi, Iemma 1997, p. 162). Non a caso, tali scene si trovano nel soggetto B, cioè la variante più recente tra quelle pervenute, datata 1950, forse concepita come prefazione italiana a un’ipotetica edizione tradotta del romanzo Totò il buono. Il soggetto B risulta quasi identico alla variante uscita su «Il Momento», ma presenta correzioni e aggiunte manoscritte con le due scene comiche sopraddette. Similmente ai soggetti del 1940 e 1950, il soggetto B si chiude con Totò e i suoi compagni che si dirigono in volo verso un regno allegorico.
Su «Filmcritica» del 3 febbraio 1951 si accenna a un trattamento di 100 pp., scritto tra il 1948 e il 1949, ma che non è tra quelli conservati in ACZ dello stesso periodo, entrambi nettamente più brevi. Il trattamento che denominiamo A (Za Sog R 36/3), senza titolo, si apre nel 1930 lungo il Naviglio e si presenta come una via di mezzo tra il soggetto del 1940 e quelli del 1950. Leggiamo alcune scene inedite, tra cui un carro armato che attraversa Milano (siamo nel 1938) e una corposa aggiunta manoscritta con Totò messo in fuga dalle guardie assieme a dei mendicanti. Ritroviamo l’invaghimento di Totò verso la statua, poi animata, che diventa fedifraga come nel soggetto del 1940 e nel soggetto A. Il finale del trattamento A ripropone, con un’aggiunta a penna, Totò, Edvige e i mendicanti che volano verso un «pezzo di terra dove i poveri possano abitare senza pericoli» (p. 68).
Il trattamento B integra le correzioni e aggiunte manoscritte del precedente, con l’introduzione di un elenco dei personaggi, tra cui: Totò, «un giovane di 18-20 anni, […] così buono che non se ne accorge neanche»; Edvige, «una ragazza di 15 anni, muta e timida, ma salta le siepi come un gatto»; Lolotta, «una vecchina di 70 anni, agilissima come una bambina e meravigliata come Totò» (p. 1).
La sceneggiatura B riporta ancora il titolo provvisorio Totò il buono, con la data «Marzo 1949» (p. 425), sebbene una scritta in copertina dati la chiusura a giugno 1949. Come apprendiamo dall’elenco dei personaggi, ora Totò è «un ragazzo diciassettenne» (p. 3), mentre Edvige è «una ragazza sedicenne» (p. 3). Si tratta della sceneggiatura più antica presente in ACZ , con sequenze che non ritroveremo più successivamente, come quella in cui i mendicanti sono cacciati dalla “Loggia dei mercanti” e si spingono verso la periferia, dove decidono di accamparsi. Nel finale della sceneggiatura A troviamo il volo dei mendicanti sopra piazza Duomo e poi verso l’orizzonte. La sceneggiatura C è incompleta, dal titolo Totò il buono, e ripropone in modo pressoché identico, salvo talune pagine mancanti, la seconda metà della B.
La sceneggiatura A è invece intitolata I poveri disturbano, e presenta corpose note e correzioni a penna (attribuibili a più mani). Tale sceneggiatura riprende i trattamenti esaminati, ma avvicinandosi ulteriormente al film realizzato. Quando, ad esempio, Lolotta torna dalla spesa, non rimprovera Totò per il latte versato (come nei trattamenti), ma si mette a giocare con lui, facendo finta che quel rivolo di latte sia un fiume. Scompaiono i riferimenti alla guerra, tranne che per le canzoni dell’epoca quali Faccetta nera e Lili Marlene. La sequenza del mendicante che ruba la valigia a Totò viene riscritta a penna (da una calligrafia forse attribuibile a Suso Cecchi D’Amico) e così entrerà nel film. Ritorna inoltre il discorso paternalistico pronunciato da Mobbi ai poveri delle baracche e si ripropone la sequenza della festa, qui però sviluppata con tanti spettacoli non presenti poi nel film. Edvige non è muta come nei trattamenti, e inoltre Totò le si dichiara in occasione della festa, quando viene “scoperta” l’acqua sotterranea (p. 139). A differenza che nei trattamenti, è il mendicante Arturo a essere innamorato della statua, la quale diventata donna si invaghisce di Totò. La sceneggiatura A recupera il finale del soggetto del 1950 e del soggetto B, con lo “stormo” di mendicanti sulle scope che scendono in picchiata sulla baraccopoli, interrompendo il discorso di Mobbi. La sceneggiatura D, depositata al Centro Sperimentale di Roma, riprende la A, integrandone la numerazione delle inquadrature e le lunghe aggiunte a mano. In definitiva, la successione cronologica delle quattro varianti sceneggiatorie di ACZ risulta (nella nostra rinominazione): B, C, A, D.
Il soggetto di Totò il buono − apparso per la prima volta su «Cinema» nel 1940 (Zavattini, De Curtis 1940) − viene ripubblicato da Jandelli (1994), da De Santi e Manuel De Sica (Zavattini 1999a, nonostante la fuorviante dicitura: «testo del ’43» [p. 67]), da Bompiani (Zavattini 2004) e, infine, da Caldiron (Zavattini 2006, pp. 74-80). Il soggetto Miracolo a Milano − apparso per la prima volta nel 1950 sulla rivista romana «Il Momento» (Zavattini 1950c) − viene ripubblicato (pochi mesi dopo) sul primo numero di «Epoca», poi da De Santi e Manuel De Sica (Zavattini 1999b), e da Caldiron (Zavattini 2006, pp. 128-135). Nel 1983 «Bianco & Nero» pubblica la sceneggiatura di Miracolo a Milano desunta alla moviola da Angela Prudenzi (1983), la quale trascriverà poi un’ulteriore versione dalla copia del film restaurata nel 1999 (Prudenzi 1999). Esistono inoltre due riedizioni in inglese della sceneggiatura (De Sica 1968).
Pubblichiamo nel volume la variante di soggetto B, integrando le correzioni, e online il soggetto A e stralci del trattamento B.
L’ideazione di Totò il buono risale al 1939, a cui datano le prime due versioni del soggetto (Cirillo 1999); a luglio dello stesso anno Zavattini medita di scrivere un «libro per ragazzi» (Zavattini 2005b, p. 642), il romanzo Totò il buono. Nel marzo 1940 scrive: «Un film che vorrei fare: Il buono a colori. Una specie di Cristo molto terreno, sulla quarantina, che compie miracoli in tecnicolor» (Zavattini 1940a, p. 172). Nel settembre dello stesso anno, Zavattini pubblica su «Cinema» il soggetto Totò il buono (Zavattini, De Curtis 1940), con illustrazioni di Lotte Reiniger, pensando come protagonista ad Antonio De Curtis (in arte Totò), il quale controfirma il soggetto. Questo «Totò redentore» (Guarini 2014, p. VI) è la prima tappa della gestazione di Miracolo a Milano. Nei mesi precedenti, lavorando a San Giovanni decollato (Palermi, 1940), Zavattini era rimasto affascinato dalla geniale comicità di Totò (Zavattini 1940c; 1940d). Paladini (1948) racconta di Totò il buono, dei primi incontri fra i due, della diffidenza mostrata dai produttori (in particolare Scalera). Il soggetto sarebbe da intendersi come scritto solo da Zavattini, nonostante la firma di Totò (Cosulich 1992; Nuzzi, Iemma 1997); quest’ultimo ribadisce la paternità zavattiniana in una lettera del 23 gennaio 1941, attribuendosi solo l’idea della nascita del protagonista sotto un cavolo, e cede formalmente a Zavattini tutti i diritti (De Curtis 1992). Considerata una copia inedita della lettera firmata da Totò, è probabile, secondo Jandelli (1994, p. 147), che sia stata scritta dallo stesso Zavattini. Tra l’altro, Totò non vuole interpretare Miracolo a Milano, e non si fa convincere neppure quando Zavattini «gli portò a casa De Sica appena uscito dall’avventura di Ladri di biciclette» (Anile 2017).
Dopo averne spesso accennato nelle lettere e nei diari, a fine marzo 1942 Zavattini annuncia a Valentino Bompiani di aver appena «finito [il romanzo] Totò il buono» (Zavattini 2005b, p. 671), che esce a puntate sul settimanale «Tempo» a partire dal 14 maggio 1942 (Zavattini 1942a). Bompiani gli consiglia una maggiore definizione del protagonista e l’aggiunta di un finale «che sarà una specie di morale» (Bompiani, Zavattini 1995, p. 73). Sempre nel 1942 esce la notizia che Zavattini dirigerà un film tratto dal soggetto Totò il buono, e lui si dice intenzionato a «fare un soggetto nuovo» (Zavattini 2022a, p. 57) a partire da quello del 1940: ma la trasposizione cinematografica, con produzione Lux Film o Scalera, si arena. Il 10 maggio 1943 esce il romanzo Totò il buono, con un sottotitolo inserito da Bompiani (che Zavattini non condivide): Romanzo per ragazzi (che possono leggere anche gli adulti) (Bompiani, Zavattini 1995, p. 77); anche a causa del difficile periodo storico «il libro morì in quei due mesi» (Zavattini 2005b, p. 717). Luogo dell’azione del romanzo non è più Milano bensì Bamba, una moderna città industriale, e nel finale a Totò in volo compare una visione distopica: «piramidi di ferro per i pozzi di petrolio» (Zavattini 1942b, p. 19). Il protagonista è ancora improntato sulla fisionomia di De Curtis (Totò): «aveva occhi neri con molto bianco intorno alle pupille, era magro con il collo e il mento un po’ lunghi» (Zavattini 2001, p. 217), e appare dotato di un minore ottimismo e una maggiore umoralità: l’assuefazione ai miracoli lo rende pigro, per gelosia diventa rabbioso, per poi volare via verso un regno ideale «dove dire buon giorno vuol dire veramente buon giorno» (p. 271). Rispetto ai soggetti per il cinema, nel romanzo Totò sceglie di andarsene da solo, senza i suoi compagni mendicanti; inoltre l’antagonismo tra poveri e ricchi si risolve come conflitto tra buoni e malvagi.
Il 17 settembre 1948 Zavattini sottopone al produttore Guido Gatti un soggetto/trattamento di 35 pagine, comunicandogli l’intenzione di De Sica di farne «un film comico, ma con personaggi senza trucco, senza baffoni finti, e in luoghi veri, malgrado la straordinarietà dei fatti» (Nuzzi, Iemma 1997, p. 105). A fine novembre sarà la ENIC ad accettare la proposta e a dicembre Paladini riporta: «Zavattini sta lavorando al soggetto per il prossimo film di De Sica: e si tratta ancora di Totò il buono, ma […] sul quale dovrebbero esser passate la guerra, le speranze e le delusioni» (Paladini 1948). Nell’aprile del 1949 insorgono difficoltà produttive, e per De Sica nuovi timori censori e perplessità sul soggetto del film, che si risolvono anche grazie alla scelta dell’ambientazione a Lambrate (Zavattini 2022a, pp. 360, 376). Ai primi di febbraio 1950, Zavattini invia quindi a De Sica una «stesura del soggetto venuta tutta di un fiato», che, dopo alcune correzioni, «pare ora pubblicabile». È la versione che esce su «Il Momento», già col titolo Miracolo a Milano. Intanto Zavattini intensifica la scrittura della sceneggiatura: nelle sue varie fasi, il titolo passa dall’originale Totò il buono a un più radicale I poveri disturbano, già presente nella fascetta di lancio del romanzo; appoggiato da buona parte della stampa, ma bocciato dai produttori e da alcuni politici, nel marzo 1950 il titolo diverrà Miracolo a Milano (Bompiani, Zavattini 1995, p. 149).
Come spiega Parigi (2021), le varie scritture del film rielaborano alcune idee dei romanzi zavattiniani Parliamo tanto di me (1931) e I poveri sono matti (1937), e qualche trovata viene anche dal soggetto mai realizzato Diamo a tutti un cavallo a dondolo (1938) (Faldini, Fofi 1979, p. 38). Zavattini infatti dichiara di essersi servito di «concetti, cose, spunti che seminai qua e là dal 1927 al 1932. I poveri affittati come lodatori è del 1927 (“Gazzetta di Parma”); del ’30 quello che segue il funerale per sfuggire i creditori; il mangiare il pollo come spettacolo del ’33-34, la denominazione delle strade “7×8, 9×9” è del 1931 (“Guerin Meschino”)» (Zavattini 2005b, p. 698). La scrittura per il film quindi catalizza le precedenti, tra cui anche il soggetto di Zavattini Buoni per un giorno (1934) con l’«ascensione» finale dei poveri che «imbarcatisi sul tapis roulant del toboggan salgono, salgono… perdendosi fra le nubi» (Zavattini, Mondaini 1934; si veda la scheda Darò un milione in questo volume).
Stando alla testimonianza zavattiniana, l’apporto fornito dagli altri co-sceneggiatori accreditati (Adolfo Franci, Suso Cecchi D’Amico e Mario Chiari) si sarebbe limitato a una collaborazione alla prima stesura della sceneggiatura, nel caso di Cecchi D’Amico con il merito di aver «collaborato con tutta la serietà possibile». Pur sottolineando l’apporto di De Sica (Zavattini in Gambetti 2009, p. 147), Zavattini non manca al contempo di accusarlo di indebite attribuzioni autoriali, ma De Sica ammette il ruolo principale svolto da Zavattini: «in omaggio a Cesare Zavattini […] Pensai a Miracolo a Milano come a un film tutto suo» (De Sica 1954, p. 58).
Fin da dicembre 1948 De Sica inizia i sopralluoghi nella periferia milanese (Nuzzi, Iemma 1997, p. 144), con l’incertezza se collocare il villaggio di baracche nella zona dell’Ortica, prima che Zavattini scelga Lambrate (Vigorelli 1949; Pellizzari 1999; Quaglietti 1949). Le riprese durano da febbraio a ottobre 1950 (Tomasi 2003), con alcune tensioni e ostilità nella lavorazione (Baracco 1950). De Sica resta timoroso sulla buona riuscita del film, mentre in quei mesi l’entusiasmo di Zavattini cresce, ad esempio rispetto alla scena del corteo funebre di Lolotta. Il montaggio del film si svolge da ottobre 1950 a fine gennaio 1951, con la collaborazione quanto mai attiva e pignola di Zavattini, registrata anche nei diari (Zavattini 2022a, pp. 392, 398). L’8 febbraio 1951 esce nelle sale Miracolo a Milano, per la regia di Vittorio De Sica e la produzione della Società Produzioni De Sica in associazione con ENIC. Rimane il taglio fiabesco, l’ambientazione a Milano e periferia, con il relativo «sottoproletariato dei “barboni” milanesi» (Bruno 1951, p. 101). Il protagonista Totò (Francesco Golisano) acquista, rispetto al romanzo, una dimensione più umana ed “evangelica”, e si innamora non più di una statua bensì di una ragazza in carne e ossa, Edvige (Brunella Bovo). Al «Totò secco e nervoso» del primo soggetto e del romanzo subentra nel film «un Totò piccolo, grassottello, dall’aria allampanata» (Cirillo 1999, p. 40). Se nel soggetto del 1940, e nel romanzo, Totò diventava il capo dei mendicanti, nel film si passa a una forma di governo democratica, già presente nel soggetto più definitivo (Bruno 1951), e nel finale Totò parte (a differenza che nel romanzo) seguito in volo da Edvige e dall’intera comunità dei mendicanti.
Dal punto di vista critico, la pubblicazione del primo soggetto nel 1940 viene salutata da Lo Duca come un fervido «tessuto di idee» (Lo Duca 1940, p. 302), auspicandone la realizzazione; altri riconoscono lo stile di Zavattini, «pieno di delicato e fantasioso umorismo», ma non ritengono che Totò possa essere l’interprete giusto. L’uscita del romanzo porta Arnaldo Bocelli (1945) a delle perplessità (già intraviste da Bompiani) sull’effettivo interesse dei giovani lettori, a causa della vena surrealista e delle questioni esistenziali sollevate. All’arrivo del film nelle sale, Aristarco sostiene invece che «tutto il romanzo di Zavattini è più avanzato, nelle concezioni e nella verità, del film stesso, e in parte dello stesso soggetto del 1940» (Aristarco 1951, p. 115).
Uscito in Italia in piena Guerra fredda, Miracolo a Milano finisce inevitabilmente nel «pentolone del dibattito ideologico-politico» (De Santi 1999b, p. 49), scontentando sia il fronte conservatore, che giudica il film come un’opera eversiva, sia il fronte progressista, che gli rimprovera una morale consolatoria (Parigi 2014, p. 213). L’accoglienza critica di Miracolo a Milano vede quindi affiancati due schieramenti solitamente opposti, «mobbisti» (Bernari 1951, p. 229) e «baracchesi» (Aristarco 1951, p. 114), in una comune stroncatura del film. Per i critici cattolici conservatori come Rondi, il film nasconde − sotto le apparenze favolistiche e le eccessive gag − una polemica sottilmente classista (Rondi 1951a) e un’equivoca «allegoria politica» (Rondi 1951b, p. 8); e Zavattini viene accusato di «surrealismo fumista» (Rondi 1952, p. 80). Kezich invece apprezza il film per il suo «altissimo livello stilistico e profondo significato morale», una difesa che gli costerà l’accusa di «slavocomunismo» (Kezich 1999). Si parla però dell’«inizio di una involuzione» del neorealismo per Aristarco (1951), dovuta al prevalere dell’influsso “surrealistico” di Zavattini su De Sica; oppure di «un’esperienza fallita » (Spinazzola 1957, p. 116), e di una più generale impasse del cinema neorealista (Chiarini 1951), che ne segna il tramonto (Lane 1951).
Non rinnegando l’ispirazione evangelica alla base del film (Zavattini in Nuzzi, Iemma 1997), a distanza di anni Zavattini confesserà di aver vissuto il «momento più negativamente emozionante [proprio] all’indomani della prima di Miracolo a Milano, leggendone la critica sui giornali, feroce, offensiva, e velenosa» (Zavattini 2002b, p. 168). Nel film, gran parte della critica aveva individuato il prevalere dell’impronta zavattiniana, con la contrapposizione “poveri vs ricchi”, le influenze surrealiste e il realismo fantastico (Tomasi 2003). Ennio Flaiano (1951) lamenta l’eccessiva presenza di gag e freddure zavattiniane, giudicando la realtà dei vagabondi di Miracolo a Milano poca cosa rispetto all’umanità commovente dei film precedenti. Riguardo alla sequenza finale, troviamo interpretazioni piuttosto ideologiche: se il fronte conservatore e cattolico sostiene che i barboni volano, «anziché [verso il regno] celeste destinato ai poveri veri, verso] quello su cui splenderebbe […] il sole dell’avvenire» (Del Buono in Nuzzi, Iemma 1997, p. 174), il fronte comunista vi legge invece una «città umana che deve essere ancora fondata» (Spinazzola 1957, p. 116). Quest’ultima lettura si avvicinerebbe peraltro al finale proposto dalla sceneggiatura intermedia I poveri disturbano (sceneggiatura A), che, come ricorda De Sica, «non finiva con i poveri che andavano in paradiso a cavallo delle scope» (De Sica in Pintus 1975, p. 159): Zavattini spiega che i suoi poveri «non vanno in paradiso ma emigrano, come gli emigranti che vanno a Caracas; quello che […] De Sica non poté realizzare [era che] gli straccioni si abbassavano a cavallo delle scope in cerca di un campo ma dappertutto c’era scritto “proprietà privata”, e allora dovevano andarsene».
La Palma d’oro al festival di Cannes del 1951, accompagnata da una partecipazione «calda, commossa, profondamente convinta e unanime» (Lo Duca 1951, p. 227) del pubblico, testimonia invece l’entusiastica accoglienza riservata al film dalla critica francese (Lepratto 2020). Miracolo a Milano porta Bazin a sostenere che «Zavattini è il neorealismo italiano» (Bazin 1951a, p. 4): nello stupore aurorale verso il mondo e le sue creature c’è un sincero esempio di «carità cristiana» (Bazin 1951b, p. 5). Gabriel García Márquez ravviserà nel film un diretto ascendente del “realismo magico” (García Márquez in Minà 1993), e la fonte ispiratrice dei suoi Cent’anni di solitudine e La santa (De Santi 2019; Lepratto 2022). In anni recenti Miracolo a Milano viene rivalutato come «un’anomalia del neorealismo e, insieme, una delle sue più portentose creazioni» (Parigi 2014, p. 214).
LL