Antonio, venditore di elettrodomestici, è in procinto di sposare Maria: il loro matrimonio viene interrotto dalla guerra scoppiata quel giorno. I due, dopo aver assistito a vari crudi episodi sotto i bombardamenti, si recano dal Capo della propria nazione per chiedergli di terminare la guerra. Egli sembra convincersi, ma le trattative per la pace si protraggono, giusto il tempo per Antonio e Maria di morire sotto una bomba.
Dati d’archivio. Collocazione Za Sog R 46/1-2 è costituita da 163 pp., in due cartelle. La cartella 1 contiene cinque soggetti dattiloscritti e un soggetto edito: A) 2 pp., La guerra, con correzioni manoscritte; B) 9 pp., La guerra, soggetto cinematografico di Cesare Zavattini con la collaborazione di Aldo Paladini e Virgilio Tosi, rilegato, con firma autografa di Zavattini su ogni pagina; C) 9 pp., [stesso titolo]; D) 45 pp., La guerra-Soggetto, con correzioni manoscritte, in carpetta; E) 48 pp., La guerra, con note autografe; F) 1 p., soggetto edito (Zavattini 1954a). La cartella 2 contiene tre note di lavorazione manoscritte: A) 14 pp., Obiezioni con le quali si accompagna il testo definitivo; B) 7 pp., La guerra/giugno 57 – Notone; C) 30 pp., Guerra, in un bloc-notes.
Il soggetto A racconta di un contadino ciociaro che – intento ad arare il proprio campo – scampa alla mitragliata di un aereo militare di passaggio: il contadino si nasconde terrorizzato dietro a una quercia, e non risponde al genero che da casa lo chiama a gran voce. Questo soggetto viene edito nel 1954 (Zavattini 1954a), senza l’aggiunta manoscritta – presente nel soggetto A – del nome del contadino protagonista (Carlo). Il soggetto B – registrato alla SIAE il 28 marzo 1957 – modifica e amplia A, presentando il protagonista Antonio, venditore di elettrodomestici promesso sposo di Maria. Nonostante lo scoppio della guerra, i due decidono di sposarsi, ma il loro matrimonio viene interrotto dai bombardamenti. Si mantiene l’episodio del contadino, che in B viene però ucciso dalle mitragliate nemiche. Antonio e Maria riescono poi a convincere il “Capo” di Stato a far terminare la guerra, ma durante gli ultimi strascichi «ecco che Antonio e Maria […] passano in un punto dove bum!, una bombetta di quelle piccole fa tabula rasa di loro. E morirono eternamente felici» (p. 10). Il soggetto C è una copia di B. I soggetti D ed E sono quasi dei trattamenti. D si apre con una precisazione cronologica – «una mattina del 1958» (p. 22) – ma con una generica ambientazione geografica – «una grande città dello Stato di Z» (p. 22). In D compaiono per la prima volta due personaggi che ritroveremo nel film, ossia il vicino di casa (disoccupato) di Antonio, e l’anziana alla quale Antonio vende a rate un frigorifero. La vicenda di D rimane sostanzialmente la stessa di B e C, pur arricchita di episodi tragicomici, quali la distribuzione alla popolazione di sacchetti di cellofan anti-radiazioni atomiche. Antonio – «bussando con le nocche delle dita sul casco di uno dei soldati» (p. 29) – gli chiede dove sia diretto, e si genera un’ulteriore gag col soldato che gira la domanda al tenente, e così via fino al colonnello, senza che nessuno conosca la risposta. D aggiunge un’ulteriore nota antimilitarista, con lo slogan «Abbasso la guerra!» (p. 30) esclamato dal tassista, che viene arrestato. Ritorna l’episodio del contadino, ma in questo caso la raffica di colpi dall’aereo nemico uccide solo il bue. In D, inoltre, Antonio viene sottoposto a un addestramento militare che prevede bislacche domande attitudinali, e nel rifugio antiatomico troviamo nuovi personaggi, tra cui una donna partoriente, un elegante borghese additato quale capro espiatorio della guerra, che viene fatto spogliare da un uomo calvo che minaccia di suicidarsi con una pistola. Il “Capo” è ora ribattezzato «Ministro della Guerra». In D Antonio viene inoltre condannato a morte per diserzione, ma l’esecuzione viene interrotta. Nel finale, sulla città viene davvero sganciata una bomba atomica: mentre il Ministro della Guerra resta nudo, i due protagonisti non muoiono (come in B), tuttavia Maria impazzisce. Il soggetto E è simile a D, Antonio viene presentato come «un giovanotto sui 25 anni, non bello ma simpatico e pieno di vita» (p. 66). Le aggiunte manoscritte in E passano nella variante D, e diverse parti cassate in E non si trovano poi in D, quindi la variante E precede la D. Il soggetto A è pubblicato con poche variazioni nell’«Eco del cinema e dello spettacolo» il 31 gennaio 1954 (Zavattini 1954a).
Pubblichiamo nel volume il soggetto C, mentre online il soggetto A e il soggetto edito.
Il 4 gennaio 1953, Zavattini scrive di volersi dedicare alla stesura di un nuovo film, denominato La guerra (Zavattini 2022a, p. 490). Tale volontà si concretizza inizialmente, nel 1953, nel soggetto A, poi pubblicato con minime variazioni nel 1954 (Zavattini 1954a). Come ci informa Virgilio Tosi (cosceneggiatore de La guerra), l’ambientazione del primo soggetto nella campagna ciociara «non è casuale: Zavattini, con la famiglia, nel 1943, era sfollato per circa un anno a Boville Ernica, a due passi da Frosinone» (Tosi 2014, n.n.). Il racconto che apre il soggetto con una scena di guerra (il contadino al lavoro nel campo, l’aereo nemico che all’improvviso si abbassa e mitraglia, la salvezza dell’uomo grazie a una quercia) è uno spunto già presentato da Zavattini nelle proposte fatte a Rossellini nel 1952 per il film mai realizzato Italia mia (Zavattini 2022b, pp. 228-238), e ritornerà, con la variazione di un uomo in bicicletta che viene ucciso (mentre madre e figlia invece si salvano buttandosi a terra), nel film La ciociara (De Sica, 1960). Invece l’episodio dell’uomo che minaccia il suicidio e chiede ai presenti delle valide ragioni per non farlo, presente nel soggetto D, è una ripresa di uno dei più noti soggetti mai realizzati di Zavattini, La conferenza, scritto nel 1947 (pp. 99-107).
A fine aprile 1954 la CINES abbandona il progetto La guerra, che si sposta sulla neocostituita Società cinematografica libera (Zavattini 2022a, pp. 509, 521). Un anno dopo, ai primi di aprile 1955, Zavattini scrive della necessità di «fare un Manifesto del cinema contro la bomba atomica» (p. 541). Nel 1956, Zavattini matura l’idea di un film contro la guerra ambientato nei paesi a est della “cortina di ferro”, anche grazie a un viaggio ai confini della Iugoslavia compiuto i primi di aprile (p. 565). Il 20 luglio 1957 confida per lettera a Valentino Bompiani di volere entro la fine dell’anno «portare in porto […] La guerra» (Zavattini 2005b, p. 885). Nella stessa estate, Tosi si dice preoccupato per i ritardi subiti dal progetto. Il 28 marzo 1957 Zavattini registra alla SIAE il soggetto B, che presenta un taglio catastrofico-avveniristico vicino alle serie a fumetti fantascientifiche da lui scritte Saturno contro la Terra (1938) e Un uomo contro il mondo (1947). Nel frattempo il giovane cineasta montenegrino Veljko Bulajić, diplomatosi nel 1955 al Centro sperimentale di cinematografia di Roma sotto la guida di Zavattini, intende stabilire rapporti coproduttivi con l’Italia e, parlandone con Zavattini (Bulajić 1955; 1956), emerge il progetto La guerra: «Una volta Zavattini mi parlò dell’idea di un film sugli orrori che si sarebbero abbattuti sul mondo e sull’umanità dopo una guerra nucleare. Fu lui a suggerirmi di dirigere il film» (Bulajić in Moretti 2024). Bulajić propone così il soggetto alla Jadran Film di Zagabria, convincendola a finanziare il progetto (Di Chiara 2015, p. 569). È probabile che a favore di Zavattini e del suo soggetto ci sia un intervento (anche finanziario) del Consiglio mondiale della pace, che gli aveva assegnato alcuni anni prima il premio per la pace.
Già coinvolti nella stesura dei soggetti B, E e D, Tosi e Aldo Paladini forniscono un apporto decisivo alla sceneggiatura, iniziata nell’autunno del 1959 (Tosi 2014). Fra ottobre e novembre 1959 vengono stese alcune varianti, con il titolo Rat’ (cioè “La guerra” in serbo-croato, lingua ufficiale dell’allora Iugoslavia). Il 21 ottobre 1959, Zavattini consiglia a Bulajić per il ruolo di Antonio un «attore che proviene dal varietà […]. Che sia “bello” non importa niente; purché sia simpatico, umano per intenderci». La scelta ricadrà sull’attore croato Antun Vrdoljak. Il 13 novembre Zavattini, Paladini e Tosi vanno a Zagabria (Tosi 2014), per mettere a punto la sceneggiatura definitiva, partecipando a riunioni di lavorazione in cui emergono significative divergenze di vedute. Zavattini, ad esempio, intende il film come un «apologo sulla distensione» (nota di lavorazione c, p. 39), facendosi portavoce di un ideale pacifista: «In questo film non abbiamo cercato di fare una lezione di comunismo, ma di fissare un punto di questa coscienza antibellica […] di tipo umanistico (all’italiana) […] per far proprio capire che la guerra non la vogliamo» (p. 33). In una riunione del 16 novembre 1959, il regista Bulajić lamenta la dissonanza tra il soggetto «legato alla realtà contemporanea, con un messaggio di cose grandi, cioè coraggiose», e la sceneggiatura, scaduta invece a «commedia di medio calibro» dove non risultano percepibili «né idee né umanità di Za» (nota di lavorazione A, p. 6). In quella riunione, Ivo Vrhovec (produttore esecutivo della Jadran Film) chiede a Zavattini di eliminare ogni connotazione occidentale del paese aggressore, e di «evitare propaganda diretta [per] non offendere nessuno» (p. 11). Come nota Pitassio, «l’eliminazione di riferimenti concreti richiesta da Bulajić e Vrhovec […] cerca di garantire un’ampia circolazione all’opera, su mercati occidentali» (Pitassio 2019, p. 126). Il soggiorno a Zagabria per la stesura della sceneggiatura viene dettagliatamente ricostruito da Tosi: «Lavoriamo da mattina a sera, nello stesso albergo, dove viene spesso il regista Bulajić. Zavattini gli presenta il work in progress del nostro lavoro, a volte in italiano […] con l’aiuto di un’interprete. Man mano che il manoscritto procede, la parte approvata viene subito tradotta in serbo-croato per portarla a conoscenza dei produttori» (Tosi 2014, n.n.). La sceneggiatura definitiva viene consegnata il 9 dicembre 1959 a Bulajić. Nella versione italiana consegnata a quest’ultimo il nome del protagonista non è più Antonio, ma l’abbreviativo Ton, che rimarrà nel film, a marcare l’intenzione zavattiniana di «voler rendere universali i protagonisti del film, per universalizzare il pericolo incombente di una catastrofe nucleare» (Tosi 2014, parte III). Il 6 febbraio 1960, Paladini esprime a Zavattini dubbi sull’attrice cui affidare il ruolo di Maria (la scelta ricadrà sulla polacca Ewa Krzyzewska). Lo stesso giorno, Bulajić scrive a Zavattini che inizierà a girare il film il 22 febbraio (Argentieri 1960). Le riprese, tutte a Belgrado, terminano nel giugno 1960, e il film viene presentato in anteprima il 23 luglio 1960 al festival del cinema di Pola (Iugoslavia), probabilmente alla presenza di Zavattini. Il 25 agosto, la pellicola è in concorso alla “contestatissima” XXI Mostra del cinema di Venezia del 1960.
Prodotto dalla Jadran Film di Zagabria e dalla Avala Film di Belgrado, Rat’ (La guerra) si presenta molto simile al soggetto D, salvo che in poche variazioni. Nel film troviamo per la prima volta Los, un cugino di Maria che morirà durante le esercitazioni militari. Tra le infantili e assurde esercitazioni impartite alle reclute citiamo l’allenamento del solo dito indice (necessario a premere il grilletto) e improbabili metodi di camuffamento da alberi o pecore. Il Ministro della Guerra viene sdoppiato in due personaggi distinti: il Presidente della Nazione e il Capo delle forze armate, i quali declamano in televisione discorsi propagandistici sulla necessità della guerra, magnificando le prestazioni di moderne microcamere installate sulle bombe. L’epilogo del film riunisce parzialmente i finali dei soggetti B e D, mostrando Maria che – impazzita per le radiazioni della bomba atomica – muore fra le braccia di un disperato Ton.
Alla proiezione veneziana assiste Paladini, che riferisce «un’accoglienza cortese da parte del pubblico: battimani, anche due o tre a scena aperta (le scene in caserma)»; Paladini avverte però Zavattini delle critiche, anche autorevoli, «negative in complesso». Morandini (1960, p. 12), ad esempio, giudica Rat’ «un film jugoslavo di anticipazione […] ma anche un esempio clamoroso di completa dissonanza tra scenario e regia cioè di un mancato incontro tra la proposta di un film e la sua realizzazione». Anche altri riconducono i difetti del film a una discrepanza dall’intento originario del soggetto di Zavattini «nel periodo in cui, per iniziativa di paesi comunisti e di intellettuali di sinistra, si organizzavano “festival” per la pace e si sottoscrivevano petizioni per l’abolizione degli armamenti nucleari» (Callari 1960, p. 5). Da più parti vengono ravvisati «spunti comici, dove la vena umoristica di Zavattini esce spontanea» (Zannoni 1960, p. 14) e «si appalesa per delle trovate fra il satirico e il grottesco» (Lugaro 1960, p. 11). Ma questo non viene giudicato sufficiente dalla critica: «La guerra appare indubbiamente mediocre. […] Se qua e là appare qualche motivo zavattiniano, esso non riscatta la banalità e la puerilità di tutto il resto» (p. 11). Al film si imputa un’impostazione da apologo moralista e ideologico, a causa sia della scrittura zavattiniana sia della mancanza, in Bulajić, dell’«eleganza e perizia che occorrerebbero per trasportare sullo schermo gli aerei calligrammi di Zavattini» (Calendoli 1960, p. 24). Vi è chi parla infatti di uno Zavattini orfano di De Sica (Lanocita 1960), cioè di uno squilibrio tra l’inesperienza del giovane regista e la dominante statura autoriale zavattiniana (Micciché 1960). Chiaretti (1960, p. 20), invece, assolve totalmente Zavattini, accusando Bulajić di aver «reso un pessimo servizio a Zavattini […] [e di aver] tradito – per inesperienza – [il suo] spirito […]. Bulajić ha trattato la materia con una pesantezza teutone: ha trasformato in enfasi oratoria […] la dimensione della favola zavattiniana». Il film viene a volte accomunato al cecoslovacco La colomba bianca (Holubice, František Vláčil, 1960), proiettato a Venezia la stessa sera di Rat’, entrambi bollati negativamente: «Perché diamine questi due film sono capitati a Venezia? Al festival di Karlovy Vary non li hanno voluti?» (Lanocita 1960, p. 14). Il critico cattolico Gian Luigi Rondi giudica Zavattini il principale responsabile del tono propagandistico e retorico che permea il film: «Zavattini è venuto qui con i colori del Maresciallo Tito a far la solita propaganda dei partigiani per la pace. […] Nel film c’è soltanto una polemica fredda, una retorica da quattro soldi. […] Il film non va oltre questa tribuna da comizio» (Rondi 1960, n.n.). La testata cattolica «L’Avvenire d’Italia» ravvisa nell’anacronismo del soggetto zavattiniano «una letteraturetta gracile, evasiva, che ci ricorda lo Zavattini minore, che vende con parsimonia le briciole del suo ingegno anche per filmetti mediocri, e non certo l’accanito poliziotto della realtà quotidiana. Uno Zavattini prima maniera, che siamo lieti di aver perduto» (Cavallaro 1960, n.n.). Più argomentata risulta invece la posizione dell’organo socialista «Avanti!», nelle cui pagine Micciché (1960, p. 2), pur ravvisando nel film qualche semplicismo e «un francescanesimo all’eccesso», esprime un giudizio nel complesso positivo: «è un film che parla di quello di cui vorremmo si parlasse, che ci interessa perché ci tocca, perché ha il coraggio di essere un film su un problema» (p. 2). Anche una firma illustre come Dino Buzzati (1960, n.n.) intravede il tocco poetico e umoristico disseminato qua e là nella pellicola, ma al contempo ammette che «questi fiorellini zavattiniani riescono appena a spuntare in superficie che l’enfasi propagandistica li sommerge». Nonostante l’apparizione a Venezia, Rat’ (La guerra) non sarà mai distribuito in Italia, «probabilmente a causa dei rapporti ancora difficili con la Jugoslavia comunista di Tito […] e per via della tematica troppo “calda” per la situazione politica dell’epoca» (Moretti 2024, n.n.). Il film viene addirittura proibito nei paesi del blocco sovietico, a eccezione della RDT e della Polonia (Tosi 2014, parte II). Riguardo all’accoglienza del film in Iugoslavia, Bulajić ricorda: «L’amministrazione politica jugoslava concluse che Rat’ era pericoloso perché dimostrava che nella futura guerra atomica non potrà esserci alcun vincitore. Da quel momento iniziarono i giorni brutti per il film. […] La distribuzione nelle sale si interruppe presto» (Bulajić in Moretti 2024, n.n.). Negli Stati Uniti, il film viene al contrario distribuito, col titolo Atomic War Bride, da associazioni di militanti pacifisti contro la politica nucleare del governo americano. Un anno dopo l’uscita de La guerra, Zavattini ne proseguirà il discorso progettando il «Giornale della pace» (Gambetti 2009, p. 67).
LL