Nell’Archivio Zavattini è conservata una cospicua documentazione sui vari progetti che presero, nel tempo, il titolo di Italia mia: il film, la collana editoriale con l’editore Einaudi e, infine, il progetto di trasmissione televisiva. L’idea di un film senza soggetto sulla vita quotidiana del popolo italiano accompagna Zavattini dal 1951 fino alla metà degli anni Settanta. Nel corso degli anni il progetto viene ripreso più volte; la consueta esuberanza di materiali contrassegna i vari momenti di una lunga gestazione.
Dati d’archivio. Collocazione: Za Sog NR 35/4 contiene: varianti di soggetto dattiloscritte con note e correzioni manoscritte (salvo indicazioni): A) 4 pp., Da depositare presso S.I.A.E. Italia mia, datato 03/07/1951 (senza correz.); B) 3 pp., [idem], datata settembre 1951; C) 3 pp., Italia mia. Il nuovo film di Vittorio De Sica; D) 2 pp., [idem], datato 05/12/51; E) 7 pp., Italia mia, Versione n. 2. Idea per un film di Cesare Zavattini (deposito presso SIAE – novembre 1951 (senza correz.); F) 5 pp., [idem]; G) 5 pp., Italia mia. Progetto per un film di Cesare Zavattini, datata 15/04/52 (senza correz.); H) 5 pp., Italia mia. Progetto per un film di Cesare Zavattini, datata 15/04/52; I) 2 pp., Italia mia. Progetto per un film di Cesare Zavattini. Il soggetto e la sceneggiatura saranno di Cesare Zavattini e Roberto Rossellini. La regia sarà di Roberto Rossellini, datata maggio 1952; L) 3 pp., [idem], datata giugno 1952; M) 3 pp., Italia mia. Progetto per un film di Cesare Zavattini. Nota di lavorazione N) 6 pp., Italia mia, fogli sparsi di diversi formati contenenti appunti manoscritti.
Soggetti per De Sica: Soggetto A, depositato in SIAE 03/7/1951, 4 pagine, con rare correzioni ortografiche; Soggetto B, depositato in SIAE nel settembre 1951, molte correzioni, soppressioni e aggiunte a mano: la revisione viene recepita dal soggetto pubblicato nella rivista Rassegna del film pubblica n. 12 nel 1953. Quello pubblicato da Caldiron (2006: 155-157) è il soggetto rivisto per la pubblicazione in Rassegna del film n. 12 del marzo 1953, con una introduzione ripresa dal Soggetto A (depositato in Siae il 3/07/1951). Il soggetto C porta l’intestazione Italia mia. Il nuovo film di Vittorio De Sica, di tre pagine, presenta alcune notazioni manoscritte: “Versione superata”, “per Girosi”: si tratta di un riassunto in terza persona del progetto del film in cui indica ancora De Sica come regista (e presenta una copia della lettera con alcune annotazioni a mano); il soggetto D depositato in SIAE nel novembre 1951, sette pagine con sole correzioni a macchina e un’aggiunta finale di una paginetta dattiloscritta con una serie di situazioni o brevi scene, si intitola Italia mia. Idea per un film. Versione n. 2, si dà conto anche della struttura del film, che si produce grazie una serie di incontri, si svolge “dagli anni della guerra ai giorni nostri” e permette di incontrare “fatti del presente, come nati sotto i nostri occhi o colti strada facendo di sorpresa, oppure fatti del passato […] rievocati […] con il balenio di un ricordo, impersonati ogni volta che sarà possibile da coloro che ne furono i protagonisti. Nell’un caso e nell’altro non racconteremo quegli episodi che per la loro importanza ufficiale vengono chiamati storici, ma gli episodi minori, quotidiani, quelli dell’umile Italia, che contribuiscono a formare il ritratto dell’italiano forse ancor più schiettamente degli altri” (Soggetto D: 15). Si indica anche la metodologia di scrittura e regia: “L’autore farà prima il suo viaggio senza macchina da presa muovendosi come se avesse la macchina da presa. Vuol dire scrivere il soggetto e la sceneggiatura strada facendo. Il regista dovrà poi ripercorrere il cammino tracciando sulla carta [sic] dando al racconto carattere d’improvvisazione come se tutto sorgesse davanti all’obbiettivo durante le due ore del film” (id.: 16). Zavattini, oltre a inserire una serie di situazioni possibili, spiega che il viaggio potrà fermarsi dove “stia per accadere qualcosa che solleciti la nostra curiosità, la nostra fantasia”: dall’inaugurazione di un ponte a una partita di calcio tra bambini, mentre altre volte sarà cura degli organizzatori raccogliere in una piazza di un paese un gruppo di donne o di uomini per interrogarli su “cosa pensano, cosa vogliono, cos’hanno fatto durante la guerra e perfino le loro più segrete aspirazioni. Tutto ciò si può anche chiamare un diario dell’Italia. Per farlo, se qualche volta sarà immediato e facile l’incontro con le cose da dire, altre volte sarà necessario vivere in un paese o in una città o in un piccolo luogo alla posta come cacciatori” (id.: 21). Si tratta quindi di un metodo etnografico per convivere con le persone da far parlare, assieme alla consapevolezza che alcune interazioni vanno provocate o almeno organizzate. Il soggetto E è una copia di D con poche correzioni. Il soggetto G intitolato Italia mia. Progetto per un film di Cesare Zavattini presenta una scritta a mano: “deposito aprile” ed è datato 15/04/1952 il deposito in SIAE; il soggetto F è una copia di G con la scritta a mano Terza versione: entrambi presentano (le stesse) piccole cancellazioni e correzioni a mano; viene pubblicato su Rassegna del film n. 12: 27-28, assieme a una lunga lettera di Zavattini a De Sica. Il progetto in questo caso è in terza persona, con la specificazione di alcune premesse teoriche: Zavattini ha voluto fare un film sull’Italia di oggi, perché “Il realizzatore del [chi ha progettato il] film crede nell’uomo, l’uomo che ama soffre sogna ha fame sere fa l’amore nasce cresce fa figli muore e cerca la solidarietà degli altri dappertutto, sotto qualsiasi parallelo o meridiano” (Soggetto G: 35); l’Italia “si rivelerà attraverso fatti ritratti [colti] mentre avvengono, fatti del passato recente ricostruiti [e anche] fatti provocati dall’autore durante il suo incontro con la realtà schietta. Questi fatti costituiranno gli innumeri momenti del film” (ib.). Più avanti si spiega l’innovazione del progetto: “È un film radicalmente senza soggetto, tranne l’ovvia direttrice di marcia che appare da queste righe. È un film che trova la sua realizzazione in loco, in base alle capacità di chi vi pone mano, in base alle sue capacità narrative, di comprensione di questa Italia vista toccata constatata e non preconcetta, cioè […] di vivere veramente a contatto con la gente” (id.: 37). Zavattini spiega che prevede un viaggio attraverso l’Italia di due o tre mesi, un periodo di incontri (registrati da un segretario di produzione e “un operatore con una macchina da documentario”, senza una troupe) da considerare “come il periodo vero e proprio della sceneggiatura” (ib.). Dopo altri due mesi di rielaborazione del materiale raccolto, Zavattini propone che le riprese inizino nel mese di agosto, poi si interrompano un mese per riordinare con il montaggio il materiale girato, e così via con puntate di riprese in tutte le quattro stagioni, calcolando in tutto un anno di lavoro: “non si tratta di mesi di lavoro continuativo […] dato il carattere del film, che è veramente di ispirazione documentaria, è possibile un tipo di troupe molto leggera da tutti i punti di vista. Anzi, ciò è necessario” (id.: 40). Una seconda cartella di soggetti contiene due copie di una versione di tre cartelle scritta per Rossellini (soggetto A e B) e una terza versione (soggetto C), che riporta le poche correzioni a mano della prima versione (soggetto A) e aggiunge specificazioni e nuove scene e cambia anche il finale. Il soggetto A della versione per Rossellini porta in calce la scritta a mano a matita “maggio 1952” e chiude così: “Passerà così sullo schermo un anno dell’Italia, con la sua estate, col suo inverno, col suo autunno e con la sua primavera, e dentro al passaggio delle stagioni, con il contadino che semina e che guarda fluttuare nel cielo immense bandiere di uccelli, ci sono gli altri attori della vita italiana, nella sua civiltà, nel suo lavoro, nella sua speranza” (Soggetto A: 43). L’intestazione del soggetto A recita: Italia mia. Progetto per un film di Cesare Zavattini. Il soggetto e la sceneggiatura saranno di Cesare Zavattini e Roberto Rossellini. La regia sarà di Roberto Rossellini. L’ultima versione (soggetto C), invece, recita nell’intestazione solo Italia mia. Progetto per un film di Cesare Zavattini, e aggiunge considerazioni interessanti come: “si può dire che il film vuol essere l’attestazione figurata dell’amor vitae degli italiani”, nonché accenni teorici importanti (si parla infatti di inchiesta e di pedinamento): “come cacciatori alla posta correremo subito là dove si svolge un fatto piccolo o grande, ma comunque significativo per il nostro tema […] da una festa a un incendio […] al pedinamento per cinque minuti di un contadino che combatte per far fruttificare il suo palmo di terra” (Soggetto C: 51). Il finale viene cambiato sensibilmente nelle ultime righe: “ci sono gli altri attori della vita popolare italiana che è sempre animata da un bisogno di lavoro e di pace” (ib.). Il secondo numero di Rassegna del film dedicato al progetto di Italia mia, n. 13 del 1953, pubblica integralmente l’ultima versione, cioè il soggetto C, ma anche una lunga lettera di Zavattini a Rossellini con una versione di trattamento che presenta un primo elenco di luoghi e situazioni interessanti da filmare; la rivista pubblica inoltre una intervista a Zavattini sul progetto (firmata da Filippo De Sanctis).
Il fascicolo dell’Archivio Zavattini comprende delle “Note di lavorazione”: sono appunti a matita di Zavattini in foglietti sparsi (e di diverso formato) di block notes, con il titolo Italia mia. Progetto per un film; vi si legge nella prima pagina: “Questo progetto risale al 1950-51 e ha avuto successive elaborazioni. Si unisce qui del materiale dei vari periodi attraverso i quali il disegno del film si è sempre più definito. Oggi ci sembra che conservi la sua sostanziale validità” (in calce la dicitura a mano recita: “Annuncio sull’Ansa del 21/11/51)”).
Quello pubblicato in Caldiron 2006 (155-161) è il soggetto rivisto per la pubblicazione nel n. 12 di Rassegna del film (marzo 1953). Mazzoni (1979: 173-187; 1997: 273-295) invece pubblica una nuova versione di quindici pagine in forma di note, rivista per una trasmissione RAI non realizzata nel 1974-76.
Pubblichiamo nel volume e online il Soggetto G datato 15/04/1952 e depositato in SIAE, cioè la terza versione del soggetto pensato per De Sica (dal sottotitolo Progetto per un film di Cesare Zavattini); pubblichiamo online le varianti depositate in SIAE: il più antico Soggetto A (depositato in SIAE il 3 luglio 1951), il Soggetto B e il Soggetto D depositati nel settembre e nel novembre del 1951; inoltre il Soggetto C (finale) della variante scritta inizialmente per la regia di Rossellini. Online si trova anche la cartella di “Documentazione” che contiene i due numeri di Rassegna del film (12 e 13) del 1953 dedicati al progetto di Italia mia e già allora iscritto nella categoria dei “film proibiti” o mai realizzati.
Spiega Zavattini nell’introduzione al doppio numero di Rassegna del film che pubblica diversi stadi del progetto Italia mia: “La prima idea di questo film – una serie di episodi di vita quotidiana del popolo italiano dal 1900 al 1950 – mi è venuta nella primavera del 1951. La esposi, nella sua schematicità, al produttore Graetz e a sua moglie nella loro villa sull’Appia antica. Subito dopo modificai l’idea originaria limitando quel periodo dell’ultima guerra a oggi. In quei giorni De Sica ed io stavamo studiando quale film fare dopo Umberto D. […] Quando raccontai a De Sica Italia mia, egli se n’entusiasmò e firmò subito il contratto. Nel settembre del 1951 depositavo le quattro paginette che contenevano l’abbozzo del soggetto fino a quel momento” (Rassegna del film, n. 12, 1953: 21). In realtà il primo deposito SIAE conservato nelle carte dell’Archivio Cesare Zavattini è dei primi di luglio. Interessante, ai fini del nostro volume, il racconto di Zavattini rispetto al nuovo film in cantiere: “eravamo fermi al progetto di un film con tre miei sketches e cioè: La conferenza (una mia vecchia idea che avevamo sottoposto a Montgomery Clift venuto apposta dalla America per poter girare un film sotto la direzione di De Sica); Il cappotto 1951 (un uomo esce di casa con il cappotto nuovo. Da una finestra gli tirano addosso un pomodoro. Fuori di sé, si mette in testa di scoprire il colpevole. Lunghe ricerche nel grande casamento da cui proviene il proiettile. Alla fine scopre che il pomodoro gliel’ha tirato un bambino. Ma neppure il bimbo sa spiegargliene il motivo. Probabilmente glielo ha tirato per una serie di ragioni ancestrali: ragioni di chi il cappotto non ce l’ha); Primo amore (un appuntamento tra due ragazzi sui diciotto anni nel cuore della città)” (ib.). Due di questi soggetti diverranno parte del progetto irrealizzato per il film Zibaldone n. 3 di Blasetti, e vengono ripubblicati nel presente volume. Il numero 12 di Rassegna del film propone anche una lettera a De Sica, riportata parzialmente anche da Caldiron (2006), che rielabora la prima idea: “avrai senza dubbio capito che sono sempre sulle piste della mia vecchia idea di un viaggio Roma-Napoli e ritorno che avrei voluto fare subito dopo la guerra; e sulle piste del Viaggio in America che tu condividesti con entusiasmo appena te ne parlai. Mi pare che sia sempre più il momento per un film di questo genere, un film senza copione, ma che si crei di volta in volta immediatamente per mezzo dei nostri orecchi e dei nostri occhi a contatto con la realtà (questo è il vero destino del neo-realismo secondo me). I fatti ci sono, bisogna andare a scegliere e a cogliere nel momento in cui succedono. Qualche volta, però, dovremo provocarli, inscenarli; ma sempre nell’ordine del tema da svolgere” (Rassegna del film, n. 12, 1953: 23). Zavattini in effetti propone a De Sica dapprima un ampliamento: un viaggio inchiesta globale “come giornalisti, come reporter”, che si ritrova nel soggetto non realizzato Il giro del mondo: riprese da fare a Bombay come sul Baltico, legate dalla “voce dello speaker […] del regista insomma” che servirà a “guidare lo spettatore durante il viaggio così libero, così pieno di imprevisti, di raccordi, di similitudini e di contrasti” (ib.). Questa prima idea per Zavattini utilissima, “è decaduta rispetto a Italia mia”: ora propone infatti a De Sica un viaggio di tre mesi per l’Italia per “far vedere l’umile Italia: quella che ha la sua forza nella famiglia, nel lavoro, nella speranza. Ma faremo anche vedere le sue passioni, possiamo dire i suoi difetti” (id: 24). Zavattini elenca alcune situazioni possibili da filmare nei diversi paesini, tra contadini al lavoro, una donna che sta per partorire, i cacciatori e i pescatori di frodo, ecc., ma spiega anche che dovrà “scorrere i giornali dal dopoguerra in poi per trovarvi alcuni suggerimenti, fatti di cronaca in apparenza minori, accaduti nelle varie parti d’Italia” (ib.), perché il film si costruirà anche con episodi del passato (“i ricordi, le ricostruzioni, in qualche momento fugaci, sintetiche, in altri più diffuse, fatte dalla gente che incontreremo”) sempre introdotti dalla voce dello speaker, in modo da alternare “momenti provocati a momenti veramente carpiti alla realtà” (ib.). Fondamentale sarà per Zavattini la fase successiva del montaggio, con la sua supervisione, che dovrà essere “serrato e sorprendente” (id.: 25), per lui il montaggio diventa “sempre la continuazione, il completamento della sceneggiatura” (id.: 27). Per il modo “di documentario e immaginativo mescolato” Zavattini cita come riferimento il film americano Strange Victory (di Leo Hurwitz, 1948), sulle lotte antirazziali, ma specifica che “il nostro non è un film politico […] è un incontro con uomini con donne con bambini con vecchi e con paesi” (ib.). La lettera chiude con l’affermazione di Zavattini che “Italia mia continua a essere il mio numero uno, voglio dire la cosa che più mi sta a cuore e il massimo che io potrò fare” (ib.). [in corsivo nel testo]. Nella parte successiva dell’inserto pubblicato su Rassegna del film (n. 12, 1953), Zavattini spiega che per questo progetto voleva “che le cose stesse divenissero soggetto, perché solo così mi sembrava che un autore cinematografico potesse veramente udire ‘il grido della realtà’. Queste cose io le condivido ancor oggi […] sono alla ricerca di una possibilità pratica che mi consenta di fare questo esperimento […] avrei voluto andare da un uomo e dirgli <Ecco una sedia; siediti e guarda quello che c’è>. Intendevo con questo ridurre al minimo lo spazio tra la vita e lo spettacolo […per una] esigenza morale che giustifica questo mio tentativo […] Verrà il momento in cui andremo a vedere che cosa fa un uomo nelle sue più minute azioni quotidiane, e metteremo in questo lo stesso interesse che una volta mettevamo nell’andare a vedere i drammi greci. Con lo stesso criterio con cui mi ostino oggi a voler fare, nonostante tutte le difficoltà, un film sull’Italia, domani potrò fare un film su una città, poi su un paese, su un uomo, su un momento della vita di un uomo” (id.: 26). La lettera a De Sica in versione più completa è del 24 ottobre 1951 (pubblicata in Zavattini 1988 [2005]: 462-468) contiene qualche altro passaggio significativo: Zavattini spiega che “più che il film degli episodi sarà un film dei momenti. Coglieremo più momenti che episodi, proprio come se attraversassimo l’Italia in automobile” (id.: 465, corsivo nel testo). E ancora: “ti faccio presente a ogni modo che non ci sarà neanche l’ombra di un attore” (id.: 467), e infine: “è una cosa anche nuova da parecchi punti di vista, con la quale diamo un contributo, che oso chiamare importante, ai modi narrativi del cinema. Con Umberto D. chiudiamo un genere e con Italia mia ne apriamo un altro” (id.: 468).
Ma Italia mia con De Sica non si fa più per la partenza del regista per gli Stati Uniti, e Zavattini inizia un intenso dialogo con Rossellini sullo stesso progetto: “Rossellini mi pareva l’uomo ideale per un film di questo genere e, sin dal primo colloquio, ci comprendemmo benissimo” (ib.); il coproduttore del film assieme a Rossellini doveva essere Alfredo Guarini, “ma la poi la cosa cascò subito perché Rossellini aveva impegni precisi con Ponti; e allora subentrò Ponti” (id.: 27). Ponti chiede a Zavattini un impegno di “partecipazione continua, dal principio alla fine” (ib.), propone perfino una co-regia; sulla co-regia Zavattini si schermisce, ma rilancia dicendo che seguirà anche il montaggio “perché se c’era un film dove il montaggio diventava momento costitutivo e addirittura creativo del film era proprio questo” (ib.). Ad aprile del 1952 deposita alla SIAE una nuova versione del soggetto, con due varianti definite “terza versione” (ne pubblichiamo una online): nella premessa alla pubblicazione di questa versione su Rassegna del film (n. 12, 1953), Zavattini si preoccupa soprattutto “di illustrare la necessità del viaggio come fase di sceneggiatura del film” (ib.). Nel numero successivo della rivista, Zavattini racconta di una lettera a Ponti del 31 maggio 1952 nella quale si metteva a disposizione per un viaggio in luglio con Rossellini iniziando la preparazione nel mese di giugno, e di seguito pubblica il soggetto riscritto pensando alla regia di Rossellini (di cui pubblichiamo online la versione C). In una lettera a Rossellini scritta nello stesso giorno (ma spedita il 3 giugno 1952) Zavattini spiega che è preoccupato perché “Italia mia ha bisogno di tempo, di fedeltà […] non è troppo l’intero mese di giugno per risolvere non solo i problemi di struttura, ma per fare noi stessi cento, mille esempi, e poi per informarci sia sui libri e sui giornali e con le persone; magari di tutto questo materiale da tavolino, chiamiamolo così, faremo un falò; tuttavia è certo che ci servirà molto per disegnare il piano generale dell’opera dentro il quale ci sarà più facile sbizzarrirci a seconda dei casi e dei luoghi, degli incontri […] Insomma, Italia mia è un’impresa che fa tremare le vene e i polsi; però è un’impresa che tu porteresti in porto meravigliosamente” (lettera a Rossellini, Archivio Cesare Zavattini R357/2).
Rossellini chiede a Zavattini di preparare delle pagine indicative per i primi tre, quattro episodi, e Zavattini li allega in una lunga lettera del 16 dicembre 1952; nello stesso numero di Rassegna del film si pubblica infatti un primo elenco, una sorta di prima scaletta espansa, nella quale Zavattini riassume anche il racconto della giovane coppia che si costruisce una casa abusiva in una notte, che diverrà il film (da lui scritto) Il tetto (1956, diretto da De Sica), e una descrizione della gente che dorme in sala d’aspetto alla stazione Termini, che entrerà in un altro film della coppia Zavattini-De Sica (Stazione Termini, 1953). Nella lettera a Rossellini del 16 dicembre 1952 che funge da premessa a questa prima scaletta si dice che “con l’immaginazione non riusciremmo mai a trovare certi spunti che la sola realtà dà così generosamente” (ACZ R357/7). Zavattini pensa per la colonna sonora dei canti popolari (e propone a Rossellini di farne una prima cernita). La produzione di Ponti sfuma e Rossellini dice di voler produrre personalmente il film (Caldiron 2006: 159). Ma non si fa più vivo, e quando riappare gli spiega i suoi impegni urgenti che gli impediscono di lavorare al film: “devo fare prima Duo – disse – poi un lungo viaggio in Svezia, e poi la Santa Giovanna di Honegger […] Dissi solo che la cosa mi addolorava profondamente […] Con questa telefonata morì per sempre Italia mia – Rossellini – Zavattini” (Rassegna del film, n. 12, 1953: 29). In una lettera a Rossellini del 2 gennaio 1953 Zavattini riassume le vicende, la sua disponibilità seguita dai lunghi silenzi di Rossellini: “a me pare che si possa riassumere la faccenda in questo modo: Italia mia è un film duro, da tutti i punti di vista, e tu sei ormai in un giro di interessi che ti rendono troppo difficile la realizzazione di un film di questo genere […] ti assicuro che non ti serbo rancore, anche se l’avventura mi è costata parecchio. Mi dispiace questo fallimento per me, per te e anche per il nostro cinema, lo scrivo senza retorica, che ha bisogno di film come Italia mia” (ACZ R357/10). Una rapida lettera del 23 gennaio 1953 a Rossellini riporta la preoccupazione e l’incredulità di Zavattini per delle voci di “persone serie […] secondo le quali tu staresti preparando in gran fretta un film che ha dei punti di contatto con Italia mia”, ma sono, appunto, voci, e l’informatissimo Guarini lo rassicura “di non sapere assolutamente niente di tutto ciò” (ACZ R357/12). Nell’inserto in Rassegna del film Zavattini racconta di averne successivamente (sempre nel 1953) parlato anche con dei giovani registi: Luigi Chiarini, Michele Gandin, Citto Maselli, che hanno previsto quarantacinque sedute e la consultazione con “un paio di esperti di cose italiane dal punto di vista etnologico” […] Entro l’anno vorrei realizzare il film […] spero di poter girare a colori (Rassegna del film, n. 12, 1953: 29). Alla domanda del giornalista (Filippo M. De Sanctis) se si tratti di un film neorealista, pessimista o ottimista, Zavattini risponde: “vorrei dire che oggi vi è una urgenza del neorealismo, un modo di guardare la vita che è sano, sincero e che dimostra un affetto verso le cose che esistono del proprio paese, del proprio popolo, Italia mia fa parte appunto di quelle avventure che bisogna affrontare al di fuori dei libri, per scrivere anzi questi libri proprio con il cinema […] il film comunque sarà fondamentalmente ottimista, perché è la vita stessa che è ottimista, con il suo progredire, agire, in altre parole con il suo vivere” (ib.).
Nello stesso numero della rivista, Zavattini racconta anche la sua rielaborazione o espansione editoriale del progetto Italia mia, che inizia con una proposta a Einaudi nel febbraio 1952 per una collana di libri neorealisti in cui ogni regista sviluppi un tema (sono chiamati all’appello Rossellini, Visconti, De Santis, Blasetti, Lattuada, Antonioni, Emmer, Germi, ecc.), per dei libri fotografici su temi come: Milano, Roma, Napoli, Via Emilia, e soggetti come “nascita e morte degli italiani, la zolfatara, i muratori, la domenica degli italiani” ecc., con testo ridotto al minimo: “soltanto didascalie di natura informativa”, con dati sociologici e statistici (Rassegna del film, n. 13, 1953: 23). L’idea della collana è di “far maggiormente conoscere l’Italia agli italiani stessi, di spingere gli italiani al pedinamento degli italiani” (ib.). Oltre alla collaborazione di registi, Zavattini pensa anche a scrittori e fotografi, giovani documentaristi. Come è noto, il progetto poi darà vita principalmente al volume Un paese (stampato nel 1955): incentrato su Luzzara, frutto di una notevole ricerca di taglio etnografico, con fotografie di Paul Strand e testi di Zavattini (Gasparini, Ferraboschi 2017). L’esigenza di “far conoscere l’Italia agli italiani” sentita fortemente da Zavattini va contestualizzata nell’Italia fortemente regionale del primo dopoguerra rispetto a usi, tradizioni e dialetti: ricordiamo gli effetti che avrà la televisione nazionale (varata nel 1954) sulla standardizzazione della lingua italiana.
La corrispondenza con De Sica testimonia di varie fasi e stati d’animo attorno al progetto. Scrive Zavattini al regista il 13 giugno 1951: “E poi penso che l’impresa di Italia mia sarà una delle più belle che abbiamo compiuto insieme se non la più bella ma che sarà anche una delle più laboriose e definitive: dovremo spremerci come non mai, pensando al mondo e a Contini De Feo, Brancati Patti” (ACZ D499/206). Nella già citata lettera a De Sica del 24 ottobre del 1951 Zavattini ribadisce: “Non è volontà programmatica di fare nuovo, ma è una necessità incalzante del tempo, della ricchezza, della complessità dei sentimenti che vogliamo esprimere. Aggiungerei, della rapidità, simultaneità ed estensione nel tempo e nello spazio” (ACZ D499/212).
Anni dopo, il 20 novembre 1958, Zavattini manifesta tutte le sue perplessità e i suoi timori circa l’intervento del mezzo televisivo sul progetto: “Non credo di riuscire a esprimerti il mio stato d’animo, fino a che punto è avvilito. In un momento nel quale gli altri stanno preparando delle cose forse fondamentali (Fellini, Visconti, Antonioni) noi scompariamo. […] coraggio caro De Sica, sia nel bene che nel male. Abbiamo parecchie cose da dire, ancora. Se non sarà Italia mia (lo sai che mi vien la paura che la televisione finisca col mangiarmela, avendo già un pochino sbocconcellato la cosa ed essendo naturale che vi si arrivi) sarà il Diario di un uomo. Non sono le cose da dire che mancano. È solo che ci sia in noi fede, freddo entusiasmo direi, e che ci si scambi di più i propri veri pensieri” (ACZ D499/287). Qualche anno dopo, il 13 agosto 1967, Zavattini tenta ancora di convincere De Sica e conferma il valore dell’idea alla base del progetto: “Non ho soggezione a dire che l’idea di una nostra Italia mia di oggi mi è venuta fuori come una delle tre o quattro ispirazioni più rotonde da quando lavoro” (ACZ D499/395). Spiega Brunetta che una delle direttrici del mondo di Zavattini è il motivo del viaggio, inteso come “spaesamento e riappaesamento […]. Il progetto di Italia mia è formulato nel momento di massima crisi del neorealismo e non a caso la realizzazione cade. Questo soggetto avrebbe dovuto costituire il punto culminante della sua poetica. […] Se osserviamo bene la struttura […] vediamo che i legami col viaggio morale di Paisà, o del Cammino della speranza, sono meno diretti rispetto alla concezione del viaggio <folle> attraverso la penisola ideato da Aldo Palazzeschi nel suo romanzo del 1926 La piramide. Un viaggio senza meta, aperto agli incontri e agli itinerari più imprevedibili; un viaggio capace di valorizzare, in concreto, la relazione tra i singoli elementi e la struttura complessiva. La sua idea di nazione e di identità nazionale nasce in base alla fiducia di poter far coesistere e mettere in diretto contatto tra loro realtà tra le più difformi dal punto di vista, culturale, geografico, antropologico, sociale ed economico (Brunetta 2009: 260-261). Ricorda Caldiron (2006: 160): “negli anni successivi il progetto di Italia mia viene ripreso più volte, pensando prima al cinema e poi alla televisione […] fino al tentativo del 1974-1976 di farne un’inchiesta televisiva con la regia di Santi Colonna e l’organizzazione di Franca Maranto”. Zavattini ragiona sui vent’anni trascorsi e intende convocare artisti e intellettuali (come Montale, De Chirico, Visconti) per metterli di fronte all’attuale “atmosfera di emergenza”, procedendo così sul “doppio binario del documento e della sua interpretazione” (Zavattini, in Mazzoni 1979: 173-177); la “chiamata in correità degli intellettuali […] sarà al centro dei progetti più significativi dello stesso periodo, soprattutto di La veritàaa e L’ultima cena” (Caldiron 2006: 161).
Con De Sica durante i sopralluoghi per il film Il tetto, 1955-56 (foto Arturo Zavattini)
Per gentile concessione dell’Archivio Cesare Zavattini, Biblioteca Panizzi, Reggio Emilia