Il progetto si propone di raccontare la giornata di un uomo “non eccezionale”, un maestro elementare, in tremila metri di pellicola. Non si tratta di un documentario, dice Zavattini nel presentare il progetto, ma di un racconto delle ventiquattro ore di una giornata, quasi di una poesia realistica ed esplicita. La scelta di rappresentare un uomo di paese e non di città deriva dal fatto che Za ammette di voler indirettamente anche raccontare di sé e di Luzzara.
Dati d’archivio. Collocazione: Za Sog NR 9/1 contiene: varianti di soggetto dattiloscritte A) 12 pp., La giornata di un uomo (Diario di un uomo), con note manoscritte, datata 23-25/7/1961; B) 10 pp., Appunto x Diario di un uomo. Za Sog NR 9/2 contiene: soggetto A) 30 pp., Diario di un uomo. di Cesare Zavattini. Trattamento B) 29 pp., Diario di un uomo, di C. Zavattini. Trattamento di: Achille Bonito Oliva, Antonio Vergine, regia di: Gaetano Palmieri, dattiloscritto con note e correzioni manoscritte. Documentazione C) 1 p., Carte, dattiloscritto con correzioni manoscritte, parte di una rubrica che Zavattini curava su Cinema Nuovo (a partire dal n. 160 del novembre-dicembre 1962).
Per quanto riguarda le due varianti alla collocazione Za Sog NR 9/1, il soggetto A si intitola La giornata di un uomo (Diario di un uomo) e presenta numerose correzioni e inserti manoscritti, oltre a una nota in apertura: “copia dell’allegato a De Sica – 23-25 luglio-1961”. Il soggetto B presenta un titolo manoscritto: “Appunto x Diario di un uomo”; integra tutte le correzioni dell’A e non ne presenta altre. Alla collocazione Za Sog NR 9/2 è presente invece un soggetto, rilegato e intitolato solamente Diario di un uomo, con una nota manoscritta in avvio: “questo è dei giovani napoletani (Palmieri-)”. Nella cartella è presente anche un trattamento di Achille Bonito Oliva e Antonio Vergine, in cui si indica la regia di Gaetano Palmieri. In testa all’intestazione di quest’ultimo appare il nome “INCID-Film”, ipotetica casa di produzione coinvolta nelle fasi preparatorie del film. In effetti il soggetto rilegato è la copia del trattamento scritto da Bonito Oliva e Vergine, di cui integra anche le correzioni a mano. Vi si riprende il soggetto A di Zavattini, con il protagonista maestro elementare, esplorando in particolare alcuni momenti come la discussione sul concetto di patria con uno studente e la relazione con la moglie, si aggiungono il tema della paura della morte (in particolare della bomba atomica in una conversazione con un amico), una sosta a casa di una prostituta, sempre insistendo sulla generale apatia e vuota abitudine senza profondità del protagonista, che nella spiegazione degli sceneggiatori: “non è un intellettuale perché malgrado i mezzi interpretativi della realtà non vi è riuscito, in quanto non ne aveva la profondità necessaria, a trasformare queste nozioni acquisite in cultura, che invece sono rimaste allo stato di erudizione, di parole, di alibi, esoteriche, di cui si serve quando non riesce a possedere le cose reali ed i concetti. D’altra parte non è un uomo comune, cioè, senza conoscenze, poiché è riuscito a sfatare alcuni tabù precostituiti ed a verificare alcune cose; proprio per questo è un continuo trapasso di atti sublimari e di considerazioni o atti cinici (compiuti per sola abitudine)” (Soggetto A della versione Bonito Oliva, Vergine: 3). Questa versione, rivolta in particolare a Gaetano Palmieri, è databile al 1963 grazie ad alcuni ritagli di giornale presenti nella stessa cartella. Vi troviamo anche un appunto scritto a macchina dal titolo “Carte”, con correzioni a mano, in cui Zavattini descrive per una rubrica di giornale dallo stesso titolo i materiali che pubblicherà: “[…] una lettera del luglio 1961, scritta [cancellato: da Luzzara] a un amico regista, la quale concerne la seconda versione di un mio vecchio progetto di film, Diario di un uomo, uno dei tanti, troppi, miei progetti rimasti per varie motivi [ragioni] tali. Il primo progetto non era il diario di un maestro, ma il mio stesso diario; e perciò non avrei potuto dirigerlo che io. Ma poi ho abbandonato quell’idea cercando soluzioni per quanto possibile analogiche” (Carte: 61).
Pubblichiamo nel volume e online il soggetto B e online il soggetto A del 1961 e la riscrittura di altri del 1963.
Si tratta di un altro esempio di progetto di film-inchiesta, o di cinema di confessione, che si sviluppa in vari anni di rielaborazioni e riscritture. Caldiron riporta un’intervista rilasciata da Zavattini a Muzii e pubblicata su L’unità nel febbraio del 1960, in cui si parla del progetto, della sua “importanza testamentaria” e della “meraviglia anche nell’indagine sociale” (Caldiron 2006: 440-441). Le due cartelle presenti in archivio sono una del 1961, in due versioni, scritta per De Sica, e una del 1963, scritta per un “giovane regista napoletano”, Gaetano Palmieri. Sulla versione del 1961 esiste una lunga lettera indirizzata proprio a De Sica, in cui Zavattini tocca diversi temi contenuti nei soggetti: il formato non “a blocchi” in cui i pensieri del protagonista emergono “sottotraccia”, Luzzara, la giornata come unità di misura, il maestro elementare, il confronto con lo studente sul concetto di patria, il sesso, un funerale. “Oserei dire che il film sarà una serie di fulminee poesie nel senso che tutto va espresso con semplicità, la umanità, la estremità o tensione della poesia, e se non ti metti a ridere ti dirò che scriverò un tipo di sceneggiatura col linguaggio delle mie povere poesie. Ma sarà tecnicamente preciso, ancor più preciso del solito. Allora che cosa si deve dire al produttore? Non è facile, ora lo capisci ancora meglio. Direi solo: raccontare con crudezza la giornata di un uomo in un piccolo paese italiano” (vedi la lettera del 25 luglio 1961 riportata in parte in Mazzoni 1979: 317-322). In una lettera datata 30 luglio 1962 e indirizzata a Blasetti (Zavattini 1988 [2005]:293, riportata in Caldiron 2006: 442), Zavattini definisce questo soggetto proprio “il punto di arrivo” del suo cinema di confessione e afferma di aver rinunciato all’idea di De Sica come regista in favore di un progetto interamente personale, diretto e interpretato da lui stesso. Anche in una nota dattiloscritta di qualche riga, intitolata Carte e conservata in Za Sog NR 9/2, Zavattini fa riferimento al personaggio del maestro e al fatto che, inizialmente il protagonista era lui stesso. Tale affermazione potrebbe collocarsi in questa evoluzione fra la versione per De Sica e quella per Palmieri. Di ritorno da un viaggio in Europa, Zavattini in una lettera a De Sica del 1° agosto 1958 insiste sulle potenzialità di innovazione stilistica che vede nella possibile realizzazione del soggetto; “A Bruxelles sono riuscito a vedere qualche manifestazione cinematografica interessante; direi che la novità tecnica continua a premere alle porte, ma è sempre con la profondità e sincerità dei contenuti che si riesce ancora a muovere utilmente l’animo della gente. Tuttavia guai a obliare le tecniche in quanto esse rappresentano in certi casi inconsapevolmente il bisogno di mutamento, di andare avanti, cioè un fatto spirituale. Si tratta di affrontare i temi con tale fede, direi, che ne deriva ovviamente la necessità di usare tutto quello che c’è di più efficace a propria disposizione, di più popolare, di più meraviglioso, per esprimersi compiutamente. Facevo queste riflessioni a proposito del Diario di un uomo che mi solleva dai problemi formali tutt’altro che fine a se stessi […] questo lavoro potrebbe essere il coronamento della nostra collaborazione e un passo avanti del nostro linguaggio (ACZ D499/283). Qualche anno dopo, in una lettera a De Sica del 25 luglio 1961, Zavattini definisce il tono morale del racconto e la verità del personaggio: “Ti ho parlato […] di crudezza psicologica; avrei dovuto dire crudezza in generale, anzi crudezza storica, perché lo scopo è di raggiungere la verità di un carattere, per noi di un italiano, con la crudezza che hanno tutte le cose sottaciute e che noi porteremo alla luce facendo di quelle la realtà in quanto determinano la vita come le altre o almeno svelano quanto la vita corre su dei binari doppi, e quello ufficiale conduce alle spaventose cose che conosciamo, nei vari settori pubblici e privati. […] Perché un maestro? […] Perché è un uomo normale tra la cultura e la vita comune, non è un intellettuale e non è un bracciante, e tiene dell’uno e dell’altro vivendo in mezzo a una retorica secolare da cui cerca di sganciarsi senza accorgersene. È un tipico italiano, un mezzo intellettuale che ci permette di percorrere la gamma della realtà italiana medianamente. E ha le possibilità del Diario, i pensieri sottotraccia di un personaggio così, non sono troppo rari, ecco perché conto su un largo processo di identificazione da parte del pubblico. La rarità sta nel prenderli fuori e farli diventar scottanti” (ACZ D499/300). Parigi spiega, citando il Diario cinematografico di Zavattini (nell’edizione Mursia del 1991: 336), che “la dimensione del cinema è quella del ‘durante’ e si realizza nella performance della ripresa, senza agganciarsi a un prima (la sceneggiatura) o a un dopo (il montaggio). Quando, nei primi anni ‘60, Zavattini parla di macchina da presa a mano, a proposito del progetto di Diario di un uomo, vuole indicare prima di tutto un modo di girare capace di esprimere la ‘fluidità’ e gli scatti di un pensiero in atto, attaccato alle cose come il sudore alla pelle” (Parigi 2006: 38). Il lavoro su questo progetto d’inchiesta dura, comunque, diversi anni e probabilmente confluisce nel progetto per il teatro L’uomo ’67, anche questo mai realizzato (si veda la scheda in questo volume), in cui Zavattini torna all’idea del racconto autobiografico.
Za nel suo studio da pittore, inizio anni Settanta (foto Lionello Fabbri)
Per gentile concessione dell’Archivio Cesare Zavattini, Biblioteca Panizzi, Reggio Emilia