Un paese dell’Emilia, dove Maria abita, ha 17 anni. Una sera, mentre rientra a piedi da lavoro, viene stuprata. Il fidanzato la lascia, mentre le indagini proseguono per trovare i colpevoli, Maria arriva quasi al suicidio. La giovane decide di emigrare in America, anche se uno del gruppo (lo stupratore) la frequenta e la vorrebbe sposare. Ma le famiglie si oppongono, lui sta per costituirsi, poi decide di confessare tutto a Maria, che parte dicendo che gli scriverà.
Dati d’archivio. Collocazione: Za Sog NR 37/8 contiene: soggetto dattiloscritto A) 5 pp., Questa è la storia di un grande amore….
Nella prima pagina della cartellina contenente le carte originali è riportata la dicitura “Fotoromanzo, Bolero Film”. L’idea del soggetto risale a marzo del 1961 “e fa parte di un gruppo di soggetti per fotoromanzi dei primi anni sessanta ideati […] per Bolero Film, il settimanale diretto da Luciano Pedrocchi” (Caldiron 2006: 220). Del soggetto è stata scritta una sola variante, della quale sono stati corretti gli errori di battitura in un secondo momento, inserendo delle “x” a macchina per cancellare le sviste. Il soggetto è stato pubblicato in Caldiron (2006: 217-221) e le correzioni a macchina sono state integrate nella trascrizione.
Non è chiaro quale sia il titolo provvisorio, se Maria e Corrado o Storia di un grande amore. Il secondo lo si ritrova leggendo l’incipit: “Questa è la storia di un grande amore…”. Molto ambigua e problematica l’interpretazione del titolo: l’aggettivo “grande” potrebbe riferirsi sia alla grande bontà d’animo che Maria ha nel momento in cui decide di perdonare Corrado, così come alla descrizione dell’atto di stupro, pensato dal personaggio inizialmente come vendetta di un amore non corrisposto.
Pubblichiamo la versione A, non ci sono altre varianti.
Siamo dinanzi a un caso speciale rispetto all’archivio dei soggetti non realizzati, perché Zavattini scrive pensando ad un fotoromanzo e non ad un film, per questo motivo è giusto soffermarsi sulla definizione di questa tecnica di racconto e inquadrandola nella visione di Zavattini. Nella cartella sono presenti diversi ritagli di riviste originali che riportano articoli rappresentati la casa editrice Bolero Film e il concetto di fotoromanzo, ovvero di “film statico”. Nella Rivista Il grande libro della stampa italiana, da p. 18 a p. 22 c’è un articolo intitolato Sin quando la nostra follia si manterrà ai livelli abituali non vedo pericolo scritto da Gigi Vesigna, allora direttore di Tv Sorrisi e Canzoni. Raccontando la sua carriera, egli spiega che curava “la cospicua parte redazionale di Bolero film, giornale creato da Zavattini, Damiano Damiani e Pedrocchi, che insieme avevano appunto inventato un neologismo che poi era diventato costume e clamoroso successo: il fotoromanzo”. La paternità della Bolero film viene assegnata a Zavattini anche in un altro articolo redatto da Ermanno Detti, pubblicato sulla Storia Illustrata, uscito nel marzo 1997, che recita: “Per quanto riguarda Bolero film, si pensa invece che l’ideatore possa essere stato Cesare Zavattini. Il geniale artista lavorava all’epoca alla Mondadori e aveva scritto per Topolino sceneggiature per fumetti. Del resto, alcune vicende dei fotoromanzi pubblicati fin dal primo numero su Bolero Film, a differenza di quelle di Sogno, erano firmate con misteriosi pseudonimi e portavano la chiara impronta del neorealismo, tanto amato da Zavattini” (Detti 1997: 45-46). In una intervista fatta a Zavattini, condotta da Carlo Pedrocchi e pubblicata sulla rivista Sogno, viene chiesto allo sceneggiatore che cosa significasse per lui ‘fotoromanzo’ e Zavattini risponde: “servirsi di nuovi strumenti è, anche scientificamente, un qualche cosa che aiuta a raggiungere nuovi traguardi; e, nel caso dello scrittore che usi il nuovo ‘strumento-fotoromanzo’, sarà un qualche cosa che collabora ad una più larga comprensione del suo comunicare” (Zavattini, “Il fotoromanzo: un moderno e legittimo strumento di espressione”, a cura di Carlo Pedrocchi, Sogno, 12 settembre 1970). È infine molto interessante notare come lo stile di scrittura di Zavattini non muti: che sia un soggetto cinematografico o un soggetto per un fotoromanzo, la lavorazione iniziale rimane invariata. Si può avanzare l’ipotesi che nel processo di realizzazione di un soggetto Zavattini ragioni per immagini metonimiche: i macro-passaggi della storia, quindi le future scene del film, vengono rappresentati visivamente da inquadrature topiche, tematicamente più importanti di altre, sufficienti alla narrazione fondamentale del racconto.
Zavattini a Luzzara, suo paese natale, alla finestra dell’osteria del padre (foto Arturo Zavattini)
Per gentile concessione dell’Archivio Cesare Zavattini, Biblioteca Panizzi, Reggio Emilia