Un giornalista italiano, Antonio B., parte per Cuba poco dopo aver intuito la relazione fra un suo caro amico e la sua amante Maria. Arrivato a Cuba, incontra molte persone ma non riesce a smettere di pensare a Maria e, continuamente interrotto, le scrive una lettera in cui prova a rivelarle tutto il suo turbamento e le sue fantasie rabbiose e distruttive, mentre mette a ferro e fuoco Roma con una rivoluzione, in una notte di insonnia e pena. Nel frattempo prova a chiamare l’amante.
Dati d’archivio. Collocazione: Za Sogg. NR 16/4 contiene: varianti di soggetto dattiloscritte A) 6 pp., Lettera da Cuba a una donna che lo ha tradito; B) 5 pp., [idem]; C) 5 pp., [idem]; D) 5 pp., [idem], con note e correzioni manoscritte; E) 3 pp., Lettera da Cuba a una donna che lo ha tradito. Un film scritto e diretto da Cesare Zavattini, datato 7/4/1968, con correzioni manoscritte; F) 3 pp., [idem]. Varianti di trattamento dattiloscritte G) 16 pp., Lettera da Cuba a una donna che lo ha tradito. Un film scritto e diretto da Cesare Zavattini, datato 6/6/1968; H) 19 pp., [idem]; I) 19 pp., [idem]; L) 19 pp., [idem]; M) 19 pp., [idem]; N) 17 pp., [idem], con correzioni manoscritte; O) 17 pp., [idem]; P) 17 pp., [idem], con correzioni manoscritte; Q) 16 pp., [idem]; R) 17 pp., [idem], con correzioni manoscritte; S) 16 pp., …cioè lo spietato bilancio che Antonio T…., con correzioni manoscritte.
Il primo soggetto, presente in archivio, è probabilmente il soggetto F, datato 7 aprile 1968. Questa versione presenta una breve introduzione sul romanzo di Zavattini da cui il soggetto è tratto e il cognome di Antonio è “T.”. Il soggetto E è una copia di F con poche correzioni manoscritte. Il soggetto D è una riscrittura con un’unica importante variante: Antonio (il cui cognome diventa “B.”) prova a telefonare a Maria senza riuscire ad avviare la comunicazione; poi, quando finalmente riesce a parlarle, non è in grado di spiegarsi anche a causa della presenza del marito di lei, e resta con la sua angoscia. Appare anche per la prima volta il nome dell’amico, Lorenzo. Il soggetto presenta numerose correzioni manoscritte e la nota in apertura “ediz. breve”. Le correzioni sono poi integrate nel soggetto A. I soggetti B e C sono invece due copie di A, entrambi con la nota manoscritta “breve” in testa.
Sono presenti anche numerose versioni del trattamento, di cui una datata 6 giugno 1968. In esse si approfondisce la rivoluzione immaginata da Antonio e, nelle prime varianti la telefonata con Maria non c’è, in altre la comunicazione non diventa mai fluida e i due non riescono a parlarsi chiaramente.
Pubblichiamo il soggetto A nel volume. Pubblichiamo online il soggetto A e il soggetto F, datato 7 aprile 1968.
Nelle prime righe del soggetto, Zavattini fa riferimento al suo romanzo omonimo da cui è tratto il film. Descrive anche un piano produttivo: entro giugno 1968 la conclusione della sceneggiatura, tra agosto e ottobre le riprese, in Italia e a Cuba, la scelta di attori non protagonisti, la lunghezza normale e il colore.
Nei trattamenti Zavattini compila delle “Prime indicazioni sul film” in cui si approfondisce la figura di Antonio come catalizzatore delle vicende, “uno dei tanti eroi contemporanei dibattuti fra il corpo e l’anima, tra l’idea e l’azione, tra il bisogno di giustizia, di rinnovamento radicale del mondo e la incapacità di attuarli. Nel film questo bilancio è portato nel 1968, anzi nei giorni stessi in cui si comincerà a girare, per esprimere problemi nel modo più flagrante, più odierno. Il film si svolge su due piani, quello della vita esterna di Antonio e quello della vita interna, cioè i suoi pensieri. I due piani si alternano senza tregua, col ritmo della tormentata fantasia del protagonista, mescolando passato e presente, fatti privati e fatti storici, ipotesi e realtà, dubbi e certezza, esaltazioni e smarrimenti” (Trattamento A: 34). Zavattini prosegue poi con ipotesi produttive e di poetica: “Come criterio compositivo, si pensi alla nascita di un ritratto […]. Potremmo quindi parlare di un film con una quantità di situazioni e di stacchi senza precedenti […] attraverso sintesi figurative soprattutto nella parte preponderante dell’immaginario esatte rispetto al dovere dell’informazione (si vuole un film di decisa leggibilità) ma risolte con espedienti creativi, la felicità dei quali sarà spesso inversamente proporzionale al loro costo” (Tratt. A: 34-35).
Ricorda Mazzoni (1979): “Tra il 1955 e il 1958 Zavattini produce soggetti per il Messico, la Spagna e Cuba […] Proprio a Cuba, in questo periodo Zavattini scrisse la scaletta di quella che, dieci anni dopo, doveva diventare l’importante Lettera da Cuba a una donna che lo ha tradito di cui fece anche un soggetto per film, nel 1968, che era disposto perfino a dirigere, per la prima volta, e a questo scopo ebbe inizi di rapporti con un noto produttore di cortometraggi, tramite Enzo Muzii e Ludovica Ripa di Meana che avrebbero dovuto essere collaboratori del film” (Mazzoni 1979: 17).
Nicoletta Zavattini (nella sua tesi sui soggetti non realizzati del nonno), ricostruisce così il soggetto: “L’idea originaria della Lettera da Cuba risale al periodo della permanenza dell’autore a Cuba, dove era stato invitato da Alfredo Guevara per collaborare con l’Istituto Cubano Arte e Industria tra il 1959 e il 1960. La stesura della Lettera, il violento sfogo di un uomo tradito dalla sua amante, sarebbe stata portata a termine però soltanto sei anni dopo. La versione letteraria definitiva contenuta nel volume Straparole [1967, ora in Zavattini 2001] è il risultato di una drastica opera di riduzione attuata dall’autore su di un voluminoso manoscritto di oltre 1000 pagine. Al 1968 risale invece l’idea per il film omonimo, del quale probabilmente sarebbe stato disposto a curare, per la prima volta, la regia. Zavattini nel soggetto delinea immediatamente le caratteristiche psicologiche del protagonista, Antonio B., giornalista inviato a Cuba per documentare i suoi drammatici anni rivoluzionari” (N. Zavattini 1995-1996: 94-95). Il protagonista, che alla partenza da Roma si è accorto che la sua amante lo tradisce con un suo caro amico, inizia “un calvario <il suo dolore, il suo furore, lo scatenato alternarsi dei più contraddittori stati d’animo, fulminei o analitici, nobili o vili, disperati o pieni di speranza>. Dopo aver accennato alle distrazioni offerte dalle novità dell’ambiente cubano, Zavattini introduce immediatamente la scena della redazione della lettera, fulcro di tutta l’azione del film […]. Come nel testo letterario, Antonio esplode in un fiume di parole, raramente interrotto dalla punteggiatura, destinato ad investire prepotentemente l’amante infedele e insieme ad essa la città di Roma, come luogo <dove la verità è più offesa, dove l’ipocrisia trionfa nelle famiglie, nelle piazze e nelle chiese> (ib.).
Spiega Parigi: “Dal punto di vista della sperimentazione di forme nuove, il cinema è sempre stato in ritardo sulla letteratura e le altre arti maggiori. Zavattini lo dice più volte mettendosi direttamente in discussione, con il rilevare nella sua stessa esperienza questo dislivello tra scrittura letteraria e cinematografica. Quando, nel ’68, scrive ad Alfredo Guevara che ha intenzione di esordire nella regia con Lettera da Cuba a una donna che lo ha tradito, ci tiene a sottolineare che il film <dal punto di vista del linguaggio non vorrà essere più arretrato del testo letterario> e che si presenterà come un’opera aperta, una sorta di ‘anticinema’. Con propositi violentemente antiletterari, d’altra parte, era stato concepito il testo originario proprio durante la permanenza all’Avana” (Parigi 1999: 43). Lo presenta così Zavattini: “Voglio farne un film perché la sua problematica è proprio di oggi, e infatti lo farò svolgere nel 1968. Un giornalista italiano che viene a Cuba nel 1968, ferito a morte nel suo orgoglio di maschio dall’amante che lo tradisce, e che, attraverso il suo iter passionale, erotico, raggiunge il bisogno di giudicarsi nella sua responsabilità storica, di cui il contatto cubano, la sua rivoluzione, lo costringono a prendere atto. È un processo all’italiano di oggi, o meglio a tutti quelli che non hanno il coraggio di imbarcarsi sul loro Granma, un processo che si svolge in una camera di albergo a Cuba, camera le cui pareti sono di continuo rotte dall’immaginazione del protagonista, dalle sue esaltazioni morali e dalle sue sconfitte, in una stretta alternativa di ipotesi e di realtà, di volontà e di velleità (Lettera di Zavattini a Guevara del 4 aprile 1968, ACZ G583/31).
Ricorda Parigi: “abbandonato e ripreso, a un certo punto persino perduto, ossessivamente rimaneggiato e rifinito, il manoscritto della Lettera vede la luce definitiva soltanto nel ’67, dopo infiniti rifacimenti. Mentre risulta una specie di monstrum del genere epistolare, questo testo porta lo sperimentalismo [letterario] zavattiniano al limite di una tensione destinata a culminare poco più tardi, con Non libro più disco, in un gesto estremo di rifiuto della scrittura letteraria. Nella sua miscela esplosiva di umori corporei, viluppi interiori e interrogativi meta-artistici, Lettera da Cuba oppone un sigillo, che forse è il caso di definire testamentario, all’esperienza di Zavattini all’Avana: è quel misterioso e stupefacente <baleno di addendi> di cui parla a Bompiani nella lettera del 7 marzo 1960. Le stesse somme non verranno tirate in campo cinematografico dove Lettera da Cuba rimarrà, come già Revolución en Cuba, allo stadio progettuale di film che non si farà mai. Rovescio complementare dell’ansia di rifacimento, il non finito tende a diventare anch’esso una categoria del viaggio sentimentale di Zavattini a Cuba. <In albergo, intanto che l’acqua fumando riempie la vasca, butto giù il principio di una poesia che non finirò mai> [Zavattini 1960]. Sono versi riprodotti in esergo, incompiuti come le tante idee abbandonate in forma di ‘magri’ canovacci, come i tanti discorsi interrotti e mai ripresi in un ipotizzato viaggio di ritorno all’Avana che non si è più realizzato. Ma il concetto di non finito caratterizza l’esperienza cubana anche in un altro senso, più profondo e certamente più intimo: al di là di un nuovo incontro mancato, non finisce per Zavattini ciò che si è depositato nei sentimenti e nel pensiero, spingendoli ad andare sempre più avanti (Parigi 1999: 43). In termini più generali, ragionando sul “sogno” del cinema nella scrittura di Zavattini, e di una poetica che si fa estetica “contraddittoria e irrisolta”, De Santi chiosa: “il décalage tra il cinema quale esso è e quale al contrario avrebbe dovuto essere investe la stessa figura di Zavattini, intanto nella contrapposizione tra i film soltanto immaginati, o perorati, e quelli per i quali aveva lavorato: tra la tensione della scrittura a cancellare se stessa per evolvere nell’immagine, e la più casta pulsione figurale e filmica di una visione ancora prigioniera e ancora in cattività. […] Lo scarto non è solo tra il soggetto e il film, tra il discorso letterario e quello cinematografico, ma interessa invece l’investimento emozionale e fantastico di cui la mente utopica e quasi preveggente del nostro connotava la realtà e i processi estetici ed espressivi. Che rimangono sempre e invariabilmente arretrati rispetto alla progettualità, e dunque rigettati e svalutati in quanto piccolo-borghesi e convenzionali” (De Santi 2002 [2014]: 226-227).
Zavattini sull’aereo che da Stoccolma lo porta a Kiruna nel Circolo Polare Artico, 1967 (foto Rolf Ericson)
Per gentile concessione dell’Archivio Cesare Zavattini, Biblioteca Panizzi, Reggio Emilia