Antonio decide di costruire un rifugio antiatomico in periferia all’insaputa di parenti e amici. Quando lo confessa alla moglie discutono su chi sarebbero le cinque persone a occupare il rifugio in caso di conflitto nucleare. Oltre a loro due, alla nonna e al socio in affari, Antonio vorrebbe salvare la sua amante, ma non osa confessarlo. Decide di fare una prova, un esperimento: tramite uno stratagemma riesce a far entrare nel rifugio la moglie e l’amante, abbandonando la nonna e il socio, che arriva troppo tardi, ma le due donne litigano fra loro, e il socio decide di abbandonare Antonio perché non l’ha fatto entrare.
Dati d’archivio. Collocazione: Za Sog NR 26/7 contiene: soggetto A) 14 pp., Il rifugio, dattiloscritto con correzioni manoscritte.
Il soggetto A è unico, dattiloscritto, con poche correzioni manoscritte ai nomi dei protagonisti, che da Antoine e Jannette diventano Antonio e Giannina. Mazzoni presenta anche una nota di produzione, non presente in archivio, con diversi spunti su situazioni, dialoghi e personaggi, che integrano e approfondiscono il progetto originale. In particolare, Zavattini descrive la figura del costruttore, che alimenta la fobia del protagonista insieme ai giornali e alla televisione. In avvio sono presenti due didascalie introduttive: “Uno dei progetti per un ricovero antiatomico, per una famiglia di quattro o cinque elementi, tutto è stato previsto e organizzato per assicurare alla famiglia una permanenza nel ricovero di più giorni. In generale si ritiene che un’esplosione atomica con conseguente ondata di radiazioni inquini l’aria per una durata massima di tre quattro giorni. Il rifugio è composto di due ambienti, e di uno stanzino da bagno. Il prezzo di un tale rifugio si aggira intorno ai mille dollari (600.000)” […] “Un rifugio nelle adiacenze delle grandi città può essere costruito nel sottosuolo a una profondità di uno o due metri, quanto basta perché la terra possa assorbire tutte le radiazioni. La foto mostra un progetto di ricovero ricavato da un grande collettore ricoperto di cemento e chiuso da un ingresso rafforzato da mattoni. Questo tipo di rifugio è un modello proposto dalle maggiori imprese di ricoveri e può essere allestito spendendo la somma di circa 700 dollari” (1979: 307).
Pubblichiamo nel volume e online il soggetto A e online la nota di produzione riportata in Mazzoni (1979: 307).
Nel 1965 Zavattini scrive a De Sica: “Avevo pensato, tra l’altro, di tirare fuori dal cassetto quel Il rifugio che è uno degli sketch più felici che io abbia mai pensato” (Lettera a De Sica del 25 giugno 1965, D499/355). La nota di produzione riportata da Mazzoni è introdotta da alcune righe, che datano invece il soggetto all’anno successivo: “Il soggetto, scritto nel 1966, fu richiesto da un regista francese, ma non arrivò a realizzazione. Annesse al soggetto troviamo alcune Note che riportiamo integralmente nella loro struttura di spunto” (1979: 307). Probabilmente su indicazione dello stesso Zavattini, Mazzoni motiva con una commissione di un imprecisato regista francese i nomi originali dei protagonisti. Nelle “altre note” riportate da Mazzoni si leggono indicazioni sui protagonisti e sulla dinamica della guerra nucleare: “Il rifugio è un gioiello di automazione; […] Il costruttore è un fomentatore abilissimo della psicosi atomica […] I due personaggi devono essere in contrasto: forse uno sicuro di sé e sbruffone, mentre l’altro ansioso cauto e timido […]; Lui e l’amico, tipiche espressioni del processo economico italiano: la paura figlia del benessere” (Mazzoni 1979: 309). Il tema del consumismo e della ricerca di status symbol (l’amante, il rifugio stesso) appartengono ad altri film scritti da Zavattini come Il boom (regia di De Sica, 1963), soprattutto nella loro versione quasi parodizzata: “Il rifugio è stato astutamente situato nelle immediate vicinanze di una fogna. Dice il costruttore: ‘così la gente sente puzza nun ce viene’” (Mazzoni 1979: 307). Si lega a questo modo parodico la caratterizzazione dei personaggi, un po’ truffatori e un po’ vigliacchi, come il costruttore e il protagonista Antonio (per il quale si potrebbe pensare a un ruolo per Alberto Sordi, anche se il soggetto non indica riferimenti precisi). Il tema della fobia atomica invece non è ricorrente nella produzione cinematografica di Zavattini ma è ovviamente attuale e presente nel periodo in cui scrive (Il dottor Stranamore di Kubrick è del 1964), e potrebbe essere uno dei motivi della commissione ricevuta. Notiamo che l’ambientazione iniziale è a Parigi ma, forse per il sopravvenuto cambio dei nomi messi in versione italiana, si perde coerenza con i toponimi e si parla di piazze romane.
Za, Libero Bigiaretti, Giuseppe Ungaretti, Eugenio Montale al Premio Viareggio, 1964 (foto Evaristo Fusar/Europeo RCS Rizzoli periodici)
Per gentile concessione dell’Archivio Cesare Zavattini, Biblioteca Panizzi, Reggio Emilia