Questo documentario sulla censura si svolge in tre parti. Nella prima si introduce la censura, la sua nascita e la sua esplosione alla Mostra del cinema di Venezia, il rapporto fra autori, pubblico e politici. Nel nucleo centrale si passano in rassegna le “confessioni” di diversi autori su temi precisi, tra cui la morale, la violenza, il sesso e altri. Nell’ultima parte si prospettano allo spettatore due alternative, involuzione o libertà, e si auspica per gli autori una decisa rinuncia alla passività e al fatalismo.
Dati d’archivio. Collocazione: Za Sog NR 6/2 contiene: varianti di soggetto dattiloscritte con note e correzioni manoscritte A) 4 pp., Censura 1960, dattiloscritto, datato dicembre 1960; B) 5 pp., [idem]; C) 3 pp., [idem], senza note e correzioni; D) 5 pp., Il problema della censura; E) 3 pp., Censura, manca la pag. n. 1, senza note e correzioni.
Il soggetto A è una nota progettuale di Zavattini sull’intenzione di fondo del progetto. In testa si trova una nota manoscritta: “Primo abbozzo dell’idea come l’ho esposta a Chiaretti e Muzii (primi di dicembre 1960)” che rivela i primi destinatari della proposta. In questa nota Zavattini descrive i problemi della censura che regolamenta il cinema italiano, datandone la genesi nel 1947. Propone di raccontare la contrapposizione fra autori e sistema governativo in un film di massimo 500 metri che, se censurato, andrebbe mostrato con tutte le forze e in ogni occasione aggiungendo che “l’idea mi è venuta esattamente un’ora fa e sono ancora nella fase della intuizione”. Zavattini si sposta poi sul “modo del racconto”, ipotizzando delle interviste o un ritratto di Roma in cui far emergere contenuti controversi, senza però concludere il discorso (che rimane sospeso). Il soggetto D presenta una nota manoscritta che fa da titolo in avvio Il problema della censura. Sembra trattarsi di una riscrittura o di un’altra versione di A, ovvero di una nota programmatica più che di un piano di lavoro del documentario. L’ultima pagina parla di Zavattini in terza persona (“In questo articolo […] Zavattini si ricollega ai fatti accaduti nel 1960 e nei primi mesi del 1961”) e approfondisce il contesto storico in cui nasce il progetto. Il soggetto E è un’altra versione della nota a cui manca la prima pagina come testimonia una nota manoscritta in avvio: “Censura – manca la pag. n. 1 (Argentieri ha avuto il testo completo). È stata pubblicata?”. Si parla di un “filmettino di trecento metri”. Il soggetto B (pubblicato in Mazzoni 1979: 148-151) è un progetto più completo, con nota introduttiva che riassume anche il soggetto A, aumentando la lunghezza massima del film a 800 metri. Questa versione è ricca di note manoscritte e correzioni (tutte riportate in Mazzoni 1979: 148-151), e divide il progetto in tre parti: introduzione, nucleo centrale e conclusione, ognuna girata da un giovane regista diverso. E auspica la nascita di un’alleanza fra pubblico e autori in merito ai temi trattati. Il soggetto C ha di nuovo la forma della nota progettuale ma è meno approfondito del B (ed è forse precedente).
Pubblichiamo nel volume e online il soggetto B e online i soggetti A ed E.
In Mazzoni troviamo sia il soggetto B, che è un effettivo piano di lavorazione del documentario (1979: 148-151) sia il soggetto A, che è una nota progettuale in cui Zavattini descrive le sue intenzioni (1979: 313-316), parlando anche di casi specifici come i tagli censori all’opera teatrale L’Arialda di Testori (con la regia di Visconti), definendo il sistema censorio un “sistema politico in quanto rappresenta una specifica interpretazione della vita nazionale […] da parte della classe e del partito dominanti”, e accennando anche alla “nuova cultura” di cui parlava Gramsci e alla necessità di una “nuova arte” del dopoguerra, una cinematografia “più libera”. Parlando di un tipo di censura che è anche fatta di “intimidazioni più sotterranee”, Zavattini ricorda che “la gravità della situazione si potrebbe rappresentare soprattutto elencando i film che non si fanno, o meglio le tematiche che ci siamo inibiti, per non dire altro” (ib.). La chiusura del soggetto A non è riportata in Mazzoni: si tratta di una provocatoria idea di Zavattini di creare con il film “un fattaccio, uno scandalo”, anche con “giustificabili reazioni in sede pornografica”, perché la protesta giunga in parlamento e l’opinione pubblica, perché il documentario dovrà servire a “puntualizzare politicamente moralmente culturalmente la situazione, e collettivizzarla proficuamente” (soggetto A: 4). La pagina finale del soggetto D appare come una scrittura successiva (forse una presentazione dell’articolo per una pubblicazione) dato che si parla della coscienza degli anni Settanta dell’urgenza di “sopprimere la censura amministrativa e di pari passo riformare il Codice” da parte dei “cineasti e i democratici della sinistra italiana” e si nomina Zavattini in terza persona; l’argomentazione si contestualizza parlando dei tagli di censura a film come Rocco e i suoi fratelli di Visconti, L’avventura di Antonioni, Una giornata balorda di Bolognini, I dolci inganni di Lattuada, con una censura che dal 1960 diventa “più martellante di quella amministrativa” ed è attuata da “giudici che interpretano i risentimenti dei benpensanti verso l’evoluzione del costume e le tendenze più retrive e illiberali dell’opinione pubblica e del clero” (soggetto D: 19). In Fortichiari (1979: 342-348) è riportata una lettera presente in archivio in versione dattiloscritta con numerose correzioni (datata 15/12/1960 e pubblicata sul numero 148 di Cinema nuovo). In questa lettera Zavattini fa riferimento al progetto e al fatto di averlo presentato a Tommaso Chiaretti ed Enzo Muzii, che hanno accettato di collaborare alla sua produzione con entusiasmo. Nella lettera è riportata la struttura in tre parti del cortometraggio Censura 1960 ipotizzata nel soggetto B, anche se poi Zavattini sposta l’attenzione sulla consegna dell’edizione “napoletanizzata” de Il giudizio universale a De Sica, con diversi commenti a margine. In questa lettera un paragrafo, sui cui è stato tirato un tratto di matita (per eliminarlo) recita: “Perché è un danno non fare un film quando lo devi fare; come un quadro si fa in quanto passaggio a un successivo quadro, altrettanto è con i film, ed è mostruoso questo pestar l’acqua nel mortaio. Davvero si arrossisce continuando a ripetere per anni il nome di un film che si ha nel cassetto, e credo seriamente che questo costituisca sempre una remora spirituale” (Censura, lettera del 15/12/1960: 3; ora in Diario cinematografico, 1979 [2002]: 477-485).