Questo film-inchiesta si svolge a Luzzara e ruota attorno alla figura di Zavattini come conduttore di un’indagine sulla natura umana, a partire da domande di base come: “Dove va il mondo? Che cosa veramente vogliamo? Quali responsabilità abbiamo?” (ecc.). Zavattini è il perno della discussione durante una cena con una dozzina di ospiti (come fossero i ‘discepoli’ dell’Ultima cena, e lui impersona sia Cristo sia Giuda): la conversazione sarà sui temi più svariati, previsti e imprevisti: la Chiesa e la religione, la poesia, la rivoluzione, ecc., in forma di dialogo o monologo, senza soluzione di continuità né eccessiva pianificazione.
Dati d’archivio. Collocazione: Za Sog NR 30/1 contiene: varianti di soggetto dattiloscritte A) 12 pp., L’ultima cena, datato 27/5/1972; B) 11 pp., [idem]; C) 11 pp., [idem], con correzioni manoscritte; D) 29 pp., L’ultima cena. Scritto, diretto e interpretato da Cesare Zavattini, datato 15/8/1972; E) 29 pp., [idem], datato 15/8/1972, con correzioni manoscritte; F) 62 pp., L’ultima cena, datato 25/8/1972; G) 62 pp., [idem], datato 25/8/1972; H) 62 pp., [idem], datato 25/8/1972. Za Sog NR 30/2 contiene: varianti di soggetto dattiloscritte con correzioni e note manoscritte A) 63 pp., L’ultima cena, datato 25/8/1972; B) 23 pp., Ultima cena; C) 23 pp., [idem], datato giugno-luglio 1972; D) 26 pp., L’ultima cena; E) 26 pp., [idem]; F) 4 pp., [idem]; G) 73 pp., [idem], senza note e correzioni. Za Sog NR 30/3 contiene: note di lavorazione dattiloscritte A) 5 pp., L’ultima cena (note sparse), datata 11/8/1972; B) 11 pp., L’ultima cena. Prefazione, con correzioni e note manoscritte, datato dicembre 1973; C) 2 pp., [idem]; D) 11 pp., L’ultima cena. Prefazione; E) 1 p., L’ultima cena (fotocopie), con correzioni e note manoscritte.
Quasi tutte le versioni di questo progetto presentano dei monogrammi manoscritti sulle prime pagine, facendo supporre una sequenza cronologica che l’osservazione delle varianti mette in parte in crisi. Riportiamo per correttezza le diciture nella descrizione ma proponiamo una successione leggermente diversa, che colloca come ultima versione fra queste quella del 25/8/1972.
Il soggetto A è datato 27/5/1972, si intitola L’ultima cena e presenta una nota manoscritta parzialmente sovrascritta in nero: “Film Luzzara”. Il soggetto descrive una cena fra amici a Luzzara, i cui partecipanti si prestano a essere delle “cavie” per un’inchiesta dei creatori del film. Il soggetto B è una versione diversa, firmata “Z.” ma non datata, in cui si propone una struttura in tre fasi: “La prima s’impernia nella stanza dell’ultima cena, e investe la domanda: chi siamo? La seconda si svolge in piazza, spintavi dalla prima, e intesse la domanda: che rapporto c’è tra quello che è avvenuto e quello che avviene? In un mezzo secolo? La terza è l’ipotesi della rivoluzione, conseguente alla constatazione di una tragica realtà che abbiamo cercato di capire responsabilizzandoci” (Soggetto B: 22). Sulla prima pagina sono presenti la nota manoscritta in rosso: “sì!” e la lettera “B”. Il soggetto C è una fotocopia di B con qualche correzione e la nota manoscritta “est. 1972?”. Non è chiaro, tuttavia, se la versione contenuta in B e C sia antecedente o posteriore alla A. Il soggetto M è una riscrittura ampliata a partire dal pretesto della cena. Il testo presenta diverse correzioni manoscritte e, nell’ultima pagina, alcune note manoscritte: “(interrotto)”, “giugno-luglio 72” e “Z.”. Sulla prima pagina appare manoscritta la lettera “E”. Il soggetto L è una fotocopia di M priva della datazione manoscritta alla fine, ma con in più le note manoscritte “sì” e “972”. Il soggetto O è una nuova versione, che inizia con la formula: “Questo film, scritto diretto interpretato da Cesare Zavattini, è un film inchiesta”. In questa variante si torna esplicitamente alle domande esistenziali dell’indagine e se ne sottolinea l’urgenza, approfondendo poi il concetto di rivoluzione che permetta di cambiare lo status quo e di far evolvere l’essere umano, fino al suicidio di Zavattini stesso. Nella prima pagina è presente la nota manoscritta “F”, che indica probabilmente la versione del lavoro. Il soggetto N è una fotocopia di O, con in più la nota manoscritta in rosso: “sì!” sulla prima pagina. Il soggetto P è una riscrittura dei precedenti con lo stesso incipit. Nella prima pagina è presente la nota manoscritta “G” che pare collocare questa versione a un momento successivo a O e N. Il testo è incompleto e si chiude con due considerazioni manoscritte: “Non è una tesi” e “Ricostruire cioè vivere analitici”. Il soggetto E è una nuova riscrittura e presenta una datazione manoscritta “15.8.72”, oltre al sottotitolo: “scritto diretto e interpretato da Cesare Zavattini”. In questo caso si descrive esplicitamente il confronto fra una giornata del 1922 e una del 1972. Sulla prima pagina è presente la nota manoscritta “C”. Il soggetto D è una fotocopia di E, con in più la nota manoscritta in rosso: “sì”. Il soggetto I è un’ulteriore riscrittura con datazione manoscritta “25.8.72” e le note manoscritte “D” sulla prima pagina e “interrotta” sull’ultima. Il testo è di oltre sessanta pagine (quasi un trattamento), presenta numerose correzioni manoscritte ed è più preciso nella descrizione delle situazioni del film. La descrizione del progetto passa inoltre alla prima persona. I soggetti Q, F, G e H sono tutte copie o fotocopie di I. In due di esse sono presenti riferimenti manoscritti a Basta coi soggetti!; in F :“Deve essere questa la copia passata per il libro della Mazzoni”; in H: “Pubblicato Bompiani”. Sono presenti anche cinque note di lavorazione: la prima coeva ai soggetti dell’agosto del 1972; poi in tre versioni molto simili nella forma di una Prefazione al film che Zavattini registra a fine 1973, come da nota manoscritta su una di esse: “Dettato in clinica al magnetofono mezz’ora prima di essere portato in camera chirurgica (dicembre 73)”; infine una pagina singola di commento al libro Basta coi soggetti! (Mazzoni 1979).
Mazzoni (1979: 275-304) e Caldiron (2006: 459-493) pubblicano la settima versione (la I, o le copie F o G). Pubblichiamo nel volume e online il soggetto G, mentre pubblichiamo online il soggetto A e la nota di lavorazione D.
Siamo di fronte a un altro esempio del percorso “diaristico”, testamentario e autobiografico, collegabile ad altri progetti non realizzati come Diario di un uomo, La conferenza, L’uomo ’67 e al film diretto da Zavattini La veritàaaa (1982), nei quali Zavattini si interroga direttamente sulla natura umana attraverso la domanda “Chi è l’uomo?”. Nel soggetto A, la descrizione dei partecipanti alla cena come “cavie” di un’inchiesta rimanda esplicitamente alla poetica zavattiniana del “film-inchiesta”, e a progetti come La cavia (pubblicato in questo volume). Nel soggetto O troviamo anche la definizione di “film fiduciario”, ossia un film “che non garantisce a priori nessun esito se non quello di avere adoperato qualsiasi strumento a nostra disposizione, intellettuale e tecnico, per sapere qualche cosa di più di quanto sappiamo, non tanto in un ambito puramente concettuale quanto in un ambito di azioni rivissute, e di azioni non accadute ma accadibili, cioè a ogni effetto possibile” (Soggetto A: 143). Inoltre, come nel soggetto La grande vacanza (si veda la scheda relativa in questo volume), troviamo l’ambientazione luzzarese a fare da sfondo alle parole del protagonista, che in questo caso è Zavattini stesso. Caldiron (2006) riporta anche un accenno al progetto all’interno del lungo post-scriptum letterario di La notte che ho dato uno schiaffo a Mussolini: “Una delle voglie luzzaresi che ho coltivato parecchio, è un film in piazza che avrei interpretato io. Non per vanità, o per presunzione istrionica. E che se siamo decisi a giudicarci sul serio, non si può farsi imprestare da nessun altro neanche un gesto, ogni mediazione diventa rinvio o spettacolo. Ho detto film, però la macchina da presa e la mia intelligenza non sono assolutamente obbligati a fare un film. A meno che non sia l’ultimo. Né un libro né un film ormai possono essere i penultimi che si fanno ma solo gli ultimi. Il baco sta nella penultimità, i ragazzi non bisogna informarli delle penultime cose ma delle ultime, loro sono disposti naturalmente alle ultime e le penultime pertanto diventano un ritardo, un dirottamento. Detto film (parola consunta) convoca in piazza tutti i miei compaesani, giovani e vecchi, donne, bambini, vivi e morti con le loro suppellettili o divise e pregiudizi perché quando si fanno certi bilanci la differenza fra vivi e morti diventa insignificante, farei resuscitare qualcuno nell’arco di tempo che va dal 1921 a oggi (per essere più precisi: al momento che giriamo). Si vorrebbe sapere dalla popolazione e modestamente anche da me che ne faccio parte, che cos’è la coscienza, il rapporto tra coscienza e comportamento. Pretenderemo di saperlo a costo di pigliare a schiaffi qualcuno per farlo parlare, lì, in faccia a tutti. Diventa un interrogatorio di terzo grado reciproco. Ci saranno anche orfani, vedove, ma ci guarderemo bene dal trattarli con particolare riguardo. Ma personalmente penso che la coscienza non ci sia, altrimenti davanti agli avvenimenti in corso la costringeremmo a litaniare le tradizionali deplorazioni. All’improvviso mi butterei giù dalla Torre. Ma dopo aver strappato un urlo di raccapriccio dal petto dei luzzaresi di ogni età e condizione sociale, si rivela che il buttatosi giù è un fantoccio, non io. Che spasso. Perché mai dovevo sacrificare la pelle dentro a degli schemi che non hanno più la minima efficacia? Me ne guardo dall’immolarmi come loro martire. Posso giungere a un tale diapason di gioia, invece, se alla concezione gerarchica sulla quale ancora poggiamo si sostituisce quella dell’uguaglianza, e lo proclamiamo senza arrossire. Tutti si persuaderanno di essere uguali. Avrò qualche trovata per dimostrarlo agli incerti, esordendo volgarmente (poi ci raffineremo) coi bisogni corporali. Vedremo mangiare, pisciare, cacare, fottere, nascere, morire (un moribondo lo troviamo nei paraggi) tutto sotto ai nostri occhi come in un laboratorio. In altra sede parlerò di esperimenti dai quali saranno esclusi i minorenni, questo è un libretto per tutti. Dovremo comunque fingere disastri, sparatorie, senza preavviso, e si vedrà una comunione di gesti di grida impressionante. “Siete convinti?”, grido. “Sì”, rispondono a una voce. Allora mi butterei giù dalla torre come un regalo allegro mentre suona il campanone. Ma sto fantasticando. L’uguaglianza spaventa, ripugna. D’altra parte, sono impossibili progressi, per sapere chi siamo, senza spavento. Non del futuro bensì del passato. Com’è stato possibile quel passato? E che oggi si seguiti a considerarlo passato? Eppure ciascuno di noi dispone di una quantità di materia grigia milioni di volte di più, miliardi, rispetto a quella di una formica che pur si muove e dirotta se le impedisci il tragitto, e non la usiamo, cioè la usano in pochi che è come non usarla a lungo andare. Ciò che si ricava dal poco è poco, anche secondo il mero calcolo delle probabilità. Che bablòn, che chiacchierone. Se comincio, non riesco a arrestarmi, perché ogni volta mi sembra sia quella buona per capire me stesso e farmi capire” (Zavattini, 1991 [2001]: 1369-1371).
Mazzoni (1979: 331) riconduce la genesi del progetto all’avvio di una collaborazione con due estimatori svizzeri di Zavattini, Walter Marti e Renata Maertens Bertozzi, con cui nel corso del 1971 e 1972 lavora all’idea di film. Alla fine, tuttavia, Zavattini opta per un progetto diretto e interpretato da lui stesso, rinunciando alla collaborazione dei due svizzeri. Mazzoni e Caldiron pubblicano quindi il soggetto G, versione pulita dell’ultima variante in ordine cronologico. Di particolare interesse la nota di lavorazione D, manoscritta su cartoncino, che fa di nuovo riferimento diretto al libro di Mazzoni, dopo la pubblicazione: “L’ultima cena. Fare (fotocopie). Materiali appunti in varie direzioni (1972 circa). Ci sono anche copie delle versioni A-B-C-D-E-F-G sottolineate qua e là, avendole rilette l’8 il 9 il 10 agosto con profondo rammarico che la Mazzoni non abbia compiuto quell’operazione di scelta su materiali esclusi dalla versione D. Il metterli come doveva nelle note (Pierluigi mi ha detto una settimana fa che ricorda quando lo dissi alla Mazzoni. Perché in ogni versione c’è qualche cosa di fondamentalmente complementare da tutti i punti di vista tecnico immagini morale. A ogni modo la rilettura di questi materiali mi ha dato una grande soddisfazione confermando che più di dieci anni fa avevo pronto tutto questo” (nota D: 33). Mazzoni (1979: 331-333) e successivamente Caldiron (2006: 491-93) riportano anche una serie di altre note attraverso cui Zavattini elabora l’idea per il film, precedenti e contemporanee alle versioni del soggetto qui descritte. Le riportiamo integralmente di seguito.
Uomo (settembre 1971): “In mezzo alle tante ipotesi di lavoro, scegliamo la ricerca di un uomo campione, che vorremmo cogliere scoprendolo nei valori che ha e in quelli potenziali. Tenteremo di definirlo nel giro di un giorno, una mattina, una notte, comunque in un lasso di tempo con data precisa e nel modo più completo e profondo che saremo capaci. Né un uomo particolare, non un nano, un mostro, Rothschild, né uno qualunque: un uomo medio”.
Uomo ’71: “Il problema dell’abitudine è uno dei più spaventosi. Mangiamo la pasta asciutta guardando alla televisione come nel Vietnam si tagliano le teste […]. L’analisi da farsi è tale che faccia agire. Il tipo di cinema che bisogna trovare è un cinema che non metta spazio tra vedere e agire. È la presa di coscienza che deve avanzare. Forme nuove nascono da nuove esigenze. Il cinema può servire a ripristinare valori dell’uomo che sono rimasti soffocati. Non abbiamo né l’obbligo né la forza di risolvere i problemi dell’uomo ma di viverli con emozione e coscienza facendo da specchio agli altri perché un punto di esemplificazione. […] Tutto ciò è da risolvere poeticamente. Quanto più il fatto è “poetico”, tanto meno è individualistico ma universale”.
(ottobre 1971): “Il monologo è una presa di responsabilità. Non parte da un anonimato, è fatto da una persona nutrita di rapporti con altri, segue un ragionamento a montagne russe, a allargamenti, a sprofondamenti di una posizione singolare umana. […] Il primo passo della scaletta è dunque questo: Il signor Cesare Zavattini fa un monologo sul tema cos’è l’uomo, analizzando i rapporti fra sé e gli altri”.
(gennaio 1972): “Ho parecchie voglie e direzioni, ma di costante c’è la voglia autobiografica […]. Sulla piattaforma della cena, come quella di Trimalcione, in cui si mangia, si beve, si dice, si disputa, posso interrompere quando voglio, farci entrare qualsiasi elemento d’indagine […]. Raccolgo in un bacino tutto quello che ho potuto pensare: questo è il film che voglio fare”.
“Solitamente stato d’animo, stato di coscienza è: volontà esplicita di fare un bilancio della situazione dell’uomo oggi, situazione di cui fanno parte gli altri e anch’io. Situazione, nel suo complesso, fisica, sentimentale, morale, politica, psicologica, individuale, familiare, nazionale, tutte parole che hanno nello stesso tempo una loro autonomia e una loro interdipendenza continua […]. La scoperta o la riscoperta della vita come rappresentazione da secoli alterna dentro di noi affermazioni e negazioni, insorgenza dell’egoismo e sua mortificazione, dubbio su ciò che è bisogno originale, proprio della natura umana o invece un insieme di idee ricevute, determinate dalla storia, che sarebbe una superiore esigenza coordinatrice dei nostri atti, del nostro essere, ma che appare anche come qualcosa di mitico, di pauroso, che consacra come fatali delle forme e dei ritmi di cui siamo spesso inappagati […]. Il mio caso è questo: a settant’anni compiuti ho deciso di affrontare come sul palcoscenico il mio status, non perché lo consideri diverso da quello degli altri, ma invece simile. Le differenze ci sono, fra gli stessi gemelli, tuttavia esse vengono bruciate da un fuoco comune che è in parole povere la condizione generale dell’uomo”.
Za con Valentino Bompiani ritira il Premio Letterario Terra Salda, Deliceto (FG), 1971 (Fotoreporter Pipino, Foggia)
Per gentile concessione dell’Archivio Cesare Zavattini, Biblioteca Panizzi, Reggio Emilia