Satira dell’ultimo giorno di Batista e del suo ambiente, tra svaghi, cinegiornali sulla repressione dei ribelli sulle montagne, torture, spionaggio degli studenti universitari, fino alle prove di fuga del dittatore e della sua famiglia. “Batista aveva un vaso da notte d’argento e un letto d’oro, era uno degli uomini più furbi dei Caraibi. Si esercitava come i pompieri a essere pronto con le valigie per la fuga. Vederlo saltare giù dal letto d’oro, indossare a precipizio calze mutande camicia pantaloni giacca; alla fine tra un ministro e una cassa di dollari, costretto a scegliere per non superare il peso, si sa che lasciò a terra un ministro” (Zavattini 2002: 457).
Dati d’archivio. Collocazione: Za Sogg. NR 27/6 contiene: varianti di soggetto dattiloscritte A) 1 p., Asalto a palacio; B) 3 pp., El asalto al cuartel Moncada; C) 7 pp., Atentado a Cowley; D) 2 pp., Cowley; E) 2 pp., Candido; F) 1 p., Color contra Color. Film-Lucha de colores (Pintor abstracto-Vs. Pintor figurativo). Un drama sobre la tela; G) 4 pp., Habana, hoy; H) 2 pp., La invasion. Ver los diarios de campaña del Che y Camilo. Za Sogg. NR 27/7 contiene: varianti di soggetto dattiloscritte A) 36 pp., El pequeño dictador (vari autori, vedi nota successiva); B) 2 pp., El premio gordo; C) 14 pp., La prensa amarilla e El director; D) 2 pp., Que suerte tiene el cubano; E) 2 pp., Romeo y Julieta; F) 4 pp., Tiempo muerto, con correzioni manoscritte; G) 1 p., William Soler. Documenti relativi al soggiorno cubano di Zavattini H) 2 pp., Informe, datato 3 gennaio 1960; 1 p., Libro presentado por Cesare Zavattini, ilustrado con fotos y breves textos explicativos sobre Cuba y su revolucion; 2 pp., Lugares visitados por el Sr. Cesare Zavattini, datate 13 e 14 dicembre 1959.
Le due cartelle dell’Archivio Zavattini contengono i progetti proposti durante i “Seminari Zavattini” del 1959-1960 da un gruppo di giovani scrittori e cineasti dell’Istituto Cubano del Arte y la Industria Cinematográficos, tutti discussi in via preliminare e, se selezionati, trasformati in veri soggetti (e a volte in trattamenti) attraverso i lunghi workshop dialogici e pratici (con interminabili sessioni di discussione e riscrittura) tenuti da Zavattini durante il suo lungo soggiorno a Cuba. Come ricorda uno dei protagonisti, José Massip: “Zavattini analizzò con sommo interesse e attenzione ciascuna idea, esprimendo il suo giudizio sempre attraverso un dialogo attivo e fraterno con ciascun autore e con noi. Accettò alcune proposte, ne rifiutò altre e ne riservò altre ancora per una analisi successiva” (Massip 1999: 53). Sono tutti dattiloscritti, conservati in cartelline di cartone chiaro da schedario: il soggetto A, Asalto a palacio, è di una sola pagina in cui si trascrive in spagnolo solo la critica di Zavattini (manca il soggetto), che vede il tema come importante ma non centrale poeticamente, a meno di non approfondire l’ambiente da cui muove la rivoluzione e il perché dell’intervento nell’assalto dei giovani universitari; il soggetto B El asalto al cuartel Moncada, di quattro pagine, presenta la data: “Dic. 13 y 17”, parla del processo a Fidel Castro “catturato il 26 luglio 1953 dall’esercito di Batista, dopo un assalto [fallito] a Santiago de Cuba” (Mazzoni 1979: 311), e delle considerazioni di Zavattini (riportate in spagnolo nell’ultima pagina), il quale propone di presentare l’assalto come “un atto cosciente, volontario, necessario”, lo divide in tre fasi (“preparazione”, “assalto”, “processo di Fidel”); in particolare, Zavattini spiega di raccontare l’episodio storico non “di fronte, direttamente, ma di lato, indirettamente. Esaminato attraverso un personaggio poetico” (Soggetto B: 5), così da umanizzare il racconto; per esemplificare Zavattini accenna al suo soggetto nel quale si racconta della dichiarazione di guerra di Mussolini, ma come sfondo alla storia di un uomo che scopre dal diario della moglie che lei lo inganna [non si cita il titolo, ma è Diario di una donna]. Il soggetto C, Atentado a Cowley, di sette pagine, racconta “l’uccisione da parte dei rivoluzionari del sanguinario governatore, detto ‘l’uomo in bianco’, che terrorizzava la popolazione di Holguin” (Mazzoni 1979: 311); contiene come appendice la discussione (tradotta in spagnolo) di Zavattini (dal titolo Cowley, chiamato soggetto D nei dati d’archivio), che apprezza la proposta ma chiede di approfondire il momento storico con una ricerca documentale; inoltre promuove uno stile “morale, etico, più che formale”, come base comune dei lavori dei futuri registi; indica anche qui di raccontare in modo laterale, perfino senza far vedere Cowley, ma sempre contestualizzando e partendo da dati storici, e ponendosi delle domande sul significato “reale e storico” di questo fatto divenuto mitico: “qual è la morale della sua morte?”; “Che necessità c’era di questo attentato, rispetto alla linea della rivoluzione?”; si decide poi per brevi episodi in un unico film, in cui raccontare la fuga del dittatore Batista solo nel finale (prima ci sarebbero gli episodi su: “Moncada e l’aurora della rivoluzione”, poi “lo sbarco del Granma, l’arrivo in montagna” [il secondo assalto di Fidel], poi Cowley, poi l’invasione di La Habana, Soggetto C: 14-16). Soggetto E, Candido, di una sola pagina (manca il soggetto), contiene una riflessione di Zavattini (tradotta in spagnolo) che pensa al comico messicano Cantinflas, ma “più profondo, meno superficiale”, per un personaggio di cui va determinata la classe sociale: Zavattini spiega che non si può approfondire un argomento come questo (si parla di alfabetizzazione) se non si va tra la gente, per parlare con le persone, i contadini, conoscere la loro mentalità, le loro vite. Il soggetto D, che pubblichiamo nella traduzione di David Brancaleone (2019b), si intitola: Color contra Color. Film-Lucha de colores (Pintor abstracto Vs. Pintor figurativo). Un drama sobre la tela, di due pagine dattiloscritte (su entrambe le facciate dello stesso foglio), senza commenti riportati. Si tratta dello scontro tra un pittore figurativo e un pittore astratto nell’ultimo anno della dittatura di Batista, un confronto che diventa un modo per discutere di politica, morale e arte: il primo mescola tutto, mentre il pittore astratto li vuole tenere separati. Il soggetto F, La historia de la habana consta di 6 pagine di discussione tra Zavattini e Pepe Hernandez, in spagnolo “Zavattini propone di presentare quattro momenti della città: l’Avana antica, l’Avana pre-rivoluzionaria, l’Avana rivoluzionaria e l’Avana attuale” (Mazzoni 1979: 311), Il soggetto Habana, hoy è qui di sola una pagina in cui si descrive un documentario per brevi flash di uno-due minuti in diverse situazioni. Soggetto H, La invasion. Ver los diarios de campaña del Che y Camilo, di tre pagine, porta la data: “Dic. 13 y 16”; si tratta del “diario di campagna del Che e di Camillo, testimoni e collaboratori diretti di Fidel nei giorni della rivoluzione” (ib.): Zavattini consiglia di usare il modo del diario (di un ragazzo) per fare il film, perché “rappresentativo dell’atmosfera rivoluzionaria”, ma anche per la “necessità di raccontare le cose e i fatti in modo che la gente del mondo intero possa intenderle e seguire la storia con facilità”; consiglia poi di “usare il viaggio come struttura del racconto”, in tre fasi: le riunioni preparatorie (tra Fidel, Camilo, Che Guevara), la partenza per l’invasione, l’incontro tra i tre prima della caduta di Batista (Soggetto H: 28). Nella seconda cartella la numerazione dei soggetti ricomincia, e troviamo come Soggetto A quello che pubblichiamo nella traduzione italiana di David Bruni, El pequeño dictador, il cui sottotitolo recita: “Proyecto de un argumento cinematográfico de Cesare Zavattini para un film satírico que pudiera ser realizado en colores y Cinemascope por un realizador del estilo de Berlanga o Monicelli. Escrito con la colaboración de: José Massip, José Hernández, Héctor García Mesa, Oscar Torres, Manuel Octavio Gómez, Mercedes Cortazar”, sono 35 pagine (come quasi sempre, in questo fascicolo, senza correzioni). Il soggetto B (El premio gordo), di due pagine, porta le date “Dic. 11” e “Dic. 15”, è la “storia di uomo che sotto Batista, sotto Castro, vive solo per una cosa: giocare ogni settimana alla lotteria” (Mazzoni ib.), poi sente un discorso di Fidel e capisce la realtà che lo circonda. Il soggetto C, La prensa amarilla assieme a El director, che porta la dicitura: “Argumento cinematográfico por Manuel Octavio Gómez”, di 14 pagine, discussi in data “Dic. 17”, sono due testi di argomento simile, definito “balzachiano”: è la “storia di un giovane attratto da tutti gli aspetti della realtà prerivoluzionaria”, un giornalista che rifiuta la corruzione e sposa la rivoluzione (ib.). Il soggetto D, Que suerte tiene el cubano, di due pagine, porta la data “Dic. 13 y 17”: “Programma TV (probabilmente una proposta di collaboratori). Una coppia di fidanzati deve sposarsi”, le difficoltà finanziarie sotto Batista rendono impossibile il progetto, loro “pensano al suicidio” (Mazzoni ib.). Soggetto E, dal titolo Romeo y Julieta, una difficile “storia d’amore tra un bianco e una negra [sic] a Cuba prima della rivoluzione” (ib.), manca il soggetto e ci sono solo note di Zavattini “per un cinema cubano espressione della politica del paese, della situazione sociale e morale del popolo in questo momento” (Soggetto E: 56). Soggetto F, Tiempo muerto, quattro pagine, con data “Dic. 16” (a p. 59 compare un altro titolo: Sinopsis para un nuevo Tiempo Muerto), presenta delle correzioni manoscritte, si tratta del tempo senza lavoro, quello “in cui non c’era la safra, cioè la raccolta dello zucchero. Il dramma della ‘monocultura’ dal quale Batista non usciva […] il punto cruciale della crisi economica dell’isola” (ib.). Soggetto G, William Soler, una pagina: si tratta del “processo per l’assassinio di un ragazzo di 14 anni a Santiago, nel 1958”, ripercorrendone la vita tramite le testimonianze di amici e parenti, “Zavattini ebbe un incontro diretto con la madre” (Mazzoni ib.); in una nota Zavattini spiega: “un documentario non è oggettivo, porterà sempre traccia di chi lo realizza” (Soggetto G: 63). Nelle Note di lavorazione, datate 3 gennaio 1960, Zavattini (tradotto in spagnolo), fa il punto sui soggetti discussi e propone un nuovo film dal titolo El Joven Héroe, poi presenta il progetto di un libro cubano (da stampare in Italia) sulla falsariga di Un paese (Strand, Zavattini 1955): con testi di Zavattini e fotografie di Cuba “le più concrete possibile, le più chiare, semplici, dirette, facili a venir comprese da tutti” (note: 66).
Brancaleone (2019b) propone una traduzione del soggetto Cuba mia dal libro di Alfredo Guevara Ese diamantino corazón del la verdad (2002), mentre il dossier di Bianco e nero curato da Parigi (1999) presenta anche la traduzione del soggetto Habana, hoy, nel quale si ripropone il film inchiesta, che “ci riconduce alla fede nel cinema come strumento conoscitivo della realtà, ci riporta al primato del documento” (Parigi 1999: 71). Rinviamo alla nostra nota sulla poetica per discutere questi temi, e per leggere, alla fine, la ricostruzione fatta da Brancaleone (2019b) del soggetto Revolución a Cuba.
Per El pequeño dictador pubblichiamo la traduzione di David Bruni, pubblicata nell’inserto intitolato “Officina cubana” del n. 6 di Bianco e Nero del 1999 (nel “Dossier Zavattini a Cuba”, curato da S. Parigi 1999: 37-117) e ripubblicata in Caldiron (2006: 374-391). Pubblichiamo invece online il dattiloscritto originale El pequeño dictador (Soggetto A).
Spiega Mazzoni (1979): “Tra il 1955 e il 1958 Zavattini produce soggetti per il Messico, la Spagna e Cuba. Abbiamo così Mexico mio del 1955, Cinco Historias de España, a cui dovevano collaborare il regista Berlanga e Muñoz Sway, dello stesso anno. El año maravilloso del 1957 e una serie di Soggettini cubani sulla rivoluzione scritti tra il 1958 e il 1960. Tra questi il più interessante, quello per il quale Zavattini ha maggiore nostalgia, è Revolución a Cuba, di cui purtroppo esiste solo un breve accenno nell’archivio. Doveva essere un film inchiesta che ripercorreva le tappe principali della rivoluzione (l’assalto al Moncada, la Sierra, il treno blindato, il primo di gennaio) ricostruendole lungo la strada con la collaborazione di tutti quelli che vi avevano direttamente partecipato. Probabilmente dello stesso anno di questi ultimi è El pequeño dictador, satira dell’ultimo giorno di Batista e del suo ambiente che sottolinea grottescamente l’arroganza e l’esteriorità di un personaggio sociale creato dal suo ruolo e umanamente inesistente, spazzato via dai barbudos di Fidel Castro” (Mazzoni 1979: 17).
Nelle corpose note ai soggetti, Mazzoni ricorda che nello stesso periodo “Zavattini affrontò anche un viaggio a Cuba, dove fu chiamato da Alfredo Guevara, direttore dell’Istituto Cubano di cinematografia e lavorò con intensità a una serie di Soggettini cubani attorniato da collaboratori quali José Massip, Pepe Hernandez, Hector García Mesa, Oscar Torres, Manuel Octavio Gomez, Mercedes Cortazar. Di questi progetti esistono nell’archivio Zavattini 14 fascicoli contenenti altrettante conversazioni tra lo scrittore e i collaboratori su idee da sviluppare in possibili film (Mazzoni 1979: 310-311). Parigi spiega che Zavattini scrive del suo primo viaggio a Cuba nel suo Diario già nel 1953, perché “la giovane cultura cubana d’opposizione si aspetta dal cinema italiano <delle indicazioni di vita, dei conforti di lotta […] soluzioni tutt’altro che romantiche>” (Zavattini 1954, in Parigi 1999: 39). Nei viaggi successivi, per Zavattini la rivoluzione cubana sembra rilanciare questioni poste dalla resistenza italiana all’uscita dalla guerra, in primis la questione del neorealismo, inteso come “un’arte nuova che sappia rapportarsi a un mondo in trasformazione […un] inesauribile atto conoscitivo” (Parigi 1999: 40). Per Zavattini il neorealismo rappresenta ormai la stessa “<coscienza del cinema>, della sua funzione di medium popolare […] di approfondimento del problemi dell’uomo moderno [in cui] la responsabilità morale coincide con quella estetica”; anche la rivoluzione cubana deve accogliere la spinta al rinnovamento come “una tensione continua alla sperimentazione” (ib.). Zavattini progetta di fare da regista Revolución en Cuba, un “film dialogico, in cui entrano i corpi e le voci della gente che racconta insieme alla flagrante presenza del regista che partecipa dall’interno” (ib.). In una lettera ad Alfredo Guevara del 1962, Zavattini lo definisce: “un vero e proprio film inchiesta che doveva incominciare con Fidel Castro e me sul suo elicottero per poi, partendo dal sud, ripercorrere il cammino della rivoluzione fino all’entrata dei barbudos all’Avana” (Lettera del 12 ottobre 1962, in Zavattini 1988: 242). Il periodo a Cuba, assieme a una costante documentazione su stampa e libri di storia e di letteratura è, nella spiegazione di Parigi, “di attività sfrenata, quasi febbricitante: alle interminabili sedute di sceneggiatura, che i testimoni paragonano a riti socratici, Zavattini alterna una vera e propria perlustrazione del territorio. Visita fabbriche e coltivazioni, cooperative e scuole, si fa condurre nei luoghi storici degli eventi rivoluzionari, incontra i detenuti e i rebeldes, partecipa alle manifestazioni popolari, e dovunque parla senza stancarsi con la gente […] Insomma, mescola in modo frenetico studio e ricerca sul campo, con l’avidità che è propria solo delle iniziazioni giovanili […] Cuba invita a una nuova giovinezza dell’anima, che per Zavattini coincide con una nuova giovinezza del mondo (Parigi 1999: 42).
Nella già citata lettera a Guevara, Zavattini elenca altri soggetti cubani rimasti irrealizzati: “penso continuamente a ciò che non abbiamo fatto, al film anti-razziale, cioè, quello che si sarebbe dovuto svolgere tutto sulla strada, nel giro di due ore, intorno al tombino dentro il quale era stato ficcato il corpo del negro ucciso dalla polizia; penso al film delle ragazze soldato, quasi una favola, era il più delicato fra tutti quei nostri pensieri, e tuttavia realistico; oppure al film contro la stampa gialla che avevamo strutturalmente abbastanza definito, e il film sugli ultimi giorni di Batista, il trattamento del quale non era privo di trovate che ci soddisfacessero [si tratta di El pequeño dictador]; e anche il progetto che ci affascinò per qualche giorno dell’assalto al ‘Palazzo’, e l’altro dell’attentato contro l’uomo vestito di bianco di Holguin del quale avevamo conosciuto i protagonisti e visto ricostruire sotto i nostri occhi la scena dentro al garage con la fulminea sparatoria; e infine a Revolución a Cuba […] Era questo forse che avremmo dovuto fare per primo; come ti ho scritto tante altre volte, è una specie di rimorso che ho per non avere individuato, in mezzo a tanti progetti, quello che più conveniva anche sul piano della necessaria urgente propaganda in tutto il mondo […] senza l’impegno per la Ciociara [De Sica, 1960] sarei rimasto lì il tempo necessario per una esatta valutazione delle cose” (Lettera di Zavattini del 12 ottobre 1962, ib.).
Come abbiamo sottolineato, i “Seminari Zavattini” sono una vera e propria “officina”, in cui Zavattini aiuta a rielaborare e specificare le proposte per lui più interessanti: di queste idee per film, “nessuna […] è stata propriamente e direttamente scritta da Zavattini. I testi conservati sono per lo più trascrizioni delle sessioni di lavoro effettuate col registratore, con la stenografia o gli appunti presi a mano dai partecipanti. Queste cartelle dattiloscritte restituiscono perciò prima di tutto il carattere polifonico della discussione e l’andamento non strutturato del discorso orale. Solitamente, ma non sempre, viene indicato il nome di Zavattini quando il testo ripropone le sue personali opinioni […] Nessuno di questi temi per possibili film da farsi, infine, è stato realizzato. Nell’enorme messe di lavoro abbozzato, l’unico progetto andato in porto è El joven rebelde [regia di Espinosa, 1961]” (Parigi 1999: 70).
Secondo Brancaleone (2019ab) dall’esperienza di Zavattini a Cuba negli anni di Batista e dalle successive conversazioni con Alfredo Guevara nasce la proposta di Cuba mia, anche in questo caso (come per Mexico mio), improntata al modello conoscitivo documentario e di ricerca etnografica immaginato per Italia mia: la struttura del soggetto “fu raccontata ai cubani da Zavattini, attribuita da Alfredo Guevara tanto a Zavattini che a sé”; rispetto al soggiorno del 1960 e ai seminari con i giovani cineasti cubani animati da Zavattini, Brancaleone incalza: “i carteggi dimostrano che gli interventi di Zavattini nella Cuba della Rivoluzione erano molteplici: generare uno scambio dialettico sul cinema politico, contestare l’autonomia artistica, immaginare un cinema politico basato sul singolare e che rifiutasse il realismo sovietico, e suggerire modi di raccontare e analizzare la Rivoluzione che non finissero per diventare propaganda politica. Cuba mía appartiene all’epoca della dittatura di Batista, Cuba 1960, no. Entrambi hanno in comune il pedinamento esteso” (Brancaleone 2019b: 19-20). Il testo di Cuba 1960 è un reportage di taglio letterario, che Zavattini pubblica in versione abbreviata su Cinema Nuovo e in versione estesa su Paese Sera, in cui lo scrittore combina “una voce singolare, diaristica, personale, con un resoconto degli eventi recenti […] come il diario messicano ricostruisce la storia della ribellione messicana contro le multinazionali tramite la storia orale, raccontatagli dai protagonisti e in loco, in seguito integrata dallo studio a tavolino, la storia si innesta nel presente delle impressioni e delle esperienze vissute nel diario cubano e in Cuba 1960, da considerarsi un soggetto cinematografico per un documentario mai fatto, una Cuba mía rivoluzionaria, fatta di incontri, esperienze che formano un insieme, arricchita da altri testi montati senza tagli secchi in un costante fluire dello sguardo da livello in livello, osservazione empirica, ricordo, dato storico, analisi politica, riflessione personale” (Brancaleone ib.)
Parigi (1999) commenta così i soggetti che riportiamo nel volume: “El pequeño dictador rappresenta un’immersione nell’aspetto surreale, grottesco e finanche fumettistico […] è un apologo morale e politico, di tono chapliniano, come si dichiara fin dal titolo, che si colloca sulla stessa linea di Miracolo a Milano e de Il giudizio universale […] Pensato come una esilarante progressione di gag, El pequeño dictador è, oltre che una satira beffarda del potere, una critica dei mezzi di comunicazione e rappresentazione, coinvolti in un gioco di manipolazione comica che ne esplicita la costitutiva forza falsificatrice […una] esaltazione dei media come moderne tecniche di dominio sulla realtà” (Parigi 1999: 71). Anche al progetto Color contra color, abbozzato l’ultimo giorno prima della partenza, Zavattini tiene molto: in una lettera a Valentino Bompiani del 7 marzo 1960 racconta che nel soggetto i due giovani pittori, mentre lottano contro Batista, cercano di “capire che rapporti ci sono tra la vita politica e la vita dell’arte, tra la libertà e la libertà dell’artista […] Non si tratterebbe di trovare la verità, ma di far vedere questo appassionato e perfino feroce contestare […]: un film quasi completamente grigio con i colori sulle tele che diventano dei veri e propri banchi di prova, drammatici” (Zavattini 1988 [2005]: 922). Secondo Parigi (1999: 43), il racconto “rimette in discussione le vecchie antinomie della più retriva critica di sinistra, tra arte sociale e arte disimpegnata, formalista”. Se le discussioni dei due pittori nel soggetto Color contra color ricordano un po’ le discussioni tra Van Gogh e Gauguin nel soggetto su Van Gogh scritto da Zavattini (che riportiamo in questo volume), qui si tratta, come in effetti in tutti questi soggetti cubani, anche di “una concezione moderna del cinema, che si propone di lavorare sulla abolizione delle barriere tra documentario e finzione […] una ricerca in atto sulla problematicità del reale, che procede di pari passo con la problematicità del pensiero e dello sguardo che vi sono coinvolti” (Parigi 1999: 72).
Seguendo le indicazioni di Brancaleone (2019b: 145), il soggetto di Revolución en Cuba “si ritrova nel Diario cinematografico, nella versione pubblicata nel 1960 da Cinema Nuovo, non quella riscritta per Straparole […] Questo spunto di soggetto sviluppa l’idea iniziale e proviene da Zavattini, Cuba 1960. 11 gennaio 1960 (457-458) […] la storia prende spunto dal resoconto del pedinamento di Zavattini […], il diario diventa un’officina di idee, un menabò di possibilità suggerite dal contatto diretto con la gente e si dimostra ancora una volta il modo di rendere attuali e trasformare una serie di episodi della lotta di liberazione cubana durante la dittatura di Batista in un viaggio geo-politico attraverso l’isola, in cui cronaca recente e storia orale si incontrano”. Ecco allora di seguito Revolución en Cuba di Zavattini, nella ricostruzione pubblicata in Brancaleone: “Il 20 arrivo con due ore di aeroplano a Santiago. Sento subito qui che a La Habana il Natale è imminente: nelle strade preparano alberi con carta stagnola; La carta stagnola multicolore è dappertutto, le case grondano di carta stagnola e lampadine e nascimientos, cioè presepi. Trascrivo le secche note. In una «sezione rivoluzionaria» c’è un cortile pieno di giocattoli rotti, ceste di bambole, automobiline senza ruote, fucili senza canna. Li stanno aggiustando per distribuirli ai bambini dei campesinos. Una donna che ha combattuto con un fucile vero sulla Sierra Maestra, dirige tutte quelle mani alacri che grattano, incollano, pitturano. Frank País era di Santiago, la polizia lo ammazzò il 30 giugno del ’57, aveva ventitré anni, e fin dall’adolescenza complottava. Vado nella strada dove lo hanno ammazzato. È quasi sera. Una signora vide tutto. Mi racconta stando dietro la finestra, e io nella strada con gli amici: «Veniva giù da quella strada e la polizia girava qui intorno da ore. Lo avevano avvisato. Stava in una casa trenta metri più in su. Da questa strada sbucò di colpo una camionetta, c’era sopra il Capo della Polizia, Cañizares: <è lui, è lui>, gridò, si è udito subito il mitra, lui corse giù per di lì, ma lo colpirono subito, lo trascinarono davanti a quel muro e lo lasciarono lì, gli misero una rivoltella in mano». Era arrivata la sera e andammo nella Plazita, una piazzetta con le panchine e i rumori delle piazzette intime, di qualche ragazzo che gioca, di due fidanzati che ridono. Frank País e altri giovani si riunivano su queste panchine, e parlavano di Batista, di Fidel. Nel ’56 tentarono un sollevamento, quando Fidel stava sbarcando dal Granma, andò male. In questa piazzetta, con una lapide piena di giovani assassinati da Batista, ho pensato che dovrei fare un film: Revolución en Cuba, raccontare la Rivoluzione percorrendo le tappe principali, ricostruendo, come è avvenuto con quella signora poco fa, i fatti. Il racconto della signora, con lei che racconta, è forse meno commovente, meno interessante, di un film in cui vedessi l’attore che fa Frank País? Io ero attanagliato da quella voce calma e sincera, e dagli altri intorno che spiegavano, aggiungevano, uno indicava il muro, un altro faceva la parte di Frank País che scende lungo la strada. Un film-inchiesta di uno straniero, come sono io, che viene a Cuba, e parte dalla capitale poi va a Santiago, al Quartel Moncada, e, da là, comincia il suo viaggio, ricostruisce con l’aiuto della gente. Quali tappe? Lo saprò meglio tra un mese. Ma lo sbarco di Fidel il 2 dicembre del 1956 a Niquero, quella notte fonda, il primo combattimento di Fidel a La Plata; l’attacco al Palazzo Presidenziale dell’Avana, impresa pazzesca e meravigliosa capeggiata da Echeverría, la morte di Frank País, l’attentato a Cowley, in Holguín (dove andrò domani e ricostruirò questo attentato; Cowley era feroce, schiaffeggiava chi lo guardava, vestiva sempre di bianco. Teneva la zona sotto il terrore, e lui vivo era duro aprire il secondo fronte. Lo ammazzarono dei giovani, dopo mesi di agguato; lui stava comperando una bombola d’aria per la sua avioneta [piccolo aereo], fece appena in tempo a voltarsi che gli ficcarono nella testa cinque o sei pallottole); la Sierra, la «Invasión», dell’agosto 1958, Fidel che in ottobre fa la legge della Riforma agraria, nel mezzo della lotta, la battaglia di Guisa, la presa del treno blindato di Batista, la fuga di Batista, il primo gennaio ’59, il 2 gennaio; ma perché no, Solas Cañizares che nel ’56 assalta la Università con i suoi sbirri, questa Università che, come nessuna altra Università al mondo, è sempre stata all’avanguardia della lotta contro la tirannia? O la morte di questo Solas Cañizares quando irruppe, grande grosso violento, nell’ambasciata di Haiti dove stavano rifugiati degli antibatistiani e li ammazzò lui? O il «levantamiento» [la sommossa] di Santiago che ebbe subito i suoi martiri, e c’è una macchia nell’asfalto, sopra cui ne caddero tre, e dicono che è la macchia di quel sangue che non va più via; vorrei far sentire i commenti della gente, che indica, che spiega, che fa rinascere quei fatti. E intanto si vede l’altra vita, quella dello zucchero, del caffè, del tabacco, la vita del campo, Batista fra gli ambasciatori, gli americani che arrivano a palate per il sabato per il week-end, e si diramano per i luoghi dove si giuoca, dove si beve, dove si fa l’amore. Insomma, è uno spunto e cercherò di far entrare tutto quello che vedo dentro questo imbuto. Forse è più adatto alla televisione. Ecco che il cinema cede alla televisione larghi strati di possibilità. Ma che importa? Purché si faccia. L’origine è la «camera». Forse il cinema richiederebbe un impegno più profondo nello svolgere un tema così? E perché questo impegno, casomai, non viene messo nell’affrontare il tema con la televisione? Non sono discorsi di lana caprina. Vorrei riflettere a lungo su cosa fa scartare spesso (quali complessi) dal cinema la tematica che non sia fabulistica; non le ragioni commerciali, le conosco, ma quelle più remote, direi letterarie” (Zavattini, in Brancaleone 2019b: 146-148).