La città è piena di manifesti che chiamano “Tutti in piazza”. Lì si trova un uomo sconosciuto su un tavolo: è lui che ha messo i manifesti e annuncia che si ucciderà di fronte a tutti “perché io non riesco ad amarvi e voi non amate me”. La discussione si accende, nessuno vuole che si uccida, l’uomo “ritrova un filo di speranza”, concede ventiquattr’ore per notare dei miglioramenti, altrimenti darà seguito al suo proposito. Ora tutti si sentono accomunati da qualcosa, che fa loro cambiare prospettiva sulle proprie azioni: li lega “l’angoscia del fatto nuovo”, che si ripercuote “nelle vicende dell’altro” e “tutti sono ugualmente protagonisti”. La domanda se l’uomo misterioso si ucciderà o meno resta “sospesa come un incubo”, ma alla fine non si ucciderà perché in queste ventiquattro ore “si è scoperto tutto il male possibile e immaginabile, ma si è anche scoperta la coscienza di questo male” (Soggetto A: 1-2).
Dati d’archivio. Per chi ha di fronte i materiali d’archivio e li sta consultando, consigliamo di controllare nel volume stampato per Marsilio la congruità dei dati descritti nelle Note filologico-genetiche. Rispetto alla nuova catalogazione d’archivio che si può trovare online al link che indichiamo volta per volta nelle schede dei soggetti, il nostro lavoro di descrizione filologica a volte risulta incongruente perché ci basiamo sui documenti consultati direttamente in archivio e che poi abbiamo riportato nei PDF messi a disposizione.
Il fascicolo contiene, nella cartella 3, diverse versioni del soggetto in cui il titolo varia da Si ucciderà, con o senza punto interrogativo, a La conferenza, Conferenza, Una strana conferenza e, infine, Signore e Signori. Il soggetto A, di una pagina, dal titolo Si ucciderà?, è considerato la prima stesura e presenta una nota manoscritta: “Vedi Tempo, del 1-2-3-4-5 settembre 1947”; viene recentemente ripubblicato anche su La Repubblica: “Si ucciderà o non si ucciderà il misterioso individuo? La domanda resta sospesa come un incubo sino alla fine su tutti. Alla fine l’uomo non si ucciderà perché il filo di speranza continua ad esserci. In queste ventiquattr’ore si è scoperto tutto il male possibile ed immaginabile, ma si è anche scoperta la coscienza di questo male” (Frau, [Miracolo a Parigi] I suoi sogni nel cassetto. Chissà se si ucciderà – Tre uomini a Roma. Ecco due soggetti originali che lo scrittore emiliano non riuscì a vedere trasformati in film, 1° dicembre 1990: 20); il soggetto è dattiloscritto su entrambe le facciate senza correzioni. Ma in effetti il soggetto A riporta le molte correzioni a penna del soggetto B (Si ucciderà?), di due pagine dattiloscritte, in cui singole parole e poche frasi che vengono riscritte (ad es. all’inizio “la curiosità generale è al massimo” diventa: “la curiosità ha raggiunto il diapason”. Il soggetto C (dal titolo Si ucciderà?) di due pagine, assorbe le correzioni di B ed è una copia di A con rare correzioni manoscritte; il soggetto D (Si ucciderà) di una pagina dattiloscritta su entrambe le facciate è una copia di A. Il soggetto E (Si ucciderà? Soggetto cinematografico) è una copia di A e D di due pagine controfirmate a lato da Zavattini. Una annotazione si riferisce ai numeri dall’1 al 5 settembre 1947 del quotidiano Il Tempo, in cui troviamo il fatto di cronaca che presumibilmente è la fonte del soggetto. Una serie di articoli, infatti, in quei giorni seguono gli sviluppi circa l’invio, da parte di un misterioso uomo ribattezzato “XX” (si scoprirà essere un reduce di nome Michele Davilio), di una serie di lettere al quotidiano per comunicare l’intento di suicidarsi l’8 settembre. A titolo esemplificativo riportiamo qualche riga dall’articolo Un barlume di speranza salverà il Reduce dal suicidio? del 2 settembre 1947: “Ieri stavamo leggendo la terza lettera inviataci dal «povero Cristo» che ha preannunziato il suicidio, e cercavamo di interpretare il testo un po’ oscuro nel quale si parla di un deviamento dalla iniziale linea di «condotta» […] L’ansia, lo smarrimento di quest’uomo che si vede respinto ai margini della società che commisura la sua rovina con quella del mondo il quale, per dirla con le parole di Amleto, è uscito dai cardini: quest’ansia cerca di placarsi non tanto nell’appagamento delle necessità materiali della vita quanto in un bisogno di credere a qualcosa di più alto, alla fraternità, alla giustizia, a quei nobili sentimenti che giustificano l’esistenza”. Nel fascicolo dell’archivio Zavattini, il soggetto F (dal titolo Schema del soggetto (cinematografico): La conferenza (altri titoli provvisori: Signori e Signore; Si ucciderà), è un ampliamento di sette pagine del primo racconto, con ogni foglio autografato da Cesare Zavattini; il soggetto G è una copia di F, con nota manoscritta che indica il “deposito [SIAE] in febbraio del ‘53”, ed è la versione pubblicata in Caldiron (2006: 395-399), che riportiamo anche nel nostro volume.
Il soggetto H, di nove pagine, porta il titolo La conferenza e una nota manoscritta che lo attribuisce al progetto “Zibaldone Blasetti-Zavattini” (si veda la scheda critica in questo volume di Zibaldone n. 3). Il dattiloscritto presenta molte cancellature, riscritture ed ampliamenti, nei quali si inseriscono le battute e i dialoghi tra il pubblico e il conferenziere, descritto come “un uomo di media età, vestito modestamente, potrebbe essere un professore” (Soggetto H: 23). Il racconto si amplia, mantenendo la struttura dei soggetti precedenti: il conferenziere batte sul tavolo per creare i rumori di bombardamenti nel gioco teatrale collettivo, poi chiama sul palco una figlia che nella finzione piangeva per il padre morto e fa ripetere la scena, per ribadire come pochi mesi dopo potrebbe non pensarci più; poi fa lo stesso con una moglie e un marito; infine chiama sul palco un uomo che si è detto un meccanico disoccupato e lo mette a confronto, sotto i riflettori, con il titolare di un’azienda. Qualcuno dal pubblico interviene: assumerà il disoccupato; la solidarietà rinfranca tutti e il conferenziere si lascia disarmare per andare tutti a bere insieme.
Nel soggetto I, di nove pagine, si trova una nota manoscritta: “Zibaldone Blasetti-Zavattini” e la data “30.11.53”; il dattiloscritto presenta molte correzioni, cancellature e riscritture manoscritte che riprendono le riscritture del soggetto H, ma trasformano ulteriormente situazioni e finale: viene soppressa ad esempio la parte di confronto sulla morte dei propri cari (la figlia, la moglie, ecc) e si modifica il finale, ancora più festoso, con corteo.
Il soggetto L (La conferenza), di nove pagine, assorbe le correzioni e revisioni di I anche rispetto al finale festoso, ma aggiunge a mano un “Appunto per La Conferenza”, cassato poi con un tratto di matita, che recita: “far risaltare, dopo la scoperta dell’uomo sotto lampada che fa da riflettore (l’uomo che può ridere che può piangere che può fare tutti i gesti che vuole, buono o cattivo cambiando sempre espressione che può gridare o cantare), il pubblico che si guarda l’uno con l’altro nella loro originaria importanza per la prima volta. Tenere presente che nella sperimentalità della situazione, per cui con la spinta del conferenziere tutti vogliono conoscere come stanno veramente le cose, tutti si spogliano, cercano di essere come l’uomo sotto la lampada […]; e così li vediamo tutti nudi e fermi; confrontano le varie biancherie; e quando si rimettono le vesti nella fretta le scambiano creando curiose situazioni delle quali s’accorgono con ritardo” (Soggetto L: 49).
Il soggetto M (La conferenza), dattiloscritto di nove pagine, porta una data scritta a mano: “18.3.55”, è una riscrittura del racconto che riprende parzialmente le situazioni di L, aggiunge scenette come l’indagine su un cappotto nuovo di uno dei presenti, o il far fingere il morto a uno entrato in ritardo che stava succhiando una caramella, con la richiesta a un gruppetto scelto dal conferenziere di venire sul palco, spogliati dalla vita in su, per esaminarli sotto la lampada, trovare le differenze, anche se tutti avrebbero paura se scoppiasse la guerra. La discussione sulla guerra termina con una proposta dal pubblico di fare un corteo di protesta attraverso la città, che esalta tutti e li fa uscire gridando: “Morte alla guerra – viva la terra – morte alle bombe – che fanno tombe”. Mentre escono cantando, uno chiede al conferenziere un autografo. Lui rimane solo con l’inserviente che sta pulendo la sala e va ad aprire la finestra: “Si ode un colpo di rivoltella. Dalla faccia dell’inserviente si capisce che il conferenziere si è sparato. Dalla finestra entra il rumore della città e l’eco del corteo che canta l’inno antibellico” (Soggetto M: 58). La situazione di happening teatrale che è stata rivelatoria e ha portato a un finale pacificato del soggetto del 1953, viene quindi trasformata nel soggetto M del 1955, con un finale tragico, che rimarrà nei soggetti successivi.
Il soggetto N (La conferenza), di tredici pagine, è rilegato da una carpetta con l’indicazione dattiloscritta che recita: “Zavattini n. 1 bis”; il dattiloscritto riprende integralmente il soggetto M, con il finale parzialmente variato grazie all’aggiunta di una nota manoscritta nell’ultima pagina: “anche il conferenziere si decide a intrupparsi. Eccolo nel corteo anche lui. A un tratto si ode uno sparo. È lui che ha deciso di ammazzarsi sul serio. Quel colpo spaventa tutti. Tutti corrono, scappano. <La guerra, la guerra> grida qualcuno. Qualche altro, che ha capito cosa è successo, cerca di tranquillizzare la gente, <non è la guerra, ripete non è la guerra, state calmi>” (Soggetto N: 73). Il soggetto O è una raccolta non datata di appunti a matita (sette pagine manoscritte) dal titolo Usi e costumi della valle padana (e un altro titolo cancellato: Una strana conferenza), la prima pagina recita: “Sala della conferenza. Ventina di persone. Cicaleggio. Entra conferenziere. Silenzio. Si ferma sulla porta. È ansante. Sguardo tra lui e il pubblico. Poi va al suo posto. Comincia con un certo imbarazzo dopo aver guardato il pubblico in silenzio per un minuto”, segue una nota a mano: “Chiarire che vuole lui”. Gli ulteriori appunti (con cancellature e riscritture) ampliano il monologo del conferenziere e indicano una prima scaletta parziale di scene che si ferma alla prima parte del racconto, quando interviene per la prima volta il pubblico.
La Cartella 4 contiene due scalette parziali e una terza (Scaletta C) più articolata ma monca del finale. La prima dal titolo La conferenza. Scaletta, datata 26 aprile 1954, con note e correzioni a mano, è una pagina dattiloscritta, in cui si trova una lista delle prime situazioni e scene dall’attesa del relatore fino alle prime interazioni con il pubblico; la seconda, dal titolo Conferenza, è di tre pagine dattiloscritte (con rare correzioni a mano e un’indicazione di data a matita: “15.9”), in cui si dettagliano in cinque righe le situazioni e le scene, con indicazioni come, all’inizio: “Far vedere l’ingresso del circolo nel quale si svolge la conferenza con il manifesto che la annuncia affisso all’albo murale” (scaletta B: 21). La terza scaletta dal titolo Conf.: Scaletta suddivisa, di nove pagine dattiloscritte con varie correzioni e aggiunte manoscritte introduce su una colonna a lato i dialoghi, specifica le azioni dei personaggi, arriva oltre la scena del disoccupato che viene assunto, altalenando momenti di tensione e di euforia collettiva, ma è incompleta e si arresta con la frase “E il finale del soggetto”, come a indicare cosa manca.
La cartella 5 contiene quattro versioni intitolate La conferenza indicate nel sottotitolo come “presceneggiatura”, ognuna di circa trenta pagine, fitte di correzioni a mano. Sono datate in progressione in ogni dattiloscritto: versione A, 27 aprile 1955; versione B, 28 aprile 1955; versione C (che riporta anche l’indicazione manoscritta: “Incompleta”), 29 aprile 1955, contiene anche un biglietto manoscritto con note sui dialoghi; la versione D, datata 2 maggio 1955, riporta tutte le correzioni delle versioni precedenti e ne aggiunge molte altre a mano. Si ampliano qui le scene di ragionamento sulla guerra, la richiesta ad alcuni di spogliarsi (“mezzo busto”) per metterli a confronto, anche su quanto guadagnano. Tutte le versioni si chiudono con il racconto della donazione di “Un milione” fatta da uno del pubblico per la recente alluvione, come gesto di generosità che dovrebbe dimostrare che l’umanità non è così malvagia, ma il conferenziere si porta la pistola alla tempia, mentre lo incalza: “perché non due? Perché?” (Sceneggiatura D: 108).
La sceneggiatura E (dal titolo Una strana conferenza), di 43 pagine, non è datata, è un dattiloscritto con moltissime correzioni manoscritte (alcune anche sul verso delle pagine), in alcuni casi sembra una versione precedente o parallela alle presceneggiature, ma c’è un lungo finale diverso, che introduce il suicidio di uno del pubblico, “un giovane biondo”, che vuole togliere così il primato al conferenziere, e l’arrivo dei famigliari di quest’ultimo (la madre, il padre, la sorella) che lo implorano terrorizzati. La versione F della sceneggiatura, non datata (intitolata La conferenza) è di 23 pagine, con l’indicazione manoscritta: “No, superata”, è un dattiloscritto senza correzioni ma che presenta il finale festoso con il corteo che porta con sé il conferenziere. La versione G (titolo La conferenza) di 36 pagine dattiloscritte e alcune manoscritte, riporta un finale monco, barrato a mano per cancellarlo, dove l’oratore dice: “Io vorrei dire tutta la verità,.. tutta” (Sceneggiatura G: 214). La versione di sceneggiatura H non datata è parziale, monca delle prime otto pagine, è un dattiloscritto con correzioni manoscritte, che chiude con il finale sulla battuta “perché non due” (quella sul milione versato in beneficenza). La versione I non è una sceneggiatura, ma appunti a mano e due pagine dattiloscritte della scena di sceneggiatura dove il conferenziere impone a uno del pubblico di fingersi morto.
Pubblichiamo nel volume e online il Soggetto G (depositato alla SIAE nel febbraio 1953) e online i soggetti A e B.
Scrive Caldiron: “Il soggetto cinematografico La conferenza è dal 1947 al 1955 al centro di una lunga e complessa gestazione che, tra nuove stesure, scalette e presceneggiature parziali, comprende oltre trecento pagine dattiloscritte, conservate presso l’Archivio Zavattini. Ma lo spunto originario è destinato al teatro e risale al 1943, confermando il ruolo che il dramma della guerra assume nell’attività dello scrittore: «Nel ’43 decisi di scrivere anche per il teatro. Fu un exploit improvviso. Il lavoro che avevo in mente doveva chiamarsi La conferenza. Non vi accadeva nulla di particolare: solo una conferenza, appunto, durante la quale un uomo spiegava al pubblico (un pubblico di attori in palcoscenico) le ragioni per cui si sarebbe ucciso. Alla fine si uccideva. Doveva essere un lungo dramma. […] Ne è venuto fuori soltanto un raccontino piccolo piccolo (O. Bongarzoni, Zavattini propone un teatro di sfida, «Paese Sera», 23 novembre 1966, riportato in Jandelli 2002: 53). Il progetto teatrale si perde per strada mentre «il lungo dramma» confluisce nel «raccontino» Usi e costumi della Valle Padana, di cui si trova traccia in Ipocrita 1943, che attinge ai testi del ’40, ’43 e ‘47” (Caldiron 2006: 397-99).
Spiega Paladini (1951: 259): “Qui un uomo tira le somme di tutta la sua vita, accorgendosi che non riesce più ad amare il suo prossimo e che il suo prossimo, d’altra parte, lo esclude da qualsiasi forma di affettuoso interesse. È il dramma contemporaneo dell’indifferenza, dell’egoismo sordo e cieco ad altre ragioni che quelle del proprio tornaconto immediato […]. Il protagonista […] lo sa, lo verifica ogni giorno […] ma sa pure che lo scopo della vita è l’amore […] decide di uccidersi ma […] affigge manifesti […] per invitare i suoi concittadini a una conferenza […] sui motivi”; sfilano tutti i tipi sociali (ricchi e poveri, raffinati e grulli), il soggetto non risponde alla domanda se il personaggio si ucciderà o no, “lasciandola all’intuizione e, per così dire, alla coscienza degli spettatori”, ma nel raccontino da cui il soggetto muove “il protagonista finiva in realtà con l’uccidersi” (già pubblicato su rivista col titolo Usi e costumi della Valle Padana) (Paladini, ib.).
Paladini e Tosi, commentano, nelle “Note di lavorazione” del 12/5/1951 allegate al progetto Zibaldone n. 3 (note che pubblichiamo online): “Si tratta d’un episodio che parte da premesse apparentemente paradossali ma sostanzialmente logiche […]. In fondo [il conferenziere] ripete la posizione mentale d’un vecchio personaggio dello scrittore Zavattini (colui che firma M.S. nella Lettera dal Sud di Io sono il diavolo [che conclude dicendo]: <vedo il bene e non cammino verso di lui>”, ma i due autori citano anche l’ultimo appello di Einstein: <se vogliamo, possiamo avere davanti a noi un continuo progresso in benessere, conoscenza e saggezza. Vogliamo invece scegliere la morte perché non siamo capaci di dimenticare le nostre controversie?> (Nota A: 5). Nella nota Paladini e Tosi propongono anche delle revisioni alla sceneggiatura, sia con aggiunte o tagli “rispetto alle varie scene che servono a dimostrare apoditticamente i vari ‘tipi’ di mancanza d’amore nel mondo”, sia rispetto al finale in cui vedono il conferenziere portato via dalle guardie dopo la riunione di una “Commissioncina (un professionista, un operaio, un industriale, un disoccupato, una donna, se possibile un prete, ecc.) incaricata di ‘trovare una soluzione’” (id: 5-6). Questo finale sarebbe “una contaminazione tra il finale del testo n.1 di Zavattini, e la soluzione ‘evangelista’ prospettata da Blasetti” (id: 6), infatti secondo Paladini e Tosi questo finale è meno “moralistico” della sequenza della commissione e dell’abbraccio universale; quindi, renderebbe l’episodio del film di Blasetti più aperto all’interpretazione attiva degli spettatori. Nella Nota C dello stesso Zibaldone n. 3, i due riprendono alcune osservazioni sull’episodio La conferenza, ragionando sulle psicologia del conferenziere come di un personaggio “dentro la mischia” oppure “al di sopra della mischia”, cioè un moralista che vuole giudicare gli altri: per Paladini e Tosi è del primo tipo, “un uomo disperato […] un uomo onesto e smarrito”, che vive nella contraddizione, ma ha fiducia nel prossimo, quindi si può pensare anche ad un finale positivo, nel quale “un uomo semplice (un operaio, un contadino, un artigiano, tra gli astanti” faccia riflettere il conferenziere sulle sue contraddizioni e la sua sostanziale bontà e amore per gli uomini, toccandolo nel vivo e convincendolo a posare la rivoltella; questo finale però andrebbe contro “tutto il significato satirico e morale dell’episodio”, che va invece lasciato nel suo problematico pessimismo per essere maggiormente efficace sullo spettatore (Nota C: 22-26). Si aggiungono situazioni specifiche: siamo in una sala da conferenze, il relatore ha chiuso la porta a chiave e dopo aver fatto il suo annuncio tira fuori una rivoltella, “c’è gente di tutte le età, di tutte le condizioni sociali” (soggetto F: 11) e molti partecipano alla discussione mettendosi impietosamente in gioco: una madre con la paura della morte del figlio; una coppia in crisi coniugale; un “uomo qualsiasi” che (come nel soggettino El Hombre raccolto in Festival del Cine, che pubblichiamo online) “sale sopra la pedana e sotto la luce del riflettore si muove lentamente, tutti lo guardano, mentre si muove tutto intorno a se stesso, come un pianeta: sembra che solo ora si abbia il senso di che cosa sia una creatura umana” (id: 13). Ricordiamo che questa è una delle svolte teoriche proposte da Zavattini, far diventare interessante grazie al cinema la singola storia di ognuno, porre sotto il riflettore, appunto, un uomo qualsiasi, e scoprirlo nella sua individuale universalità. C’è anche il gioco della guerra di tutti contro tutti, in cui ci si scopre cattivi e non solidali, in un modo catartico che porta a una “stupefazione” e ad una nuova speranza, questo perché “solo la conoscenza coraggiosa della verità ci unisce. L’inganno sta nel nascondere ciò che abbiamo in comune” (id.: 14).
Alcune situazioni sono create, come quella della guerra, come un happening teatrale. Nel carteggio con De Sica si conferma l’importanza che Zavattini conferisce al progetto, come si legge in una lettera di Zavattini del 16 agosto 1950: “Tu hai detto l’altra sera che La conferenza è difficilissima. Io ti ho risposto e ora ti ripeto che è la cosa di maggior impegno che noi possiamo fare, certamente la più nuova. […]. Parecchi cercano in questo momento temi che riflettano il nostro tempo in quello che ha di più drammatico, di più estremo. Credo che non sia facile trovarne un altro dove io possa esprimere quello che penso dell’uomo odierno, e credo insomma di poterti offrire un testo a te congeniale, esplicito e umano” (ACZ D499/198). E ancora, il 6 aprile 1967, Zavattini spiega a De Sica e al produttore Arthur Cohn: “La conferenza regge un film da sola e De Sica lo aveva capito fin da parecchi anni fa, ma poi si era distratto. Non insisto per Prima io e per Il rifugio anche se avevamo l’occasione di un film a sketch dei più divertenti e moderni e convergente sopra un significato di facile identificazione per lo spettatore. Non escludo che mi possano sfuggire degli aspetti di mercato che voi invece conoscete più direttamente; per questo non grido ma mi limito a una protesta danzante” (ACZ D499/386).
Riassume la questione Parigi: “Il grande lavorio de La conferenza (oltre 300 pagine, dal ‘47 al ‘55) testimonia esemplarmente l’importanza che Zavattini attribuisce all’idea dell’esame di coscienza collettivo e del suicidio come estremo gesto morale, addirittura evangelico, dell’uomo che non ha assolto agli obblighi del «conoscere per provvedere», secondo uno slogan lanciato incessantemente dallo scrittore fin dal dopoguerra. Molte figure (ad esempio quella dell’uomo che gira come un pianeta) e temi (ad esempio quello centrale della guerra e della pace) presenti in questo progetto vengono ripresi in numerosi testi coevi e successivi. Anche lo schema antirappresentativo, del «monologo dialogico», della confessione e dell’autoriflessione, costituisce una costante del lavoro zavattiniano, da Come nasce un soggetto cinematografico (1958) a Fare una poesia alla vigilia della guerra (1966-68). Questo schema permea tutta la progettualità legata al «non-teatro» e alla diaristica cinematografica, fino a La veritàaaa, che compendia in un sunto esemplare il prima, il poi e il durante, proponendosi come la conferenza ultima e decisiva di un autore-attore che fa di se stesso la cavia dei propri esperimenti conoscitivi ed estetici” (Parigi 2002: 29).