Roma, primavera del 1948. Vittorio De Sica, alla ricerca di un operaio per la parte principale di Ladri di biciclette, finalmente trova nello stabilimento romano della Breda il tornitore Lamberto Maggiorani. Il regista ottiene per l’uomo un permesso di tre mesi con l’assicurazione che sarà riassunto dopo le riprese del film. Maggiorani verrà invece licenziato insieme a centinaia di altri operai, finendo così nella miseria.
Dati d’archivio. Collocazione: Za Sogg. NR 29/2 contiene varianti di soggetto: A) 9 pp., Tu Maggiorani. Appunti per il soggetto su Maggiorani, dattiloscritto con correzioni e note manoscritte; B) 15 pp., Tu Maggiorani, dattiloscritto; C) 4 pp., Il grande inganno (titolo provvisorio). Soggetto cinematografico di Cesare Zavattini.
Progetto di film sulla vicenda umana e professionale di Lamberto Maggiorani, protagonista di Ladri di biciclette. La variante B, che si presenta senza correzioni, è stata pubblicata in Mazzoni (1979: 35-41; 1997: 27-39) e in Caldiron (2006: 138-146). Il soggetto A riporta il titolo “Tu Maggiorani” e l’intestazione: “Appunti per il soggetto su Maggiorani”, presenta numerose correzioni a penna di singole parole o brevi frasi eliminate e riscritte. Il soggetto B è la ripresa del soggetto A e delle correzioni, che vengono integrate senza altre aggiunte. Il soggetto C appare come precedente agli altri due, porta il titolo provvisorio “Il grande inganno” e l’intestazione a penna “Soggetto cinematografico di Cesare Zavattini”, la vicenda viene narrata in terza persona in modo più generale, mentre nel soggetto A (e in B) si entra nei dialoghi e nelle descrizioni delle situazioni seguendo il protagonista nelle varie fasi della sua disperazione. Il soggetto C è interessante perché contiene molte considerazioni critiche sul neorealismo e sul mondo del cinema: “Il regista non vede che l’opera che deve compiere ma intorno a lui quanti drammi e commedie si accendono. Il regista vuole conoscere la verità, vuole apprendere tutto dal vero. Questo bisogno di verità è l’assillo del nuovo cinema italiano. Ma mentre da un lato egli penetra in questi ambienti che egli deve passare e smistare per scegliere quello più significativo, in queste case in queste vie, tutti i volti da vedere, le persone da interrogare, ciascuna delle quali deve fingere una parte quando ha tutto un suo racconto che forse è ancora più forte e tremendo di quello che racconta il regista. Egli va avanti nella sua opera come un fissato e alle sue spalle lascia non scoperta una umanità ancora più vasta e dolorante” (Soggetto C: 27). E più avanti: “proprio lui che aveva finto la parte così disperata da giungere quasi al suicidio, ora è nella reale condizione di quel personaggio che era stato inventato” (ib.: 28); “Il mondo cinematografico continua la sua attività dove si mescola il bene e il male, Maggiorani passa per via Veneto e qualcuno lo indica. S’incontra con De Sica. Parlano tra loro. De Sica sente che si compiono tanti gesti nella vita, come quello di scegliere un operaio per tre mesi e che tutti i gesti – scoprono a un tratto – hanno un peso un significato e una conseguenza e che noi stessi non sappiamo valutare perché li compiamo. Forse è soltanto un moto egoistico che ci spinge a compiere delle azioni che ci sembrano buone. Tutti ci lodano, ma la realtà è che ciò che ci ha guidati di più è il desiderio di queste lodi più che la bontà per sé.” (ib.: 28). La critica inserita nel soggetto si apre ad aspetti più filosofici e di teoria del cinema: “Raccontando la storia di Maggiorani si devono vedere come delle illuminazioni […], la possibilità di infinite altre storie e la realtà moltiplicantesi e ricrescente dietro a noi e avanti a noi […] Questo film deve essere un documentario della vita cinematografica italiana che anch’essa rispecchia gli errori del mondo che continua a sdoppiarsi in arte e vita. Forse cominciare [ad] averne coscienza è un piccolo barlume nella foresta” (ib.: 29).
Pubblichiamo nel volume il soggetto B (“Tu Maggiorani”) e online il soggetto A e il più breve soggetto C.
Il soggetto Tu, Maggiorani è del 1950, ma una prima versione, intitolata Il grande inganno, risale al maggio 1948. È sempre con questo secondo titolo che lo troviamo pubblicato l’8 gennaio 1959 su L’Unità a pag. 3, preceduto dalle seguenti note introduttive: «Il grande inganno è stato concepito il 23 maggio 1948. Con esso, Zavattini intende sottolineare ancora una volta la necessità di un “cinema senza favole”, di un cinema cioè che faccia giustizia delle innumerevoli menzogne che certi film ci propinano quotidianamente». Anche in un articolo uscito su La settimana Incom del 31 dicembre 1949 (“Il cinema ha rovinato Maggiorani”, 53, 1949: 26-27), Alberto Tasca intervista Maggiorani che lavora come muratore ma sta per rimanere ancora una volta disoccupato, nei giorni in cui sul New York Times parlano in modo entusiasta della sua recitazione in Ladri di biciclette. Paladini spiega che negli anni 1949-50 inizia una “crisi del neo-realismo” per uscire dalla quale “bisognerebbe rifarsi a una più minuta, più stretta e pungente introspezione dell’uomo […] adottando di conseguenza un linguaggio nuovo, un modo di esprimersi lontano per quanto possibile da quello d’un neo-realismo scaduto a formula e facile maniera” (1952: 223): è questo che tenta consapevolmente di fare Zavattini. “Maggiorani è il primo tentativo della biografia di un uomo autentico (cioè di Lamberto Maggiorani, il protagonista di Ladri di biciclette), col racconto di un anno vero della sua vita, dal giorno in cui era stato scelto da De Sica come attore a quello in cui, stretto dalla miseria, aveva addirittura pensato di uccidersi” (id.: 224). Si chiede Mazzoni: «Cosa ne è stato di Lamberto Maggiorani dopo Ladri di biciclette? Cosa ha portato nella sua vita l’essere, per tre ore di realtà cinematografica, un disoccupato ladro alla disperata ricerca della sua bicicletta rubata? Quali sono stati i turbamenti psicologici e soprattutto pratici che ha lasciato su di lui l’effimero miracolo del cinema?» (Mazzoni 1979: 15). Riportiamo un brano di Caldiron in cui le parole di Zavattini esplicitano intenti e riflessioni alla base del soggetto: “Nella lettera del 9 marzo 1950 a Géza von Radványi – il regista di origine ungherese che avrebbe dovuto dirigere il film, rimasto poi irrealizzato – Za insiste sulle motivazioni del progetto: <Sono certo che non si può fare la storia di Maggiorani sotto il profilo di colui che vorrebbe fare del cinema quando non è capace di farlo, dal che nascerebbero tutti i suoi guai. Questo non si può sia perché non è vero storicamente, diciamo così, sia perché sarà proprio il pubblico a convincersi del contrario in quanto che per la seconda volta Maggiorani dovrà fare un’altra convincente interpretazione. Insomma, il film non è un messaggio a Maggiorani, i guai del quale furono dovuti alla disoccupazione vera e propria e non al cinema. Io non cercherei significati più complessi e, ripeto, non ci metterei niente di pirandelliano. I fatti hanno per conto loro – questi fatti di Maggiorani – una forza di commozione naturale. Bisogna però che noi raccontiamo la storia come se il pubblico non avesse mai visto Ladri di biciclette, sia perché è interessante rivivere un film attraverso certi retroscena […] Siamo d’accordo che è doveroso convincerlo che il cinema consente, sì dei guadagni notevoli, ma molto aleatori, soprattutto aleatori per lui che attore non è. Ma è altrettanto vero che il cinema dà denaro anche a uomini che non sono attori, che non sono artisti, e perché Maggiorani non dovrebbe averne approfittato (come ne approfitterà nel film n. 2) quando la miseria bussava alla sua porta? Abbiamo il dovere di aprirgli gli occhi sulla verità delle sue doti e quindi sulle reali possibilità del suo avvenire, consigliandolo perciò di mettere da parte i soldi, di considerare l’avventura più provvisoria questa del cinema. Ma non andare più in là, non farei il film per dare una lezione a questo povero uomo che, comunque lo mettiate, era un bravo operaio e un giorno fu messo sul lastrico dai suoi padroni. Per tornare al nostro film, dunque, io credo che sia abbastanza nella realtà per giustificare il film Maggiorani n. 2. Esso ci dimostra ancora una volta, come ce l’ha dimostrato Ladri di biciclette, che la solidarietà umana si muove solo nelle grandi occasioni. Gli uomini poveri si muovono in mezzo a una società fatta male, dove il pesce grosso mangia il pesce piccolo. Questa società è solidale dunque nelle grandi occasioni […], ma arriva sempre un minuto dopo. Piange nei cinematografi per gli eroi fittizi e appena uscita dimentica quelli veri. Io spero che voi siate del mio parere sulla sostanza del film. Se non lo siete, io non me la sento di camuffare questa realtà” (Caldiron 2006: 145-146; la lettera completa è conservata presso l’Archivio Cesare Zavattini di Reggio Emilia, Cartelle Bianche, n. 41). Spiega Parigi (2006: 336): “a partire dai primissimi anni ‘50 la tesi del ‘personaggio reale’ contrapposto al ‘personaggio fittizio’ si sviluppa in una direzione sempre più radicale: il non attore è chiamato a interpretare unicamente se stesso, in quanto protagonista del fatto reale riprodotto nel film”: è quel che accade nel progetto su Caterina Rigoglioso, che diventerà l’episodio Storia di Caterina diretto da Maselli nel film collettivo Amori in città (del 1953). “Gli stessi intendimenti sono alla base del progetto non realizzato Tu, Maggiorani […], in cui Zavattini ricostruisce il calvario dell’interprete di Ladri di biciclette, analogo a quello di tanti altri attori presi dalla strada: vittime dei miti antidivistici creati involontariamente dal neorealismo […] Zavattini pone al centro dell’analisi, qui come nel soggetto Bellissima, la frattura tra cinema e vita che il neorealismo ha tentato di colmare, ma che inevitabilmente si ripropone subito dopo l’ultima inquadratura di ogni film. […] può essere superata soltanto se cambia radicalmente il concetto stesso di cinema: se lo si intende come forma di intervento diretto sul campo, condotto attraverso i modi dell’inchiesta, del diario, dell’autobiografia” (Parigi 2006: 337-338).
Il carteggio con De Sica riporta le varie difficoltà incontrate mano a mano nella realizzazione. Scrive Za al regista il 12 giugno 1949: “Parto con una grossa spina nel cuore: che non faremo neanche il film su Maggiorani, il bambino invecchia, il bello era usarlo uguale come in Ladri di biciclette. Tu dirai giustamente che io voglio fare parecchie cose. Questa era un’idea ricca di possibilità come poche, aveva in testa un taglio di racconto documentario che avrebbe fatto sembrare vecchi anche i film di Rossellini” (ACZ, D499/179). E ancora, sempre a De Sica il 9 marzo 1950: “Caro De Sica, questa è la seconda versione del soggetto. Credo che dopo un altro colloquio con Radvani e i produttori i quali mi riferiranno le tue obiezioni potrò stendere la terza e definitiva versione. A me pare che il soggetto o meglio i casi veri e propri di Maggiorani non siano privi di sicure emozioni” (ACZ, D499/184).
Al 19 aprile 1950 le cose sembrano già irrevocabilmente mutate: “A Radvani ho consegnato il soggetto. Mi pare che qualche cosa di nuovo ci sia perché non ho più saputo niente. Maggiorani mi ha detto in confidenza che erano preoccupati per una certa intonazione politica nel soggetto. A me pare una storia molto umana e interessante, non tanto per mia virtù quanto per la cosa in sé. A ogni modo, io non ho nessuna intenzione di edulcorare i fatti. Sono già contaminati anche troppe delle cosiddette necessità cinematografiche. La verità è che i produttori vedono un certo tipo di film, Radvani ne vede un altro e quello che vedo io risulta dalle pagine che ho consegnato anche se scritte per accenni. Credo molto in questo film, da tutti i punti di vista, ma si capisce che barba di testo che diventi buon cinema senza la congrua regia. A Radvani ho detto anche che se vogliono fare il film totalmente al di fuori della realtà e con degli intenti puramente di cassetta, io non ci sto, e non perché mi manchino le idee. Per esempio ho detto, potreste fare il film almeno per metà basato sulla ricerca di Maggiorani scomparso da casa, ed ecco in questo caso potreste usare Staiola ad libitum durante la ricerca; vi regalo l’idea ma io non ci sto e se credete non fate complimenti, io mi ritiro, mi pagate l’idea (adesso ricordo che questo non gliel’ho detto) e la svolgerete a vostro modo naturalmente senza mia responsabilità” (ACZ, D499/190).