L’industriale del cuoio Bacchi è ricchissimo, e pur essendo un imprenditore senza scrupoli e un adultero, in famiglia lo adorano e tutti lo adulano. Quando viene investito da un furgone, Bacchi scopre di essere finito all’inferno, ma contratta un giorno di vita per correggere le sue malefatte. Tornato sulla terra, ridistribuisce le ricchezze con gli operai, ma in famiglia lo vogliono far internare, e decide di assecondare tutti i desideri materiali di uno che era fallito per colpa sua, senza riuscire a vederlo mai contento. Disilluso, compie un’unica buona azione, che gli varrà il paradiso.
Dati d’archivio. Collocazione Za Sog R 22/3-5 corrisponde a tre cartelle con numerosi soggetti, una sceneggiatura del film e alcune note di lavorazione. Nella cartella 22/3 sono disponibili dodici soggetti tutti dal titolo È più facile che un cammello…, tutti dattiloscritti con note e correzioni manoscritte, rispettivamente: A) 2 pp. (firmato su entrambe le pagine), prima del titolo si legge: «Soggetto cinematografico»; B) 5 pp. (con note e correzioni anche sul retro delle pagine); C) 5 pp., dopo il titolo si legge: «soggetto di Cesare Zavattini»; D) 9 pp., con anche il titolo alternativo: I ricchi non vanno in paradiso; E) 5 pp., con il titolo che appare solo una volta: C’erano una volta due uomini molto ricchi… (con note e correzioni sia in nero che in viola); F) 32 pp.; G) 20 pp., con anche il titolo alternativo: I ricchi non vanno in paradiso; H) 30 pp.; I) 29 pp.; L) 17 pp.; M) 32 pp.; N) 29 pp. (senza note e correzioni). Nella cartella 22/4 è disponibile invece una copia rilegata della sceneggiatura A, dattiloscritta di 272 pagine, È più facile che un cammello…, con le indicazioni: «Soggetto di Cesare Zavattini, Sceneggiatura: Suso D’Amico, Vitaliano Brancati, Diego Fabbri, Henri Jeandon. Regia di Luigi Zampa». Nella terza cartella sono disponibili due note di lavorazione, rispettivamente di 3 e 2 pp., manoscritte a penna, con correzioni e disegni a matita.
Dei dodici soggetti, in sei uno dei protagonisti si chiama Bacchi, in quattro Negrizzi (in A e B invece non è specificato). L’ordine ricostruibile è A, B, E, D, G, L, C, I, M, F, H, N. Il soggetto A è una breve traccia, elaborata poi nel B con l’aggiunta di diversi dettagli riguardanti due industriali sfidati sul punto di morte: solo chi di loro farà una buona azione finirà in paradiso. Nel B sono presenti due finali: nel primo i due falliscono, nel secondo diventano buoni ma finiscono in manicomio. Il soggetto E rielabora la vicenda, con l’inserimento dei nomi Negrizzi e Invernoni. Qui i due industriali si alleano prima di morire e si descrive il viaggio nell’aldilà; il soggetto si conclude con la decisione di rimandare i due industriali sulla terra. Il soggetto D presenta il titolo alternativo I ricchi non vanno in paradiso e inizia con la frase «Il signor Negrizzi è molto ricco», che resta solo nei soggetti G e L. In questa variante si parla della famiglia di Negrizzi e della passione per le donne di Invernoni. I due si fronteggiano sul mercato del cuoio. Dopo la morte entrambi protestano perché assegnati all’inferno, così un angelo li rimanda sulla terra per vedere chi, nel giro di un mese, si meriterà il paradiso. Qui la variante si interrompe dopo il ritorno sulla terra. Il soggetto G è una rielaborazione dei precedenti, ricca di cancellature e inserti poi integrati dattiloscritti nel soggetto L. Nel primo il titolo alternativo o sottotitolo I ricchi non vanno in paradiso è presente ma cancellato a penna e nel secondo non appare più. In queste due varianti è introdotto il personaggio di Santini, il nuovo protetto dei due industriali dopo il ritorno alla vita, al quale la ricchezza farà un brutto effetto. I due assistono impotenti all’ascesa di Santini e al suo rovinare il fidanzamento tra la nipote Bianca e Andrea, un semplice operaio. Nel soggetto L i due industriali tornano nell’aldilà, ma capiscono di aver fallito di nuovo e vanno all’inferno. A partire dal soggetto C (si veda la lista cronologica precedente), che inizia con la frase «Bacchi, un industriale ricchissimo e avidissimo, sui cinquant’anni» (p. 8), il protagonista diventa uno solo: è un industriale affermato dell’industria del cuoio che muore e viene rimandato sulla terra per rimediare al torto fatto a Santini. Il soggetto I è un’espansione del C, e apre con la frase che poi rimarrà in tutta la filiera di questa variante (ipotizziamo che i diversi inizi servano a organizzare il lavoro di riscrittura): «A Milano o a Roma, dove volete, vive l’industriale Bacchi, sui cinquant’anni, ricco anzi ricchissimo» (p. 109), il nome di Bacchi è aggiunto a penna; e la variante presenta molte note manoscritte, soprattutto nel finale. Il soggetto M integra le correzioni manoscritte di I. Il soggetto F è una copia di M con nuove note manoscritte. Il soggetto H nel dattiloscritto integra le correzioni di F, con qualche variazione. Il soggetto N è una copia senza note di H, che integra le poche correzioni del precedente e quindi possiamo considerare come versione più definitiva, da cui muove la sceneggiatura. Il soggetto A porta la firma di Zavattini su entrambe le pagine, mentre diverse versioni non sono contrassegnate. Il soggetto G presenta la sigla «Z» su quasi tutte le pagine. La sceneggiatura A, come poi il film, sviluppa la trama del soggetto N, con la scena della morte improvvisa dell’imprenditore Bacchi, travolto da un furgone nel giorno del suo compleanno. Bacchi contratta altre dodici ore di vita con un angelo che lo ha accolto nell’aldilà, per dimostrare che può ancora rimediare al male fatto e “salvarsi l’anima”. Nel finale, come avviene anche nel film, Bacchi non sfugge alla famiglia che vuole ricoverarlo e il gesto di gentilezza concesso alla nipote di Santini è quello di cedere la casa al ragazzo, Nanni, con cui Santini non la vorrebbe vedere sposata.
Pubblichiamo nel volume il soggetto N, tuttora inedito. Pubblichiamo online i soggetti A e L, ovvero la prima traccia e l’ultima versione con i due industriali protagonisti.
Intorno alla metà degli anni quaranta si hanno già prove dell’esistenza del soggetto È più facile che un cammello… (che diventerà il film di Zampa nel 1950) quando, nel 1946, Zavattini rivela nei suoi diari che un collaboratore, Oreste Biancoli, «aspetta evidentemente la metà del ricavato del soggetto», e tuttavia «è intervenuto in molte sedute a discuterlo», ma lo ha fatto «quando c’era già l’idea madre [e] le successive» (Zavattini 2022a, p. 149). Nel 1947, nei costanti tentativi di convincere qualche produttore, Zavattini scrive due lettere a Bompiani proponendo dei soggetti, tra cui È più facile che un cammello…, che descrive come «tipicamente adatto agli americani […] in due versioni, una con due attori in lotta, l’altra con un attore solo», intuendo un interesse per un soggetto da vendere negli Stati Uniti (Zavattini 2005b, p. 797). Nel 1948 il soggetto è discusso con Fabbri ed Emmer, per sottoporlo (con altri) a René Clair (Zavattini 2022a, p. 246), mentre in ottobre del 1949 viene coinvolto per la CINES Carlo Civallero; il soggetto viene acquistato e pochi mesi dopo si ufficializza Luigi Zampa come regista. In relazione a quest’ultima notizia Zavattini confessa nei suoi Diari la speranza di poter vedere e monitorare il lavoro sulla sceneggiatura (p. 375). Il film realizzato sposa la versione del soggetto con un solo protagonista e per il ruolo principale viene scelto Jean Gabin.
La scrittura della sceneggiatura viene affidata a Suso Cecchi D’Amico, Vitaliano Brancati, Diego Fabbri, Henri Jeandon e Giorgio Moser (non accreditato). Zavattini non vede nulla di ufficiale fino a poco prima dell’inizio delle riprese. Il 16 aprile espone alcune idee a Zampa il quale, scoprendo che nessuno aveva fatto avere a Zavattini la sceneggiatura, chiede alla produzione di consegnargliela il prima possibile (Zavattini 2022a, p. 381). Una ricostruzione più approfondita della vicenda vuole però che Zavattini abbia un colloquio con Suso Cecchi D’Amico durante una fase embrionale di stesura, salvo poi non essere più coinvolto. Ciò accade non solo per volere della produzione ma anche, come ricorda Cecchi D’Amico, per «un altro impegno, per cui con un “a buon rendere” il lavoro lo facemmo quasi esclusivamente io e Brancati» (Cecchi D’Amico 1996, p. 75). Sembrano però tutti d’accordo nel ritenere sia il soggetto sia la sceneggiatura mediocri, tanto che quando il film verrà considerato per la Mostra del cinema di Venezia nessuno sarà d’accordo (Cecchi D’Amico 1996, p. 75). Durante settembre del 1950 Cecchi D’Amico, Brancati e Zavattini sono a Zurigo per motivi di lavoro. La sceneggiatrice racconta che un giorno Zavattini scompare lasciando un biglietto: «Devo fare una scappata per cose importantissime, ci vediamo». Dai giornali lei e Brancati vengono a sapere che il film è stato proiettato a Venezia, la critica ne parla male, e un articolo sul «Corriere della Sera» racconta come «lo stupore per la firma di Zavattini in quel contesto era stato dissipato dalla letterina chiarificatrice che tutti i critici avevano ricevuto da Zavattini stesso, venuto a Venezia a puntualizzare con la massima discrezione che lui non c’entrava niente» (Cecchi D’Amico 1996, p. 76). Nei suoi ricordi Cecchi D’Amico conclude definendo questa azione di Zavattini «una cosa indecente, che a me fece anche ridere, mentre Brancati, da buon siciliano, si offese orrendamente» (p. 76). Dalle carte d’archivio impariamo che Zavattini aveva in effetti scritto a tre critici – Orecchio, Lanocita e Gromo −, ma solo per invitarli alla lettura del soggetto per approfondimento (e Gromo non riceve neppure la missiva).
Dopo la proiezione a Venezia la critica si rivela piuttosto rigida e, forse non casualmente, si incentra proprio sui difetti di sceneggiatura. Orecchio definisce Zavattini un «mutilatissimo soggettista» che «aveva trovato la strada giusta, ma lo hanno messo da parte» (Orecchio 1950, n.n.), mentre Lanocita precisa: «il soggetto di Zavattini, da Zampa elaborato, era, su questo e sul resto, di più rigorosa logica» (Lanocita 1950, n.n.). Anche Renzo Renzi lo ritiene un film «tratto da un soggetto di Zavattini, la cui trovata centrale è rovinata da una sceneggiatura incoerente e confusionaria» (Renzi 1950, n.n.), e Rondi intitola il suo articolo: «Zavattini frainteso» (Rondi 1950b, n.n.).
Tra i collaboratori – in particolare Brancati, ma anche Zampa e Cecchi D’Amico – emerge la sensazione che l’insuccesso del film sia attribuibile all’atteggiamento di Zavattini, e da quel momento inizia una serie di scambi epistolari conflittuali. La prima lettera Zavattini la scrive a Zampa, per spiegare: «in questo momento sembrerebbe che i critici, magari tutti, abbiano ricevuto copia del mio soggetto misteriosamente, senza una riga di accompagnamento. No, niente di misterioso […] i critici a cui ho mandato il soggetto sono stati tre: Gromo, Lanocita e Orecchio» (Za Corr. Z 25/6). In un’altra lettera, sempre a Zampa, Zavattini continua: «il mio parere sul tuo film te lo dissi subito […] secondo me non ci si divertiva mai […] l’errore era stato teatralizzare il film […] quando lo vidi a Cinecittà […] dissi subito che era un’altra cosa del mio soggetto: io avevo pensato una cosa tutta da ridere, una farsa morale, alla quale Gabin era particolarmente inadatto» (Za Corr. Z 25/7). Oltre ai problemi del film, Zavattini si sofferma sull’organizzazione del lavoro di sceneggiatura e scrive a Cecchi D’Amico: «Lei sa meglio di me che da quell’unico breve colloquio sull’impianto della sceneggiatura passò tanto e tanto tempo prima che voi finiste […] da quel giorno non riuscii più a sapere niente»; poi continua chiamando in causa il produttore: «Civallero mi disse che lui era sicuro che io avevo dei continui contatti con gli sceneggiatori perché lo assicurava […]. Cadde dalle nuvole quando gli dissi che questi rapporti non ero mai riuscito ad averli» (Za Corr. C 1633/8). La discussione prosegue con Brancati sulle pagine dell’«Europeo» per qualche settimana – e questo episodio segnerà una cesura nella collaborazione tra Zavattini e Suso Cecchi D’Amico, anche se negli stessi anni i due lavorano insieme per Miracolo a Milano (De Sica, 1951). In un’epoca in cui parte del cinema italiano mira a competere rifacendosi a modelli statunitensi, il film di Zampa è ricordato come un esempio che guarda anche alla tradizione nazionale prebellica, un «omaggio ai mai del tutto archiviati “telefoni bianchi”» (Fink 2003b, p. 226). Insieme ai precedenti e successivi film girati da Zampa, questa pellicola tratta dal soggetto di Zavattini viene inoltre ricordata come parte di una serie di «apologhi morali sul trasformismo, sul malcostume dilagante a tutti i livelli del sociale […] una radiografia spietata, o meglio un contributo alla costruzione del ritratto dell’italiano, molto utile per capire il senso di tutto lo sviluppo storico e sociale del dopoguerra in una direzione piuttosto che in un’altra» (Brunetta 2009, p. 84).
Confrontando il soggetto pubblicato con il film uscito nelle sale possiamo notare alcune differenze sostanziali. La prima riguarda l’ambientazione: il soggetto esordisce con la frase «A Milano o a Roma o a Napoli, dove volete…» (Soggetto N, p. 187) a ribadire l’impostazione da favola morale universale, mentre il film, per motivi pragmatici, è ambientato a Roma. La presentazione esaustiva del protagonista fatta nel soggetto diventa nel film progressiva, fino a svelare tutto nel momento del giudizio nell’aldilà. Proprio in questa scena il soggetto prevede che Bacchi ascolti la sua vita attraverso un nastro in cui sono registrate le frasi incriminate, oppure, suggerisce Zavattini per gli sceneggiatori, attraverso «poche immagini su un piccolo schermo come in un apparecchio televisivo» (Soggetto N, p. 195). Nella sceneggiatura diventano delle fotografie, mentre nel film si fa riferimento sempre a immagini in movimento, ma senza un preciso dispositivo di riproduzione, dato che esse si formano nell’aria, senza cornice, fantasmagoricamente. L’ultima variante sostanziale è riferibile ai personaggi del film: l’amante presente nel soggetto è sostanzialmente assente nel film (pur non scomparendo il comportamento fedifrago di Bacchi), e l’elevato numero di figli nel soggetto diventa nel film una sola figlia, la cui presenza però è cruciale per indirizzare le scelte morali del protagonista. In particolare la scelta finale che, come già osservato per la sceneggiatura, cambia a favore della concessione della casa ai due giovani amanti (e non a Santini).
AS