Giulio e Luisa Serra formano una coppia felice ed invidiata. Fanno la conoscenza di due nuovi inquilini del palazzo in cui abitano, Sabba e De Angelis. Sabba rende Giulio dipendente dalle corse di cavalli e tenta Luisa presentandole il ricco Conte Sansonetti. De Angelis aiuta Giulio a puntare su un cavallo poco noto, mentre Luisa respinge il Conte. La vittoria del cavallo scelto risolve la rovina finanziaria. I due sposi si riconciliano, con l’approvazione di De Angelis e la rabbia di Sabba.
Dati d’archivio. Collocazione: Za Sog R 10/1 contiene un soggetto (che denominiamo A) di 3 pp., dattiloscritto con firma autografa su ogni pagina, datato luglio 1945 e intitolato L’angelo e il diavolo, Soggetto cinematografico di C. Zavattini. È presente una sceneggiatura di 136 pp., L’angelo e il diavolo, dattiloscritta con numerose correzioni manoscritte. Con buona probabilità il soggetto è l’evoluzione di una precedente idea non realizzata conservata in ACZ con collocazione Za Sog NR 11/1 in due varianti di soggetto: A (NR) 2 pp. dattiloscritte, dal titolo Il diavolo e la signora Pons; B (NR) 5 pp. dattiloscritte, dal titolo Il diavolo e la signora Pons «da un’idea di Cesare Zavattini». Nella stessa cartella, vi sono anche sei trattamenti, tutti dal titolo Il diavolo e la signora Pons: A) 22 pp.; B) 22 pp.; C) 22 pp.; D) 23 pp.; E) 20 pp.; F) 21 pp., tutti dattiloscritti con molte note e correzioni manoscritte.
I due soggetti non realizzati de Il diavolo e la signora Pons sono due varianti dello stesso racconto: nel soggetto B (NR) – più approfondito, attualizzato e ripulito dell’apporto favolistico rispetto al soggetto A (NR) – si specifica che «Giovanni Pons, quarantenne, è architetto, Marina Pons venticinquenne, si potrebbe definire casalinga anche se sappiamo che dopo aver frequentato il liceo artistico sarebbe stata sua intenzione dedicarsi alla pittura. Ma con il matrimonio, senza rimpianti, Marina abbandonò queste intenzioni artistiche» (p. 3). Nella prima stesura dei trattamenti Zavattini immagina il coinvolgimento nella storia delle due figure spirituali (letteralmente un angelo e un diavolo), mentre nella seconda variante le due istanze sono incarnate da due coinquilini del palazzo, il perfido signor Mauri e il dolce signor Anselmi. Nel passaggio al soggetto definitivo L’angelo e il diavolo, che qui pubblichiamo, rimane la trasformazione meno favolistica nei due coinquilini Sabba e De Angelis di quelli che, in termini narrativi, definiremmo l’aiutante e l’opponente dei protagonisti.
Pubblichiamo nel volume il soggetto unico del film, mentre online pubblichiamo un estratto della sceneggiatura e il soggetto A (non realizzato) Il diavolo e la signora Pons.
In una lettera del 30 luglio 1945 diretta al regista Mario Camerini, Zavattini riprende una conversazione telefonica avvenuta tra i due la sera prima e ricorda: «Mi hai detto che avendo ricevuto dal produttore la commissione lapidaria di scrivere “un soggetto di carattere brillante in cui entrassero le corse al trotto con i due ippodromi di Roma e di Milano” io abbia trovato una trama divertente, insolita e poetica, oltre che valida dal punto di vista cinematografico nel senso migliore» (C 1309/7). L’angelo e il diavolo (Camerini, 1946) nasce quindi da una «commissione lapidaria» del produttore Angelo Giavilli, di Ambrosiana Film. Zavattini in effetti attinge a piene mani a un suo soggetto precedente, Il diavolo e la signora Pons: nella stessa lettera a Camerini ne acclude le ultime quattro pagine e dichiara: «sapevo che tu saresti stato regista il giorno in cui me lo commissionarono e nel quale misi in moto la mia immaginazione» (C 1309/7). Zavattini lascia a Camerini piena libertà nella messa in scena e accetta il suggerimento di cambiare il titolo in L’angelo e il diavolo, e nel luglio del 1945 viene steso il primo soggetto del film. Malgrado la disponibilità espressa nel carteggio con il regista, il contributo di Zavattini si ferma a ciò, mentre la stesura della sceneggiatura viene affidata a Vittorio Nino Novarese e Mario Monicelli. Nell’agosto del 1945 Ambrosiana Film, in collaborazione con il settimanale di cinema «Star», indice un concorso per scegliere fra le lettrici la protagonista del nuovo film di Camerini. Per interpretare Luisa Serra viene scelta Carla Del Poggio, da poco sposa del regista Lattuada e già protagonista di Maddalena… zero in condotta (De Sica, 1940).
L’anno successivo, nel 1946, L’angelo e il diavolo esce nelle sale, ma suscita tiepidi entusiasmi: viene ad esempio criticata la regia di Camerini che ha «soffocato la piena espressione» e «di molto abbassato l’originario valore» del soggetto di Zavattini, «confezionando un prodotto che, se è encomiabile per la pulizia stilistica, non si alza di certo al disopra di un onesto livello medio». Una critica più aspra e più puntuale arriva molti anni più tardi da Lorenzo Pellizzari, che sostiene: «il risultato sa di pochade o almeno di commediola con risvolti metafisici, ma il soggetto originale suona di ben altro tenore»; inoltre, continua Pellizzari, «l’angelo e il diavolo […] non dispiegano poteri ultraterreni, bensì si comportano semplicemente come due nuovi inquilini […] di un palazzo borghese, un po’ troppo invadenti nei confronti di una coppia di giovani sposi. Tra chi si diverte a insidiare l’unione – facendo intervenire un affascinante giovanotto per lei e il demone delle scommesse ippiche per lui – e chi intende preservarla, non è in gioco, come vorrebbe il riferimento classico, la contesa per il possesso di due anime, bensì una schermaglia calata con naturalezza nelle convenzioni esistenziali di una Roma più da anni ’30 che da dopoguerra. Ma sta proprio in questo ritorno al passato, intriso di umori surreali e di trovatine oniriche, la simpatia che il soggetto sprigiona: quasi un discorso sulle piccole felicità e sulle piccole contraddizioni della vita quotidiana, che ancora una volta la fortuna – un cavallo vincente a sorpresa – o magari la coscienza, permette di riconquistare o di superare» (Pellizzari 1997, pp. 162-163). Anche Zavattini, poco dopo l’uscita del film, si lamenta del risultato, in una lettera del 26 agosto 1946 indirizzata a Cesare Civita, direttore editoriale e collaboratore di Arnoldo Mondadori: «Recentemente ho fatto un soggetto per Camerini: L’angelo e il diavolo: come per Darò un milione, anche qui Camerini di un lavoro molto dinamico e molto ardito ha fatto una commedia piccolo borghese» (Zavattini 2005b, pp. 141). E a Valentino Bompiani confida: «un bel soggettino come L’angelo e il diavolo, Camerini è riuscito a ridurlo in cattive condizioni» (Zavattini 2005b, pp. 132-133).
Tra le motivazioni dietro all’insoddisfazione (non solo di Zavattini) del «primo film completamente postbellico di Camerini» (Germani 1980, p. 105) possiamo trovare la travagliata vicenda produttiva raccontata da Sergio Grmek Germani come un’operazione «arrangiata […] la cui organizzazione è affidata a uno dei fratelli Branchini, che farà carriera come manager di boxe, ma commercia al momento col riso al mercato nero […]. Quando gli sequestrano alcuni carichi di riso la produzione si blocca. Per il finale era previsto il Gran Premio del trotto a Roma: per cavalli e fantini erano già stati pagati i contratti alle scuderie, ma non c’erano più soldi per la folla. Camerini, con una provocazione al neorealismo, veste adeguatamente tutti i membri della troupe e li riprende in brevi primi piani, che inserisce tra i totali ripresi dal vero all’ippodromo» (pp. 105-106).
Esclusi alcuni resoconti del regista e l’evidente apporto zavattiniano, L’angelo e il diavolo è tutt’ora «uno dei tanti film italiani di cui non è rimasta traccia» (Germani 2003, p. 198). Tuttavia, Brunetta descrive un Camerini che «riscopre il piacere di lavorare sul set» prima di integrare il suo mondo in quello della cultura neorealista (Brunetta 2009, p. 75), mentre per altri critici resta evidente lo «stinto zavattinismo» nella filmografia di Camerini (Toffetti 2003, p. 282). Rispetto al lavoro di scrittura per il cinema di Zavattini, L’angelo e il diavolo si posiziona in una delle fasi più prolifiche, tra il 1945 e il 1948: sono gli anni di Sciuscià (De Sica, 1946) e Ladri di biciclette (De Sica, 1948), ma anche di molteplici collaborazioni grazie alle quali la filmografia di Zavattini «si intreccia con la rete tipica di letterati, soliti ignoti, drammaturghi, gente di ogni colore politico, sceneggiatori esordienti (come Suso Cecchi [D’Amico]) e di antico mestiere (come De Benedetti), che contraddistingue quel momento del fare cinema» (Muscio 2003a, p. 248). Zavattini, in questi anni, si dedica a molti progetti, come viene ricordato da Muscio, «senza lesinare energie, cadendo in comportamenti inattesi e contraddittori, oscillando tra il proprio millantato egocentrismo e la generosità intellettuale » (p. 248). La prima variante del soggetto sopra ricordata, Il diavolo e la signora Pons, tornerà come progetto nel 1964, quando verrà ripresa da Zavattini, Maurizio Costanzo e il musicista Walter Bochmann dapprima per un film musicale (con un coinvolgimento iniziale di De Sica), poi per un’opera teatrale, ma il tentativo non andrà in porto.
LC/AS