Napoli. Agostino Miciacio è un portinaio e ciabattino, un uomo devoto ma ficcanaso. Tra sua figlia Serafina e lo studente Giorgio nasce un amore segreto, messo in crisi da Orazio che Agostino avrebbe scelto. Appena laureato Giorgio scappa con Serafina. Quando Agostino scopre che Giorgio è avvocato e di una ricca famiglia, lo perdona e lo accetta come genero. Orazio giura vendetta. Le famiglie dei due innamorati si incontrano a casa dei ricchi nonni di Giorgio, ma si presenta Orazio armato di coltello. Agostino riesce a farlo fuggire e le prove del matrimonio possono iniziare.
Dati d’archivio. Collocazione: Za Sog R 48/1-6 e Za Sog R 49/1 contengono un soggetto, due scalette, un trattamento e quattro sceneggiature. Nella prima cartella (Za Sog R 48/1) è presente il soggetto unico A) 11 pp., intitolato San Giovanni decollato, dattiloscritto. Nella seconda cartella (Za Sog R 48/2) vi sono due varianti di scaletta: A) 11 pp., dattiloscritta con numerose note e correzioni manoscritte a penna e matita blu; B) 11 pp., dattiloscritta anch’essa con numerose correzioni manoscritte. La terza cartella (Za Sog R 48/3) contiene invece un trattamento unico: 26 pp., manoscritto e fitto di appunti ai lati delle pagine. Nelle successive quattro cartelle (Za Sog R 48/4-6 e Za Sog R 49/1/1) sono disponibili le seguenti sceneggiature: A) 201 pp., dattiloscritto con note manoscritte; B) 87 pp., dattiloscritto con molte note manoscritte, appunti e schizzi; C) 72 pp., manoscritto con note e schizzi manoscritti; D) 91 pp., intitolate San Giovanni decollato, manoscritto con note e correzioni, con le ultime pagine dattiloscritte.
Il soggetto è unico, ma incompleto. Esordisce con una descrizione di Agostino e della situazione in cui si trova, del rapporto con gli inquilini e della sua passione per il canto (p. 1). Il film, secondo le indicazioni del soggetto, dovrebbe iniziare in pretura, dove Agostino viene condannato a un mese di detenzione (p. 2). Nella copia sono presenti segni a penna a lato per sottolineare alcuni passaggi come, per esempio, una gag di Agostino con un povero e la fuga della figlia col fidanzato segreto mentre Agostino è tornato a casa un po’ ubriaco. Alcuni altri momenti sono invece integrati di suggerimenti registici come per la sequenza del promesso sposo rimasto solo e incalzato dalle donne dello stabile che «deve svolgersi a ritmo di balletto» (p. 6).
Le scalette A e B corrispondono a due versioni dattiloscritte identiche alle quali sono state applicate note e correzioni differenti. In queste vengono aggiunte alcune scene come quella dal barbiere, dal fotografo, dal dottore, la presenza di una famiglia di acrobati, di un pittore e altre gag. Al contrario di quanto sembra, le scalette dimostrano come il soggetto A sia quasi completo, poiché la storia si conclude appena dopo l’interruzione del soggetto. Nello specifico la fine vede una litigata tra Agostino e il pretendente della figlia, Orazio, con piatti che volano dopo la cerimonia di nozze, e la moglie di Agostino, Concetta, che ricevendo un piatto in testa perde la voce (cosa ritenuta miracolosa da Agostino, sempre vessato da lei).
Il trattamento A introduce la suddivisione in due tempi che verrà seguita nelle fasi successive dello sviluppo. Il manoscritto riassume in dettaglio le situazioni, ma alcune scene sono solo indicate per punti; il secondo tempo si apre con l’arrivo di notte di tutta la famiglia Miciacio alla stazione del paesino del futuro sposo. Il finale viene descritto con la sfuriata del pretendente dopo la cerimonia, in cui avviene il tentativo di accoltellamento di Agostino (come in scaletta). C’è anche una sezione del trattamento in forma di scaletta riassuntiva del secondo tempo, e due pagine finali con scene del primo tempo riscritte e ampliate (il processo; il furto dell’olio e l’arringa di Agostino alle donne del condominio). Tra le quattro versioni di sceneggiatura, la C sembra la prima stesura, totalmente manoscritta e molto vicina al trattamento, col primo tempo dettagliato coi dialoghi, e poi scalette; la sceneggiatura D è una variante con un inizio diverso, sempre in pretura, dove Agostino si presenta: «Io non sono un ciabattino. Io sono un tecnico della scarpa, un professore della materia. Come portinaio, poi, io non sono il solito portinaio»; la D è per gran parte manoscritta, con inserti, e scritta a macchina nella seconda parte. La sceneggiatura B è una revisione di entrambe, e trascrive l’inizio della C con molte cancellature e aggiunte manoscritte. Vi troviamo il giudice che all’inizio dichiara l’imputato assolto (scritta a mano); il finale (parzialmente monco) con il pretendente che sfida Agostino e poi si nasconde dietro una tenda all’arrivo degli sposi; il matrimonio, con la banda che intona una marcetta in onore di Agostino. Nel retro di una pagina della sceneggiatura B si legge un appunto manoscritto in cui Zavattini spiega nel dettaglio una gag: «Agostino cessa di tagliare la pera con il coltello, come gli altri. La pera gli scivola sempre sotto il coltello. Si accorge che lo guardano tutti. Ha un momento di indecisione. Guarda il soffitto, assume un’aria di mistero. Grida: Là… e indica in alto. Tutti guardano insieme di scatto in alto. Agostino ne approfitta per ingoiare in un boccone la pera. Quando tutti voltano la testa verso di lui, lo trovano sorridente, ma forzato perché la pera gli è rimasta per un momento a metà strada. Serafina: Ma babbo, che cosa avete visto? Riacquistando il fiato. Agostino: Quisquilie, bazzecole…» (p. 51). La sceneggiatura A è la quarta variante, riporta le correzioni a mano della B e aggiunge qualche indicazione di regia, con un finale monco e revisioni manoscritte. Si riprendono tutte le scene della scaletta A con dialoghi e qualche taglio, e si aggiunge una scena con i due innamorati che guardano le stelle cadenti; vi è anche qualche indicazione di regia per le inquadrature, ma il finale resta monco, perché una scena di fuga di notte dei due innamorati arrivati nel paese di Giorgio viene tagliata con una segnatura a mano.
Pubblichiamo nel volume il soggetto unico e online la scaletta B e stralci del trattamento A.
All’origine del film diretto da Amleto Palermi, San Giovanni decollato (Palermi 1940), oltre alla commedia omonima di Nino Martoglio, vi è un film muto del 1917, dal medesimo titolo, diretto da Telemaco Ruggeri e interpretato dall’attore catanese Angelo Musco, all’epoca applauditissimo, oggi considerato perduto (Anile 1997, p. 96). È da questo anello di congiunzione con la commedia che inizia a lavorare la produzione del film, sotto la responsabilità di Liborio Capitani, che affida, in prima battuta, il ruolo di Agostino Miciacio proprio ad Angelo Musco. Ma la sua morte, avvenuta nel 1937, costringe Capitani a trovare un sostituto: nel 1940 la parte viene affidata a Totò. San Giovanni decollato è infatti il coronamento di un agognato progetto di Zavattini: quello di scrivere per Totò. Amico e recensore entusiasta, Zavattini intrattiene da tempo rapporti con l’attore comico, e tenta di portarlo al cinema già nel 1934 per Darò un milione (Camerini, 1935) (Anile 1998, p. 57). Un film del quale Zavattini ricorda: «per avere Totò con me, me lo sono associato, mi sono fatto rilasciare una sua dichiarazione, per avere, anche verso la produzione, una carta in mano» (Zavattini in Caldiron 2001, p. 67). Jandelli riassume così il rapporto fra Totò e Zavattini in quegli anni: «dopo l’ennesimo tentativo fallimentare di avviare con lui una collaborazione, finalmente nel 1940 Zavattini è chiamato a sceneggiare San Giovanni decollato per Totò, il suo entusiasmo lo porta a suggerire al produttore Roberto Capitani di fare in modo che il comico ne divenga il protagonista assoluto ampliando il numero delle gag e chiamandolo a partecipare alla stesura dei dialoghi. Quest’aneddotica resterebbe pura cronaca se non fosse per le implicazioni che indirettamente contiene. Sfiorano appena l’attore, presumibilmente insensibile alle ripetute profferte di Zavattini desideroso di vederlo incarnare i suoi personaggi umoristici. Invece investono l’autore al punto da “dettare” la composizione dell’opera: Zavattini in questi anni scrive per Totò, scrive influenzato dalla follia creativa e dalla tecnica di questo attore, immagina personaggi fortemente condizionati dalle sue caratteristiche interpretative» (Jandelli 1994, p. 149).
Per la regia, il produttore Capitani avrebbe voluto un esordio di Zavattini, ma questi ammetterà anni dopo: «è un coraggio che mi è mancato per tutta la vita»; si pensa allora a Gero Zambuto, poi ad Amleto Palermi il quale, spiega Zavattini, «era un uomo di grande forza, di una grande autorità, faceva il film che voleva lui, e ebbe con me un rapporto simpaticissimo. Fu molto generoso. Io mi trovai bene ma in una situazione di sottocoda» (Zavattini in Savio 1979c, p. 1162). Palermi viene coinvolto anche nella sceneggiatura con Zavattini e Aldo Vergaro. La commedia siciliana viene ambientata a Napoli e si ritaglia il protagonista su Totò mettendone in risalto personalità e punti di forza. Nell’estate del 1940 Zavattini, con Vergano e Palermi, lavora intensamente all’adattamento, come testimoniano varie lettere scambiate con il produttore Capitani. Il 14 luglio Zavattini scrive: «Ci siamo preoccupati di […] non rivoluzionare la commedia che si chiama ed è San Giovanni decollato per non perdere effetti sicuri, già provati, che ne garantiscono il risultato. […E di] offrire a Totò, attraverso lo sviluppo della commedia, la possibilità di farne una cosa propria senza staccarsi dal tema. Insomma, sottomettere Agostino Miciacio a Totò lasciando intatta la ragione del personaggio» (Za Corr. C 1378/1). Zavattini quindi si dedica sia alla commedia sia al suo protagonista, anche contro l’intenzione di partenza di adattare solamente l’opera a Totò, perché non vuole sacrificare troppo il testo di Martoglio, infatti scrive: «non allontanarci dalla tinta generale della commedia. Perché? Perché San Giovanni decollato è San Giovanni decollato»: si tratta quindi per Zavattini di «avvicinare Totò alla commedia e la commedia a Totò» (Za Corr. C 1378/3).
All’uscita in sala del film, le reazioni sono per la maggior parte incentrate sulla performance dell’attore. Si riconosce che, «nella sua terza tappa cinematografica, Totò mostra di avere più esperienza e sicurezza», portando «a termine uno studio e un’elaborazione di cui già si vedono i primi buoni risultati». Rispetto alla commedia di Martoglio, «parte del pubblico deplora una interpretazione tanto diversa», ma contemporaneamente «ne riconosce il merito a Totò. Leggero, e graziosamente favoloso in certe scene», per cui «i segni, esasperati e decaduti, di una vecchia aristocratica razza, sono le sue armi migliori» (Brin 1941).
Nella storia del cinema il film viene inserito in un gruppo di opere di Totò definite «teatro filmato» (Anile 1998, p. 20), e San Giovanni decollato diventa un caposaldo della carriera cinematografica del comico napoletano. Ricordiamo anche Titina De Filippo nei panni della moglie, con il «compito di riportare sulla terra la fantasiosa imprevedibilità di Totò e di tentare la missione impossibile di frenarne i vulcanici e poliedrici impulsi» (Caprara 2001, p. 213). Il film diventa, in una prospettiva storica, un testimone dei fruttosi rapporti fra teatro e cinema che, in quegli anni, fa esordire non solo Totò ma anche De Sica, De Benedetti, De Filippo (Argentieri 2001, p. 216). La dimensione teatrale si coglie anche nelle location circoscritte come lo spazio del cortile del palazzo dove lavora Totò, impregnato dei suoi continui monologhi con il santo (Di Marino 2001, p. 281), e nella ricostruzione della maggior parte degli esterni in studio, «senza preoccuparsi eccessivamente di mimetizzare l’artificio delle scenografie» (Anile 1998, p. 177). Il film è, come dicevamo, l’inizio della collaborazione fra Totò e Zavattini, nel tentativo di quest’ultimo di rinnovare il cinema italiano attraverso «la migrazione delle energie e degli uomini del varietà dal palcoscenico allo schermo» (Parigi 2006, p. 328). Portare al cinema Totò, con il suo «fenomenale istinto: tra l’animalesco e l’infantile», vuol dire anche plasmare l’attore comico perché si abbandoni «completamente a un’invenzione congegnata sul suo carattere più remoto, da lui certamente inesplorato» (Gambetti 1996, p. 102).
Confrontando il film diretto da Palermi con il soggetto che pubblichiamo, ritroviamo a grandi linee la storia del portiere ciabattino che promette in sposa la figlia, lei che scappa con un giovane neoavvocato di buona famiglia, il matrimonio e le scene di litigio finale, compresa la “lotta di piatti” prevista dalle sceneggiature. Nel film assumono tuttavia maggiore importanza alcuni elementi come l’icona di San Giovanni decollato idolatrata da Agostino, nonché la vicenda dell’olio che costantemente scompare, legata anche alla risoluzione del diverbio con Orazio.
LC/AS