Una madre, durante il funerale di suo figlio, dirige l’ordine umano del rituale: il prete, un uomo con i fiori e i bambini. Dopo aver convinto il cocchiere a passare per la strada centrale, versa dei confetti per gli scugnizzi che si accalcano attorno al corteo. Ora la donna può concedersi al dolore.
Dati d’archivio. Collocazione Za Sog R 42/1-3 contiene un soggetto, appunti manoscritti, due trattamenti e una sceneggiatura del film. Nella prima cartella (Za Sog R 42/1) è disponibile, in doppia copia (una originale e una fotocopiata), il soggetto dell’episodio Il funeralino: 9 pp. (originale dattiloscritto). Insieme a questo, due documenti: uno di 5 pp. riportante alcune idee sulla struttura dell’intero film, con appunti e una breve scaletta (originale manoscritto con disegni e correzioni a matita rossa); l’altro di 9 pp. (originale manoscritto con diverse calligrafie) con una versione del soggetto dell’episodio Don Ersilio (nel film Il professore, negli appunti indicato come x episodio). Nella seconda cartella (Za Sog R 42/2) sono disponibili due trattamenti originali dattiloscritti con note e correzioni: A) 112 pp.; B) 67 pp. (con alcune pagine manoscritte). Nella terza cartella (Za Sog R 42/3) è disponibile parte della sceneggiatura originale dattiloscritta, 200 pp., suddivisa per episodi in diverse camicie originali.
Quasi tutti i soggetti degli episodi de L’oro di Napoli (De Sica, 1954) sono attribuibili esclusivamente all’autore dell’omonimo testo originale di partenza Giuseppe Marotta (anche sceneggiatore del film insieme a Zavattini e De Sica), mentre solo la scrittura del soggetto Il funeralino – in quanto unico episodio non tratto da Marotta – è direttamente attribuibile a Cesare Zavattini e presenta dei dialoghi in forma di presceneggiatura, con una serie di descrizioni precise e sequenze di eventi che verranno riprese fedelmente dal film. L’unico punto di partenza risulta essere una frase del romanzo L’oro di Napoli presente nell’episodio La morte a Napoli: «a Napoli muoiono troppi bambini» (Marotta 1987, pp. 151-152), episodio ripreso nel film con il titolo Pizze a credito.
Nello stesso documento, nelle ultime pagine, alcuni appunti di Zavattini espongono un’altra idea per l’episodio, poi esclusa: «un espediente crudele: fare un funeralino finto […] e i napoletani dovevano crederlo vero, e noi dietro, a vedere, a notare, poiché la informazione diretta non è mai vana» (pp. 7-8). I due trattamenti – che fanno riferimento al lavoro di adattamento indicato nel film come «riduzione cinematografica» – corrispondono a una lunga e dettagliata scaletta che prevede in A dieci episodi, mentre in B un totale di nove. Il film realizzato contiene sei episodi, le sceneggiature di quattro di questi sono disponibili nell’archivio ACZ, rispettivamente: Il pizzaiolo (intitolato nel film Pizze a credito), Don Ersilio (nel film diventa: Il professore), Succube (nel film diventa: Il guappo) e Teresa. Nella prima pagina de Il pizzaiolo emergono anche i crediti della sceneggiatura che attribuiscono a Marotta il romanzo di partenza, a Zavattini la traduzione/riduzione per lo schermo e la sceneggiatura a entrambi insieme a De Sica.
Nella versione del soggetto Il funeralino pubblicata da De Santi e De Sica (Zavattini 2005b) (con qualche piccolo errore come l’indicazione del titolo La morte a Napoli che diventa La morte di Napoli), il soggetto è presentato come sceneggiatura, ma in questa sede seguiamo Caldiron (Zavattini 2006), che nella sua versione toglie gli appunti finali e integra i dialoghi nel testo, e lo intendiamo come soggetto.
Pubblichiamo nel volume l’unico soggetto presente in archivio già pubblicato da Orio Caldiron (Zavattini 2006, pp. 167-171), da Gualtiero De Santi e Manuel De Sica (2005, pp. 257-260), e nel numero di gennaio 1955 di «Filmcritica», che pubblica il soggetto dell’episodio all’epoca non presente nel film ed erroneamente attribuito a Giuseppe Marotta. Pubblichiamo online altri due documenti contenuti nella cartella con il soggetto − quello riportante alcune idee sulla struttura dell’intero film, con appunti e una breve scaletta, e quello con una versione del soggetto dell’episodio Don Ersilio – inoltre l’incipit del trattamento B e un articolo pubblicato il 19 dicembre su «Le Ore» con fotografie dei sopralluoghi napoletani di Zavattini, De Sica e Marotta (Patellani 1953).
L’oro di Napoli non nasce solo come adattamento riuscito del romanzo di Giuseppe Marotta pubblicato nel 1947, ma emerge anche come il compimento di un progetto che Zavattini e De Sica discutono in quegli stessi anni (De Santi, De Sica 2005). Nei diari di Zavattini possiamo infatti rilevare come, tra il 1946 e il 1947, tra lui e De Sica appaia l’ambizione di «pensare a un soggetto per Napoli» (Zavattini 2022a, p. 136). Simultaneamente, Zavattini inizia a pensare un progetto che faccia riferimento proprio ai racconti di Marotta, descritto come una «sinfonia napoletana» in una lettera del 1947 a lui indirizzata, in cui sostiene che «a D’Angelo vorrei parlare di […] un film su Napoli fatto di cinque episodi tratti dal tuo libro. Ciascun episodio diretto da un regista diverso» (Zavattini 2005b, p. 147). È all’alba degli anni cinquanta, però, che l’idea di adattare il romanzo di Marotta – alla luce del successo di cui si complimenta anche Zavattini in una lettera del 1950 (ACZ Za Corr. M 892/139) – inizia a diventare possibile. In una prima corrispondenza tra Zavattini e lo scrittore napoletano emergono due contendenti alla regia: Marotta scrive che Comencini ha chiesto «un’opzione sull’Oro di Napoli» e che «De Sica dice di aver avuto una mezza intuizione» (ACZ Za Corr. M 892/89). Dopo che il primo accordo salta, De Sica sarà l’unico regista coinvolto (ACZ Za Corr. M 892/90), in un continuo rimbalzo di idee e suggestioni: fra i tre – come testimoniano vari passaggi dei diari zavattiniani (Zavattini 2022a, pp. 398-399) – quello più restio sembra essere De Sica, che rimanda e posticipa, creando, soprattutto con Marotta, un clima di diffidenza e ostilità.
Prima di iniziare l’opera di trasposizione dal romanzo di Marotta, Zavattini stende una lunga serie di appunti, domandandosi quale possa essere la quantità di racconti adattabili e in che modo trasformarli, accorciarli, e usarli come punto di raccordo: prima di tutto, ribadisce quanto voglia stare sul «libro, solo il libro, ma usato liberamente come materia extra del racconto vero e proprio» (p. 401). Contemporaneamente scrive di voler partecipare attivamente al lavoro e assumersi «la responsabilità n. 1 del testo cinematografico» (p. 421). Dopo alcuni scambi e scontri con De Sica (p. 481) – così come accadrà un anno dopo tra De Sica e Marotta con le rispettive «difficoltà psicologiche» (p. 501) – il 1° settembre 1953 Zavattini scrive nel diario di aver accettato il lavoro con Marotta (p. 500) e tra settembre e novembre avvengono dei suggestivi sopralluoghi a Napoli, testimoniati anche dall’articolo pubblicato il 19 dicembre su «Le Ore», con fotografie dei tre autori nelle strade della città (Patellani 1953). Con Marotta – che come guida in alcuni casi si sente anche in imbarazzo perché «temeva di dispiacere i suoi concittadini» (Zavattini 2002c, pp. 164-167, 171-180) – per giorni i tre alternano la visita alla città e la scrittura della sceneggiatura.
Nella fase di preproduzione i dibattiti tra Marotta, De Sica e Zavattini si soffermano sull’utilizzo o meno di alcuni racconti. In una lettera a De Sica del 4 marzo 1954, Zavattini spiega di voler aggiungere Il giocatore, Il funeralino e Cartoline, ovvero un episodio «composto da 5 o 6 altri brevissimi capitoli» (ACZ Za Corr. D 499/253). Quest’ultimo non si farà, mentre riguardo a Il giocatore Zavattini scrive a De Sica di vederci bene Alberto Sordi, ma a produzione avviata il personaggio verrà interpretato dallo stesso De Sica. Dopo le riprese del film, durante il montaggio, avvenuto tra settembre e ottobre 1954, Zavattini ritiene ottimi i risultati, dice di aver salvato l’episodio di Totò che rischiava di essere tagliato. Il problema resta l’equilibrio tra gli episodi: il film va ridotto e Zavattini consiglia di rinunciare a Il funeralino, «quello più mio» dice, riconoscendo una certa eterogeneità nel racconto. Il film esce in Italia nel dicembre del 1954 senza tale episodio (Caldiron in Zavattini 2006, p. 171), ma De Sica ci tiene a ricordarlo nelle interviste in quanto faceva emergere con forza il motivo fondante del film, quello della morte. La critica più recente propone che una ragione dell’esclusione dell’episodio Il funeralino sia il senso drammatico della morte, «viceversa negli altri casi vita e morte si combinano nella vasta embricatura dei rimandi, a segnalare come cultura e esperienza viva del popolo napoletano si ritrovino l’una contiguamente all’altra» (De Santi 2003, p. 95). All’uscita del film, invece, la «Rivista del cinematografo» sostiene che le motivazioni fossero legate a questioni pratiche e di audience: «avrebbe reso la proiezione troppo lunga e quindi non commerciale, e perché troppo triste» (Ojetti 1955, n.n.). L’opinione critica si divide tra chi celebra un successo «indiscusso e indiscutibile» e chi, come Marotta in una lettera alla «Rivista del cinematografo», lamenta che il film «non riceve che insulti» (Marotta 1955, n.n.). L’accoglienza critica in effetti non è delle migliori: Aristarco sulle pagine di «Cinema Nuovo» riduce il film a «una vacanza, a un diversivo, a un riposo» per De Sica, chiedendosi se «è di questo che ha bisogno la civiltà del cinema italiano» (Aristarco 1955, n.n.); anche Cosulich lo ritiene un film in cui De Sica e Zavattini si erano «adagiati, dando all’opera una patina di rassegnazione» (Cosulich 1955, n.n.). Eppure, quando qualche critico viene a conoscenza dell’episodio scritto da Zavattini, l’opinione inizia a cambiare. Il film, ricordiamo, esce senza quell’episodio nel dicembre del 1954, ma nel gennaio 1955 «Filmcritica» pubblica il soggetto e alcuni critici riescono a vederlo con proiezioni private. Nella primavera del 1955 viene proiettata a Cannes per la prima volta la versione integrale, che successivamente uscirà anche in Italia.
Nel gennaio del 1955 «Filmcritica» pubblica il soggetto integrale de Il funeralino presentandolo come un brano di sceneggiatura «che doveva costituire il secondo episodio del film». Il soggetto però viene pubblicato a firma di Giuseppe Marotta che, successivamente, scrive al direttore per attribuire l’episodio Il funeralino esclusivamente a Cesare Zavattini (ACZ Za Corr. M 892/102). La «Rivista del cinematografo» lo ritiene «un’interpretazione sublime di tutti i sentimenti umani» (Ojetti 1955, n.n.), mentre Cosulich, che aveva criticato il film, alla visione di questo episodio lo valuta «un pezzo di antologia da ricordare» (Cosulich 1955, n.n.). A Cannes, dove L’oro di Napoli viene presentato per la prima volta nella sua versione integrale con Il funeralino, Ugo Casiraghi (1955, n.n.) lo definisce l’episodio «più puro del film».
Uscito nello stesso periodo di film importanti quali Umberto D. (De Sica, 1952) e La ciociara (De Sica, 1960), L’oro di Napoli è riconosciuto da Brunetta come un «felice ritorno al piacere di raccontare» della coppia De Sica-Zavattini (Brunetta 2003, p. 167). Secondo De Santi, la struttura a episodi non contraddice l’eterogeneità e la «visione corale del mondo napoletano» (De Santi 2003, p. 95), inoltre viene realizzato alla vigilia di modificazioni che avrebbero stravolto l’Italia, da ricordare come «il canto del cigno di una vita e una esuberanza al limite della scomparsa» (p. 97). Lo stesso vale per il solo episodio de Il funeralino: «la pagina più alta di L’Oro di Napoli […]. La stessa in cui la rappresentazione della morte insorge dalla viva verità dell’animo napoletano. Ma uguale a come sarebbe potuto essere nel linguaggio più limpido del neorealismo» (p. 100). Ricordiamo che la proposta di Zavattini di quell’«espediente crudele: fare un funeralino finto» è uno dei modi di ricostruzione della realtà che egli sta indagando in quegli anni (Micciché 1992), arrivando a usare come attori i veri protagonisti di un fatto di cronaca, come accade in Caterina, episodio de L’amore in città (si veda la scheda relativa in questo volume).
AS