Il soggetto – ambientato a inizio Ottocento – racconta la vita dell’umile Felicita, da quando, orfana di padre, trova lavoro in una fattoria. Qui s’innamora di Teodoro, che l’abbandona. Disperata, Felicita prende servizio da domestica presso la signora Obin, vedova con due figli, Paolo e Virginia. Passano gli anni: Virginia muore di polmonite, Paolo lascia la casa natale, e Felicita si affeziona al pappagallo Lulù. Felicita muore il giorno del Corpus Domini, con un’ultima visione di Lulù che vola in cielo.
Dati d’archivio. CF 07388 busta 882 (presso l’Archivio di Stato di Roma) contiene un soggetto dattiloscritto: 2 pp., Cuore semplice – soggetto di Cesare Zavattini da Gustave Flaubert, su carta intestata Nashira. Za Sog R 21/4-7 (presso ACZ) contiene quattro cartelle. La cartella 4 contiene una scaletta manoscritta: 6 pp., Scaletta, con note e correzioni. Le cartelle 5, 6 e 7 contengono sei sceneggiature dattiloscritte, con note manoscritte: A) 88 pp., Cuore semplice; B) 171 pp., Gustavo Flaubert: Cuore semplice; B1) (ns. catalogazione), 56 pp., senza titolo; C) 240 pp., Gustavo Flaubert: Cuore semplice; D) 6 pp., [stesso titolo]; E) 6 pp., senza titolo.
Il soggetto si apre con una citazione dalla «Corrispondenza» di Gustave Flaubert, che parla del racconto da cui è tratto il soggetto: «Un cuore semplice è il racconto di una vita oscura, quella di una povera ragazza di campagna, devota […] e tenera come un pane fresco. […] Io voglio impietosire le anime sensibili, essendo io stesso una di queste» (soggetto A, p. 1). La vicenda è ambientata ai primi dell’Ottocento e segue – per un arco di cinquant’anni – la vita di Felicita, «un’umile creatura docile, affettuosa e tenera» (p. 1). La scaletta elenca in modo telegrafico scene e personaggi da sviluppare nel film, ambientando la vicenda in Normandia e Ipotizzando una struttura narrativa a flashback.
La sceneggiatura A ricalca la vicenda del soggetto, recuperando soluzioni dalla scaletta, quale l’incipit ambientato «nell’inverno del 1850, in Normandia, sulla strada che da Pont-l’Évêque conduce a Honfleut» (sceneggiatura A, p. 1), con Felicita – presentata come «una vecchia sui sessant’anni» (p. 2) – che sta andando a far impagliare il proprio pappagallo morto. Si riprende la struttura narrativa a flashback, ovvero i ricordi che si susseguono nella mente di Felicita. Tra i «momenti tristi e umilianti della sua vita» (p. 44) ricordati da Felicita troviamo la separazione dalle due sorelle, quando Felicita, ancora in tenera età, ci appare già «vestita come sarà sempre fino al giorno della sua morte, la cuffia bianca, la sottana rossa, […] e un grembiulino a petto come le infermiere» (p. 46). La sceneggiatura A, incompleta, si interrompe con un convegno amoroso di Felicita e Teodoro.
La sceneggiatura B si apre con la citazione di Flaubert presente nel soggetto e una seconda citazione: «Il pappagallo è la prima cosa al mondo che la fa ridere [Felicita]. In quella sua specie di fantasticheria, di meditazione, […] modo di pensare come uno sogna, in lei si susseguono le idee più disparate» (sceneggiatura B , p. 1). Anch’essa incompleta, la sceneggiatura в integra le note manoscritte di A, e porta molto più avanti la vicenda. Si fa riferimento per la prima volta all’arruolamento forzato di Teodoro nell’esercito di Napoleone per la campagna di Russia, e compaiono la partenza di Paolo per il collegio e il suo ritorno a casa ormai adulto, con la moglie Geneviève, altezzosa e sprezzante. Compare inoltre un amico di Teodoro che annuncia a Felicita il matrimonio di quest’ultimo con la vedova Lehoussais. La sceneggiatura C (l’unica completa) ricalca B, integrandone le note manoscritte e riprendendone la struttura a flashback. In C troviamo una scena di gita al mare, dove Felicita incontra casualmente la sorella Nastasia. La terza e ultima parte di C presenta personaggi nuovi – tra i quali Papà Colmiche, un malato di colera assistito da Felicita -, e il riferimento storico alla rivoluzione del luglio 1830. Il finale di C – che ritroveremo poi nel film – vede Felicita che – mentre sta passando la processione del Corpus Domini – muore serena, “vedendo” Lulù trasfigurato nello Spirito Santo. Le varianti D ed E sono brevi estratti di sceneggiatura.
Pubblichiamo nel volume il soggetto unico e online la scaletta manoscritta.
Il film Un cuore semplice è tratto dall’omonimo racconto (Un cœeur simple) di Gustave Flaubert, appartenente alla raccolta Tre racconti (Flaubert 1877), suo testamento estetico. Il racconto letterario è molto simile alla sceneggiatura C scritta da Zavattini, con alcune differenze come la linearità cronologica del racconto, mantenuta dal soggetto di Zavattini ma sovvertita in sede di sceneggiatura.
Protagonista del racconto è Felicita Barette (Félicité in originale), una servetta dall’animo ingenuo e generoso, descritta così: «magra in viso, e con la voce acuta. A venticinque anni gliene si davano quaranta» (Flaubert 2022, p. 9). Tra i personaggi eliminati dalla sceneggiatura troviamo Guyot, istitutore di Paolo e Virginia (Paul e Virginie), figli della padrona di casa. Il racconto fornisce coordinate cronologiche precise, tra il 1819 e il 1853. Come nel finale della sceneggiatura C, Felicita – in punto di morte – crede di vedere Lulù librarsi in cielo.
La prima idea di adattamento di Un cuore semplice matura in Vittorio De Sica già nel giugno 1948 (Zavattini 2005b, p. 170), con fasi alterne di ripresa e di accantonamento: nel giugno 1964 De Sica invia a Zavattini il proprio «treatment del Cuore semplice». Il progetto inizia a concretizzarsi solo negli anni settanta, anche grazie a un viaggio di Zavattini, a metà giugno 1971, in Francia (Zavattini 2023, p. 266), per dei sopralluoghi. Scrive Zavattini allo scrittore Maurice Nadeau: «Venni la prima volta per andare a Pont-l’Évêque, cioè a vedere i luoghi di Cœur Simple […]. Là ho bevuto il sidro, il calvados, e messo mano nell’acqua della Toucque» (Zavattini 2005b, p. 358). Zavattini torna entusiasta, dichiarando che la Normandia «è un paese straordinario e ha conservato tutta la poesia e l’intensità che commossero Flaubert. Conoscendolo ho capito tante cose e ho riletto tutto il racconto con occhi nuovi». Il progetto vede inizialmente coinvolto il produttore Stefano Canzio. A lui e a De Sica Zavattini consegna, il 21 luglio 1971, la sceneggiatura appena ultimata di Un cuore semplice (probabilmente la sceneggiatura c, frutto anche di una rielaborazione del sopracitato “treatment” desichiano). Nella lettera di accompagnamento, Zavattini spiega l’intenzione di «partecipare al montaggio del film» e la propria «idea di cominciare il film lungo la strada Pont-l’Évêque – Honfleur, con Felicita che va, […] nel pieno del suo immaginare e parlare coi suoi cari fantasmi». E perora la necessità di una struttura narrativa a flashback: «qui il flash-back non è una trouvaille, un ripiego, ma è invece parte proprio del linguaggio e della natura della protagonista, una visionaria. […] lei passa dal passato al presente e viceversa, dal reale alle ombre resuscitate senza soluzione di continuità». Zavattini propone altresì un approfondimento di Felicita da bambina, utile a comprendere sia l’infanzia di Flaubert sia di De Sica, «affezionatosi a Felicita perché uguale a una domestica che quando lui era bambino era buona con tutti». Zavattini ipotizza addirittura un unico grande flashback, con «Felicita che sul letto di morte rivede tutto il passato contestandolo, pentendosi del bene che ha fatto, della sottomissione in cui è vissuta» (p. 357), per sottolineare un parallelismo con Madame Bovary. Spiega Zavattini a Nadeau: «Mi sono mosso sempre col sacro terrore di Flaubert: il quale poteva dire anche per Felicita Barette c’est moi, come per Emma [Bovary]. Veniva quasi voglia di storcere il senso di tutto (invece sono stato fedelissimo, nei limiti consentiti), con una Felicita che al momento del trapasso rivede la sua lunga servitù per contestarla» (p. 358). La Felicita di Zavattini si delinea quindi come una «sorellina buona di Emma Bovary» (Napoli 1977, n.n.), o come una protagonista femminile «che sta tra Bernadette, Cenerentola e Charlot» (Zavattini 2005b, p. 357). Nel proprio adattamento, Zavattini opera vari tagli rispetto al testo di partenza, evitando di preoccuparsi «eccessivamente di fissare il momento storico [in quanto] il personaggio [di Felicita] è assoluto, circolare»; la sceneggiatura si rivela «di una non comune difficoltà, tuttavia l’ho fatta in un baleno, dopo aver letto e riletto il racconto almeno trenta o quaranta volte. Credo comunque che De Sica ne tirerà fuori qualche cosa di buono» (p. 358). Nell’agosto 1971, Zavattini ribadisce la difficoltà di approcciarsi a un «racconto di partenza così perfetto», dovuta soprattutto alla «prosa di Flaubert […] lunga, distesa, antigerarchica, tutto è importante allo stesso modo» (Zavattini in Bianchi 1971, n.n.). Ma l’agognato progetto va incontro a vari stop and go fino alla morte di De Sica il 13 novembre 1974: «De Sica, quando doveva farsi perdonare una regia un po’ troppo commerciale, diceva che, la prossima volta, avrebbe riottenuto il credito perduto portando sullo schermo Un cuore semplice. Non c’è riuscito» (Bolzoni 1977, p. 135); «Un cuore semplice era uno di quei progetti i quali hanno più probabilità di arenarsi che di giungere a riva» (Argentieri 1977).
Il progetto irrealizzato si riapre grazie a Giorgio Ferrara, già aiutoregista di Luchino Visconti e, soprattutto, di De Sica per Una breve vacanza (1973), che racconta: «a distanza di anni, Adriana Asti, che aveva conservato copia della sceneggiatura consegnatale da De Sica, me la fece leggere. Era proprio quello che cercavo. Andai da Zavattini, gli esposi la mia idea di riprendere il progetto e il modo in cui avrei potuto realizzarlo: Zavattini accettò con entusiasmo» (Ferrara in Trionfera 1976, n.n.). Insorgono tuttavia degli ostacoli produttivi per la natura del film «troppo poco commerciale» (Satta 1976, n.n.), ma Ferrara non cede alle richieste di «condire il film con scene erotiche» (Ferrara in Satta 1976, n.n.), grazie anche all’intervento dell’«Italnoleggio che accettò di finanziare il film, senza interferire sui contenuti. Formai così una cooperativa, la Nashira, e mi associai alla Filmcoop, un’altra cooperativa, che ha curato la realizzazione del film» (Ferrara in Trionfera 1976). Ferrara si serve «dello stesso copione di Zavattini» (Zocaro 1977, p. 9) e dell’attrice Adriana Asti nei panni di Feli-cita, rispettando così le volontà di De Sica, convinto che la Asti fosse «l’unica attrice italiana in grado di interpretare [questo] personaggio [per lal sua facilità di passare dal tenero al comico, al drammatico» (De Sica in Trionfera 1976, n.n.). Zavattini partecipa alle riprese del film – dopo un periodo di inattività forzata (Gambetti 2009, p. 186; Zavattini 2023, p. 441) -, tra l’estate e l’autunno del 1976, ai Castelli Romani: «a Frascati e dintorni, nelle scenografiche ville patrizie nel verde» (Satta 1976, n.n.).
Il film Un cuore semplice – presentato a Cannes il 13 maggio 1977 (Perona 1977, p. 25) – ricalca piuttosto fedelmente la sceneggiatura C, ma ne abbandona la struttura a flashback. II film elide la prima drammatica esperienza lavorativa di Felicita, presentando subito quest’ultima (Adriana Asti) che lavora serena presso la fattoria. Si accentuano i tratti spregevoli dell’amico di Teodoro, che tenta di abusare della ragazza, e il carattere arcigno della signora Aubain (Alida Valli). Al regista Ferrara la critica del tempo riconosce il merito di essersi «ac-costato al testo con molta dignità e rigore», ma anche il limite di «una decorosa illustrazione» (Zocaro 1977, p. 9). Kezich imputa invece a Zavattini un «attentato allo stile flaubertiano», evidente nell’episodio del toro inferocito, a suo avviso totalmente “sdrammatizzato” rispetto all’originale, per cui «questo adattamento non risolve in termini felici il rapporto con un capolavoro letterario» (Kezich 1977a, p. 12). Pur apprezzando il tentativo di Ferrara di «una corretta e pulita interpretazione formale» (Ranieri 1977, p. 48), diversi critici dell’epoca constatano che «il film non riesce a darci l’equivalente dell’atmosfera del racconto di Flaubert» (Cantelli 1977, n.n.), a causa anche della difficile prosa flaubertiana «che si muove sul terreno corposo della psicologia […]. Ferrara jr. viceversa, pare non si sia posto altro problema che quello di “raffreddare” la narrazione, fidandosi ciecamente di Zavattini» (Vecchi 1977, pp. 554). Altri invece, come Gambetti e Cantelli, rimproverano al film di Ferrara di non essere «neppure lontano parente di Flaubert e Zavattini» (Gambetti 1977, p. 214).
Il film non manca di suscitare letture politicamente schierate: se Kezich (1977b, p. 113) taccia Zavattini di populismo, «’Unità» accusa invece la sceneggiatura zavattiniana di aver accortamente «evitato il tema dell’oppressione di classe» (Savioli 1977, n.n.) presente nel testo di partenza. Su «Rinascita», Argentieri (1977, p. 8) apprezza l’«adattamento [zavatti-niano], tutto fuorché illustrativo [con] una figura non lontana dalla servetta di Umberto D.», quasi «un Flaubert riciclato in una chiave neorealistica». Analogamente, Grazzini (1977, n.n.) parla di un’evidente «protesta sociale fra le righe». Alberto Moravia (1977, pp. 134-135) fa notare invece un’insanabile contraddizione «tra l'” understatement” di Zavattini e di De Sica e l'”overstatement” di Visconti di cui Ferrara è stato allievo», e lo «scollamento tra personaggi e ambiente», dovuto al fatto che «Ferrara si è limitato a mettere i personaggi francesi su uno sfondo laziale». Altri critici tributano a Ferrara il merito di proporre «un cinema diverso, che rompa anche clamorosamente e polemicamente con un filone di porno-violenza giunto ormai al culmine» (Santuari 1975, n.n.): nel film «non si parla infatti né di corna all’italiana, né di vigilantes fascisti tutti pistole e violenza, né di maestre impiegate del sesso a tempo pieno» (Satta 1976, n.n.). In tempi più recenti, De Santi fa dialogare Un cuore semplice con alcune opere del tardo De Sica, accomunate dalla «vista sottile verso le persone dal cuore semplice. […] insieme all’operaia di Una breve vacanza [1973] e alla “servante” di Un cuore semplice, la signora borghese di Il viaggio [1974] va a comporre un’ideale quadreria di figure di donne ripiegate in loro stesse, […] abbattute in una vita nascosta, immersa nella rinuncia e nel dovere» (De Santi 2003, pp. 174-177).
LL