Nel giorno della Prima Comunione della figlia del ricco signor Carloni, la sarta non ha ancora recapitato il vestito, così lui si reca a ritirarlo. Al ritorno, durante un litigio per strada, perde il vestito, affidato a un passante zoppo per poter dar corso a una lite. Carloni torna a casa e offre del denaro al vicino di casa più povero, la cui figlia deve fare la Prima Comunione, in cambio del vestito della bimba, ma questi rifiuta. Allora si cerca di riadattare un vecchio vestito, e Carloni va dall’Arciprete, che però non acconsente a tardare la messa. Tutto sembra andare a rotoli, quando sbucano lo zoppo e la sarta, portando il vestito.
Dati d’archivio. Alla collocazione Za Sog R 44/4-45/4 troviamo nella cartella 44/4 i seguenti soggetti dattiloscritti: A) 12 pp., firmato in ogni pagina, con note manoscritte; B) 12 pp., con correzioni manoscritte e timbro; C) 15 pp., timbrato, con camicia originale, dal titolo La Prima Comunione; D) 13 pp., con appunti manoscritti, timbrato e firmato da Zavattini, con titoli alternativi: Lacrime in Via Merici (Prima Comunione), o Confessioni di un padre; E) 22 pp., con appunti manoscritti, timbrato e firmato, [stessi titoli alternativi]; F) 28 pp., timbrato; G) 25 pp., con note manoscritte e timbro. La cartella contiene un soggetto di Zavattini pubblicato sulla rivista «Cinema», II, 25, del 30 ottobre 1949, pp. 221-224, con illustrazioni di F.F. Frisone. Due scalette sono contenute nella cartella 44/5: scaletta A) 13 pp., manoscritto di Zavattini; B) 22 pp., Scaletta e note, dattiloscritto con pagine e note manoscritte.
La cartella 44/6 presenta un trattamento dattiloscritto: A) 50 pp., datato 4 luglio-15 ottobre 1949, rilegato, timbrato e con l’indicazione «Salvo D’Angelo Produzione, 1949-1950: Prima Comunione, Cesare Zavattini Autore, Alessandro Blasetti Regista, Vittorio De Sica Protagonista. Universalia Produzione». La cartella 45/1 conserva due presceneggiature dattiloscritte incomplete: A) 13 pp., Prima Comunione, presceneggiatura, prima versione; B) 32 pp., Prima Comunione (Titolo provvisorio), con note autografe; e una completa, C) 252 pp., Prima Comunione, bozza della prima presceneggiatura, dattiloscritta con note manoscritte. Nella cartella 45/2 è presente una sceneggiatura dattiloscritta, rilegata con copertina rigida e l’intestazione: «Salvo D’Angelo (Universalia). Prima Comunione. Prima sceneggiatura. Zavattini Autore, Blasetti Regista, Aldo Fabrizi Interprete», con molte correzioni manoscritte, datata «12-24 febbraio 1950». La cartella 45/3 contiene note di lavorazione: A) 57 pp., dattiloscritte e manoscritte; B) 4 pp., appunti autografi di Zavattini; C) 2 pp., carpetta con note manoscritte. Infine la cartella 45/4 contiene della Documentazione, datata 6 maggio 1950: Notizie per la stampa, a cura dell’Ufficio Stampa dell’Universalia Produzioni, e una nota autografa con commenti di Zavattini.
Vi sono quindi diverse varianti del soggetto scritte da Zavattini e molti altri materiali di scrittura da considerare. Notiamo intanto l’evoluzione del titolo del progetto, che prevede, nelle varie versioni: Lacrime in Via Merici oppure Confessioni di un padre. In origine, il ruolo del protagonista viene pensato per Vittorio De Sica, almeno sino al trattamento dell’ottobre del 1949, mentre, a partire dalla prima bozza della sceneggiatura del febbraio 1950, si opta per Aldo Fabrizi, che reciterà effettivamente nel film nella parte del Commendator Carloni. Il soggetto A racconta la storia del vestito per la bambina prelevato dalla sarta, ma perso a causa di un litigio sul tram e per strada, e dei tentativi di porre rimedio alla mancanza riaggiustando un abito da Prima Comunione di una vicina di casa (ma di «trent’anni prima», p. 9). Il finale vede Carloni seduto sui gradini della chiesa, preda di un’amara riflessione sulla sua arrogante relazione con gli altri: «analizzando bene […] egli deve riconoscere che è sua la colpa, e che si tratta di una colpa un po’ più antica» (p. 11). Ormai la situazione è irrimediabile: la cerimonia inizia; le donne di casa la sentono alla radio e smettono di adoperarsi attorno al vestito, «la bambina ha capito che è finita e ricomincia a piangere» (p. 12). Il soggetto B è una copia di A, con le stesse rare note manoscritte (soltanto nella prima pagina). Il soggetto C è una riscrittura con alcune variazioni. Se Carloni nelle prime versioni affida il pacco a un passante, qui l’uomo diventa «uno zoppo che sta camminando adagio adagio con un’aria pacifica» (p. 29); troviamo inoltre un’aggiunta in cui lo zoppo riporta il pacco alla sarta, la quale però lo riconsegna troppo tardi a casa Carloni, e una considerazione finale del protagonista sul fatto che, senza quel suo desiderio di litigare con il prossimo, tutto sarebbe andato per il verso giusto: «pieno di vergogna […] ha una gran voglia di […] confessarsi in pubblico gridando: “Signori, sono un uomo da prendere a calci nel sedere…”» (p. 39). Il soggetto D è una riscrittura con vari titoli provvisori: Lacrime in via Merici, Prima comunione, Confessioni di un padre. La vicenda è narrata in prima persona da Carloni, a partire dalla fine, cioè dalla disperazione per aver perduto il pacco: ne emerge un uomo orgoglioso e superbo. L’impianto narrativo è quello della variante C, ma una nota finale di Zavattini spiega che il film dovrebbe avere «la stessa libertà di movimenti che ha nello svolgimento letterario: sia nel tempo che nello spazio; quindi salti nel passato, nel futuro, arresti, acceleramenti, attardamenti […], cioè con la analitica libertà del monologo» (p. 62). Il soggetto E è una fotocopia di D con diverse note manoscritte, inserti e cancellature, che non cambiano sostanzialmente l’intreccio della vicenda. Il soggetto G è una nuova variante, grazie a correzioni e riscritture la sarta riporta il vestito e la figlia di Carloni riesce ad arrivare in chiesa «appena appena in tempo» (p. 137). Il soggetto F, che qui pubblichiamo, è un dattiloscritto che integra tutte le note e correzioni del soggetto G, e corrisponde a quello pubblicato su «Cinema», 25 del 1949.
In archivio sono presenti alcune note di lavorazione, in cui viene dato per assodato Fabrizi come protagonista, nonché due scalette: una manoscritta (scaletta A), in cui Zavattini si interroga su come rendere nel film il senso della «confessione»; e una dattiloscritta (scaletta B) con le prime pagine manoscritte e correzioni a mano, e il finale positivo del soggetto F. È presente anche un trattamento rilegato con copertina rigida in cui si trovano alcune aggiunte, e si spiega nella premessa che si vedrà un costante passaggio tra «la storia di “quel che accade” e la storia di “quello che avrebbe potuto accadere”» (n.n.); il racconto è in terza persona con un narratore onnisciente e si indica ancora De Sica come attore protagonista. Il finale è quello positivo del soggetto F, con l’arrivo all’ultimo momento utile del vestito. Nelle presceneggiature incomplete A e B troviamo solo le vicende iniziali, ma vi sono delle innovazioni, come Carloni che sale su una Topolino custodita in garage e guidata dal portiere. Nella C, completa (Bozza della prima presceneggiatura), troviamo gli interventi della voce narrante introdotti come «l’autore [che] non racconta una storia accaduta ma segue una vicenda che si sta svolgendo» (p. 47); il finale resta quello positivo. Consultando la «prima sceneggiatura» con numerose annotazioni autografe di Zavattini (anche in terza di copertina), troviamo la «Voce» del narratore in prima persona sempre più precisata e il finale positivo cassato con un segno a mano solo nell’ultima pagina, per chiudere quando Carloni e la famiglia riescono a entrare nella cattedrale (visti da lontano), con un ultimo commento della voice over scritto a matita, che inizia con un «Chissà…».
Pubblichiamo nel volume il soggetto F, e online il soggetto A e le scalette A e B.
Nella sua accurata scheda, Caldiron ricostruisce le principali fasi di lavorazione del film: «Il soggetto di Prima comunione è del giugno 1949. Scritto per Alessandro Blasetti, incontra subito l’approvazione del regista che vorrebbe però intervenire sul testo, con qualche ritocco» (Caldiron in Zavattini 2006, p. 125). «Blasetti è contento del mio soggetto. Però lui è sempre quello: immarcescibile […]. Sarò duro: o lui accetta tutto ciò che faccio o non gli do il soggetto» (Zavattini 2006, p. 125). Una lettera di Zavattini a De Sica del 26 marzo 1950, rispetto alla sceneggiatura, recita: «Fra quindici giorni precisi avrò finito Prima comunione e immagini con quale gioia, come tutte le volte che si mette la parola fine a una lunga fatica. Tira e molla, sono dieci mesi circa che mi tiene occupato» (ACZ Za Corr. D 499/188). Ricorda ancora Caldiron: «Il progetto si avvia concretamente sin dall’agosto [del 1949] con Salvo D’Angelo dell’Universalia. Nel frattempo viene pubblicato su “Cinema” […] con la premessa: “Il cinema italiano deve molto a Cesare Zavattini: quando si parla di Sciuscià o di Ladri di biciclette, accanto al nome di De Sica si dovrebbe sempre citare quello di Zavattini […]. Blasetti ha chiesto a Zavattini un nuovo soggetto: questo umano, semplice, delicato Prima comunione. Si tenta un’altra ideale collaborazione; e c’è da sperare in un’ottima riuscita, anche perché il film […] sarà interpretato da De Sica”. Quando nel maggio dell’anno successivo inizia la lavorazione, De Sica è stato ormai sostituito da Aldo Fabrizi. A fine agosto il film è pronto per partecipare alla Mostra di Venezia. Il 29 settembre 1950 il film viene distribuito nelle sale con successo di pubblico e di critica» (Caldiron in Zavattini 2006, p. 125).
Una pagina dei Diari di Zavattini, in data 18 luglio 1949, illustra la dialettica che si instaura subito tra lui e il regista, oltre a rivelare le intenzioni di fondo e i richiami con altri soggetti elaborati in passato: «Con Blasetti a Fregene. […] Discutiamo un’ora sul mio soggetto Prima comunione. […] vorrebbe insieme l’idea del contrappeso che lui intitola Facciamo un’ipotesi […]. Gli dico che ho un’idea: raccontare Prima comunione come volevo raccontare Via Merici, in prima persona: il protagonista che si confessa. Gli piace molto, ne capisce lo sviluppo, ma, dice, allora escludi la mia idea? Dico di sì. Mi prega di tenerla presente nella stesura. Dico che è possibile, ma sciolta dentro, senza meccanicità» (Zavattini 2022a, pp. 331-333). Nel corso di un convegno dell’Unesco dell’estate 1952, Blasetti riconosce il contributo essenziale del soggettista e sceneggiatore: «Fui io a chiedere a Zavattini un film di un certo tono […]. La primissima intuizione di quel film, dunque, la iniziativa nacque da me. E per concretarla fui io ad andare da Zavattini, da lui piuttosto che da un altro. Ma poi […] lasciai completamente libero Zavattini, libero e solo […] dopo un mese mi presentò la storia del film e la battezzò Prima comunione […] posso affermare persino, con la freddezza che si impone ad una testimonianza, che malgrado la mia iniziativa […] l’importanza sostanziale del “testo” di Prima comunione appartiene più a Cesare Zavattini che a me» (Blasetti 1982, pp. 232-233). È ancora una pagina dei Diari, del 22 luglio 1949, a rivelare l’intima convinzione di Zavattini nei confronti del soggetto: «Faccio già un grande sacrificio a dare nelle sue mani mie idee gelose e covate, a dargli in mano cosa troppo leggera per le sue mani»; Zavattini continua facendo riferimento al produttore: «D’Angelo mi ha detto che o accetta tutto da me o non gli fa fare il film. Voglio anche partecipare al montaggio, ho visto con De Sica ciò che può rendere la mia partecipazione al montaggio» (Zavattini 2022a, p. 338). La collaborazione con Blasetti non manca di difficoltà, tanto che, nella lettera a Pietro Maria Bardi del luglio 1947, Zavattini ricorda i suoi rapporti di lavoro con il regista dicendo: «Alle nove del mattino mi telefona Blasetti per controllare se sono al lavoro per lui. È sempre più pazzo […]. Massacra chi lavora con lui e impiega dieci mesi dove un uomo normale ci metterebbe dieci giorni; tuttavia tutti lo aiutiamo facendo del nostro meglio e penando perché morirebbe se si riuscisse a fargli capire come stanno veramente i suoi rapporti con il mondo. Qualche volta glielo diciamo, ma, per fortuna, non capisce» (Zavattini 2005b, pp. 153-154). Rapporto d’amore e di odio, quindi, come ricorda sempre Zavattini: «Da una collaborazione con Blasetti si esce giurando che con Blasetti non si vuole mai più rapporti del genere, perché la fatica è stata davvero gladiatoria; ma poi si finisce per ricadere nella pania, attratti dal suo entusiasmo» (Zavattini 1986, pp. 1625-1626).
Attorno a questo tipo di relazione prende forma il problema della paternità del soggetto: per quanto Blasetti ribadisca i rispettivi ruoli, Zavattini non ne sembra molto convinto, come ribadisce al regista in una lettera dell’11 settembre 1949: «A te preme soltanto, mi hai detto, che non sembri che sei incappato per caso in un buon soggetto, ma vuoi che si sappia che questo soggetto lo hai proprio cercato […] desidero che tu dica ai male intenzionati tutto quello che mi dicesti a Venezia dopo la mia, chiamiamola così, esplosione, cioè che il soggetto è da tutti i punti di vista opera del sottoscritto e che le soddisfazioni che conto di ricavarne come autore non sono incrinabili da nessuno» (Zavattini 2005b, pp. 187-188). Alla XI Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia (presieduta da Mario Gromo), a Prima comunione viene assegnato il Nastro d’argento per la miglior regia, la miglior sceneggiatura e il miglior attore protagonista. Molte recensioni da Venezia raccontano infatti il successo di pubblico, plaudendo alla semplice efficacia del film (Sala 1950); apprezzando la trovata della voce del regista che dialoga con il personaggio e con il pubblico (Rondi 1950a); indicando come riferimenti i film con Charlot o quelli di un René Clair «bonario e provinciale […] in un ritmo sempre serrato […] con toni talvolta quasi farseschi» (Gromo 1950, n.n.); e citando il lavoro di Zavattini per un soggetto che vira al «divertimento […] con una vena moralistica acuta e garbata» (Natale 1950, n.n.). Sulle pagine dell’«Unità», invece, Casiraghi parla di un’opera «senza molto sugo [perché] il centro del film è troppo debole per sorreggerlo tutto» (Casiraghi 1950, n.n.).
Confrontando i soggetti con la pellicola uscita nelle sale, risulta evidente come la volontà di Zavattini di modulare il film secondo arresti, acceleramenti e salti temporali venga in qualche modo rispettata, seppur rielaborata, da Blasetti. Introdotto e accompagnato da una onnisciente voce narrante (di un giovane Alberto Sordi), il film, dotato di un ritmo e di una leggerezza a cavallo fra le tradizionali comiche del muto e René Clair, è costituito da un montaggio che non risparmia sequenze oniriche, alternative e ipotetiche, spesso scaturite direttamente dall’immaginazione del protagonista. In questi passaggi è facile vedere quella che Parigi sostiene essere l’impronta di Zavattini, manifestata non solo nei temi, ma anche «nella libertà della narrazione. Il film intreccia in una stessa matassa l’immaginazione zavattiniana degli anni trenta […] con le nuove iconografie sociali del dopoguerra» (Parigi 2014, p. 233). Secondo Brunetta, «Nelle mani di Blasetti le figurine zavattiniane prendono corpo e sangue […] come in un girotondo, che si snoda senza mai fermarsi […]. Questo film segna la completa riassimilazione di Blasetti non più come padre e maestro, ma come fratello maggiore, compagno di strada del nuovo habitat del cinema italiano» (Brunetta 2009, p. 73). Ricorda Caldiron che «Zavattini aveva collaborato anche alla sceneggiatura di Un giorno nella vita (1946) e di Fabiola (1949)» diretti da Blasetti, e dopo Prima comunione, il suo lavoro in coppia col regista romano, iniziato «con 4 passi fra le nuvole (1942), prosegue con Amore e chiacchiere (1957), senza contare i numerosi progetti irrealizzati, da Prima io (1953) a Zibaldone n. 3 (1955)» (Caldiron in Zavattini 2006, p. 126).
MM