Film inchiesta sui numerosi “perché” che le giovani generazioni italiane pongono alle precedenti. Uno spettro ampio di tematiche viene toccato: successo, solitudine, suicidio, fascismo, guerra, paura, adulterio, sessualità, censura, televisione; sempre nell’intento di alternare una rappresentazione ufficiale con le realtà colte nei contesti più disparati (tram, strade ecc.).
Dati d’archivio. Collocazione: Za Sog NR 23/5 contiene: progetti del film dattiloscritti con correzioni e note manoscritte A) 64 pp., Perché?; B) 16 pp., [idem]; C) 18 pp., Perchè. Di Cesare Zavattini e Francesco Aluffi, Roberto Capanna, Alberto Grifi, Giorgio Maulini, Umberto Monaci, Pier Giuseppe Murgia, Andrea Ranieri, Marcello Bollero, datata 1963; D) 14 pp., Perché? Film inchiesta ideato da Zavattini nel 1963 e redatto con la collaborazione di Francesco Aluffi, …; E) 14 pp., Perché? Argomento per film, senza note e correzioni; F) 16 pp., Perché? Fil[m] inchiesta ideato da Zavattini nel 1963 e redatto con la collaborazione di Francesco Aluffi, …, senza note e correzioni. Nota di lavorazione manoscritta G) 2 pp., Perché? Film a 3 episodi. Tre perché fondamentali impostati dai giovani. 13/1/63, datata 19/2/1963 e 28/3/1963. Corrispondenza manoscritta e dattiloscritta H) 1 p., Lettera di Gaspare Zola; I) 1 p., Lettera di Giorgio Consiglio, datata 17/1/1963; L) 2 pp., Lettera di Andrea Ranieri, datata 1/3/1963; M) 1 p., Lettera di Giorgio Consiglio, datata 8/4/1963; N) 1 p., Lettera di Giorgio Consiglio, datata 8/5/1963; O) 2 pp., Lettera di Andrea Ranieri, datata 13/5/1963; P) 1 p., Lettera di Giorgio Consigli, datata 25/5/1963; Q) 1 p., Lettera di Bruno Cavara, datata 2/6/1963; R) 1 p., Lettera di Anita Schiatti, datata 8/6/1963; S) 1 p., Lettera “Tutti”, datata 27/06/63; T) 1 p., Biglietto di Andrea Ranieri, datata 25/7/1963; U) 2 pp., Lettera di Marcello Bollero, datata 25/5/1962.
Film inchiesta redatto da Cesare Zavattini con la collaborazione di un gruppo di giovani tra i 18 e i 23 anni: si tratta di: Francesco Aluffi, Roberto Capanna, Alberto Grifi, Giorgio Maulini, Umberto Monaci, Pier Giuseppe Murgia, Andrea Ranieri, Vittorio Armentano, Marcello Bollero. L’idea è contemporanea agli interventi di Za sul settimanale Rinascita, dalle pagine del quale prenderà forma (9 giugno 1962) anche il “Cinegiornale della Pace”. Il corposo materiale riporta un fitto e continuo brainstorming di Za e dei suoi giovani collaboratori, nelle forme varie di telefonate trascritte, note, interviste e spunti di ogni sorta. I numerosi “perché” raccolti dal gruppo, soprattutto da parte di giovani e giovanissimi studenti, si concretizzano in lunghi elenchi di domande che raggiungono quasi i 300 quesiti. A tutto questo si aggiungono diverse lettere indirizzate all’autore con lo scopo di offrire un proprio contributo, a conferma di quanto il progetto nel suo complesso intendesse essere aperto e in continua espansione. Riportiamo alcuni esempi, come quello di Gaspare Zola da Roma (in seguito attore in alcuni film come Giarrettiera Colt): “Gent. Dott. Zavattini, un mio amico giornalista mi ha confidato che sta preparando un film sui giovani che stanno passando il Rubicone della giovinezza. Io appunto, che ho ventitré anni, mi sento proprio in questo particolare momento. Sarei felice se volesse affidarmi una piccola cosa nel suo film. Credo che riuscirei a non deluderla.” Oppure la più articolata lettera di Andrea Ranieri di Sarzana del 1° marzo 1963: “Carissimo Zavattini, sono un giovane comunista di 19 anni, e frequento il I° anno di “filosofia” all’università di Pisa. Da tempo, fin da quando appariva su Cinema Nuovo, seguo il suo Diario. Ho letto con molto interesse i suoi scritti relativi al film-inchiesta sui personaggi-chiave del nostro tempo, in cui il regista dovrebbe assimilarsi allo spirito del personaggio in questione, così da permettere un incontro diretto, “non metafisico”, fra il pubblico e il personaggio. Questa sua impostazione, veramente notevole, mi ha suggerito una nuova idea, a mio parere, strettamente connessa con la sua primitiva proposta, un film-inchiesta, cioè, su un giovane, un giovane che racconti davanti alla cinepresa e con la cinepresa, le proprie esperienze e soprattutto le proprie idee. Si sono fatti insomma molti film sui giovani e per i giovani, ma non c’è ancora stato, io penso, un film dei giovani.” La lettera del Ranieri prosegue esponendo riflessioni sullo stato del cinema italiano, i valori della Resistenza e i giovani contemporanei, fino a prefigurare un progetto proprio sulla scia del pensiero di Za: “Su questo dovrebbe vertere il film, dei giovani e per tutti gli uomini onesti, un film capace di avviare gli uomini ad un mondo, scusi se la parafraso, ‘ad un mondo dove i giovani siano veramente giovani’. […] Penso sinceramente che questo potrebbe essere il suo film ed il film di tutti i giovani. Fiducioso in una sua risposta, una stretta di mano dal suo Andrea Ranieri”. Un’ulteriore lettera di Ranieri del 13 maggio 1963, oltre a confermare l’attenzione di Za verso gli stimoli dei fedeli lettori, riassume ancora una volta gli intenti dell’operazione: “Lei è convinto che il film sui <perché> possa dare ai giovani la capacità di manifestarsi interamente, di cogliere se stessi nella loro requisitoria contro le generazioni passate, contro le ipocrisie, le debolezze, la mancanza di coraggio civile degli uomini che pur avendo capito gli errori del proprio mondo non sono stati capaci di cambiarlo, di far diventare costume di vita le acquisizioni di coscienza. Le dico subito che questo tipo di tematica così densa di significati e prospettive e che lei stesso indica nell’articolo di Rinascita già citato non trova poi riscontro nella serie di perché che a titolo indicativo pubblica nella seconda parte del suo articolo, dai quali appare una polemica frontale contro le indicazioni ed il costume di vita di un mondo irrimediabilmente vecchio, a tutti i livelli”.
Pubblichiamo nel volume cartaceo e online il soggetto F (già in Mazzoni) e online i soggetti A e C.
Scrive Mazzoni: “Il divario tra quello che uno pensa e scrive e che poi vede realizzato – da un altro – sullo schermo si rivela drammatico, soprattutto in un uomo come Zavattini che ha sempre considerato il cinema come un mezzo espressivo completo solo nelle mani di chi <fa l’atto creativo decisivo> e cioè il regista. Regista, però, in un senso più ampio, regista come figura emblematica e complessa, capace di trascendere il concetto stesso di regia e di ‘unicità’ della medesima, regista non nel senso tradizionale, dunque, ma nel senso di una persona che può usare la macchina da presa in tutte le sue possibilità conoscitive, non escluso il video-tape. […] Ed è in questa prospettiva che pensiamo a un confronto tra questi discorsi e le recenti teorie del cinema alternativo che si muove, almeno in parte, su un binario di autarchia creativa e tecnica e che nega la divisione culturale dei ruoli (regista, operatore, soggettista) per un recupero individuale del mezzo cinematografico. Alberto Grifi per fare solo un esempio – uno dei ‘ragazzi’ che Zavattini aveva coinvolto nei suoi progetti multiregistici per il film dei Perché? […] si ritrova a costruire una teoria sulla improvvisazione del mezzo cinematografico che è molto vicina alla concezione neorealista formulata da Zavattini più di vent’anni fa” (Mazzoni 1979: 18-19). Oltre alla costante tematica dell’inchiesta, e la struttura in due parti del film pensato come montaggio di materiale di repertorio e come serie di interventi che aprano una sorta di “contrapposto drammatico” (Soggetto F: 134-135), il progetto risulta ancor più interessante se confrontato con il complesso rapporto di Za con il medium televisivo. Ricordiamo la vena polemica del soggetto, che rispetto alla televisione dice: “la TV non è libera perché è al servizio di quelle stesse persone che condizionano il dramma quotidiano dei proletari intervistati” (intendendo così la classe borghese), e mette a fuoco il problema della censura nei servizi televisivi (ib.: 140). Al tema è dedicato il libro di Anna Chiara Maccari Zavattini ha le antenne, nella cui prefazione Stefania Parigi scrive con efficace sintesi: “La televisione auspicata da Zavattini eredita dal cinema neorealista la propria funzione conoscitiva: vuole essere un grande rito collettivo di costruzione di una cultura democratica; una ribalta aperta a tutti, una sorta di agorà perennemente in fermento. Essa rappresenta la straordinaria possibilità di aderire quasi fisicamente al tempo e allo spazio dell’esperienza e di rivoluzionarne le coordinate: da una parte, lo sguardo supera qualsiasi recinto spaziale; dall’altro si immette in una nuova dimensione legata all’istantaneità, alla simultaneità, alla condivisione intersoggettiva di una stessa ‘pasta’ temporale. Più del cinema, la televisione può parlare il linguaggio della nostra presenza nel mondo […] Sullo sfondo di alcuni nodi essenziali del pensiero contemporaneo, il teleschermo assume ai suoi occhi la funzione quasi prodigiosa di un luogo di formazione e di sperimentazione continua, deputato a instaurare un confronto dialettico delle identità e delle diversità, a stimolare una costante ricerca del senso, a rimodellare lo stesso concetto di realtà, facendolo appunto coincidere con quello dell’esperienza” (Parigi in Maccari 2010: 11).
Progetto del film Perché, Bologna, 1962 (foto Enrico Pasquali)
Per gentile concessione dell’Archivio Cesare Zavattini, Biblioteca Panizzi, Reggio Emilia