Il giovane scrittore di provincia Antonio T., nell’arco delle ventiquattr’ore che precedono l’assegnazione di un importante premio letterario a Roma, tenta in tutti i modi di favorire la propria vittoria usando trucchi, piaggeria o peggio, e anche se giungerà a vincere il premio perde dignità agli occhi della moglie, che è stata coinvolta nei poco leciti commerci.
Dati d’archivio. Per chi ha di fronte i materiali d’archivio e li sta consultando, consigliamo di controllare nel volume stampato per Marsilio la congruità dei dati descritti nelle Note filologico-genetiche. Rispetto alla nuova catalogazione d’archivio che si può trovare online al link che indichiamo volta per volta nelle schede dei soggetti, il nostro lavoro di descrizione filologica a volte risulta incongruente perché ci basiamo sui documenti consultati direttamente in archivio e che poi abbiamo riportato nei PDF messi a disposizione.
La prima stesura risale al 1964 (in data 26/6/1964): il soggetto A è costituito da tre pagine interamente manoscritte intitolate Non c’è tempo da perdere; anche il soggetto B, con lo stesso titolo, è interamente manoscritto, e organizza il racconto per domande e inizia spiegando: “è una vicenda che si svolge al galoppo”; il soggetto C è quello depositato alla SIAE il 24/6/1964: il titolo Non c’è tempo da perdere porta il sottotitolo Idea per un film e presenta nel breve dattiloscritto di 3 pagine il nucleo del racconto, con lo “scrittore di talento” che si mette in azione per procacciarsi dei voti dai giurati del premio letterario a tutti i costi: “Antonio è l’autore di un romanzo morale, ma per imporlo si comporta immoralmente”, corrompendo anche la compagna che “ha una sua sana spregiudicatezza” (soggetto C: 3). Il soggetto D mantiene il titolo ed espande il soggetto precedente grazie a moltissime note manoscritte (a matita), con molte cancellature a pennarello. Il soggetto E recepisce le correzioni e aggiunte del soggetto D con sette pagine dattiloscritte senza correzioni; mentre il soggetto F è una copia di E. Il progetto conosce un’evoluzione sino al 1971-72, come testimoniano anche i materiali conservati nel Fondo Blasetti presso la Biblioteca Renzi di Bologna; Blasetti venne infatti individuato come possibile regista e questo è confermato, tra le altre cose, anche dalla titolazione del soggetto G (dattiloscritto di undici pagine): Non c’è tempo da perdere. Idea per un film di Cesare Zavattini. Per la regia di Alessandro Blasetti, oltre che dalla titolazione di altre varianti. Come riporta Caldiron: “Il progetto sembra prossimo alla realizzazione. Alberto Sordi avrebbe dovuto esserne il protagonista, Alessandro Blasetti o Vittorio De Sica il regista. Nell’Archivio Zavattini esistono numerose stesure di diversa lunghezza. In alcune versioni il discorso finale del protagonista rimane solo un’idea che gli viene in mente per un momento, ma a cui non dà seguito. Nonostante l’ampio materiale preparatorio – tra cui una serie di note integrative del soggetto e una fitta documentazione di articoli di attualità sui premi letterari – non si è mai arrivati al trattamento e alla sceneggiatura” (Caldiron 2006: 288-89). L’arrivista è il principale tra i titoli alternativi. La variante H è stata pubblicata in Mazzoni (1979) e in Caldiron (2006), senza la trascrizione delle correzioni manoscritte di alcune pagine, soprattutto dell’ultima pagina, che abbiamo invece aggiunto nella nostra pubblicazione in questo volume, con le righe in cui Corinna, la moglie di Antonio, gli confida che in effetti “il grande elettore le ha fatto proprio pagare il pedaggio” (Soggetto H: 57). La versione I si amplia, sia in forma manoscritta che dattiloscritta, inserendo alcuni dettagli interessanti e modificando in buona parte l’incipit e la sequenza iniziale dell’amplesso interrotto: si aggiunge in apertura il bilancio fatto da Antonio con gli amici artisti, un “bilancio piuttosto magro: perciò bisogna moltiplicare gli sforzi nelle ultime ore. Con la volontà si fanno miracoli, specie quando la posta è così grossa: questa sera o la gloria, per cui la gente ti addita per strada, o l’oscurità, cioè la stima soltanto di poche persone e gli scarsi e troppo sudati guadagni” (Soggetto I: 58-59). La variante O è costituita da 28 pagine zeppa di note e correzioni manoscritte non sempre comprensibili, nel retro della prima pagina Zavattini riscrive a mano tutta la parte iniziale, con l’incipit “Questa storia di svolge a Roma, ai giorni nostri, nell’ambito di ventiquattr’ore. Il protagonista è Antonio T, uno scrittore di provincia, venuto a Roma da pochi giorni essendo uno dei due candidati a un famoso premio letterario” (Soggetto O: 110): l’incipit varia quello del soggetto I, e si ritrova dattiloscritto nei soggetti G, H, L, M, N, che risultano quindi antecedenti a O. Ampiamente corretta e riscritta è anche la variante Q, a cui è allegata una copia della “Nota per Berenice” (pseudonimo di Jolena Baldini) corretta a mano in cui si cita Carlo Ponti. Le correzioni a mano del soggetto Q vengono integrate nel soggetto P (che quindi è successivo), una trascrizione pulita senza altre correzioni. Il soggetto S è la versione precedente a R (ad esempio la “provincia” da cui proviene lo scrittore diventa l’Emilia), perché le correzioni a mano di vengono riportate nel soggetto R, depositato alla SIAE il 24/06/1964, sotto al titolo Non c’è tempo da perdere presenta il sottotitolo Idea per un film, e la nota manoscritta: “penultima copia, l’originale ce l’ha De Sica, ci sono delle correzioni”, ma quest’ultime sono molto rare, su singole parole. Anche le correzioni sul soggetto T sono riportate in R: si tratta perlopiù di errori di battitura, ma c’è anche una svista nell’indicare il deposito SIAE al 24 maggio e non al 24/6 del 1964, svista ed errori rimangono nelle copie di T (i soggetti U e V), mentre il soggetto Z è una copia che però corregge i refusi (ma non il mese errato). La cartella 2 contiene molte altre versioni del soggetto, denominate da a1 ad a8, che nella nuova catalogazione dell’Archivio diventano le lettere a-h; la prima è una copia del soggetto G, con molte correzioni a mano che vengono recepite nel soggetto H, ma precede quindi la revisione con l’aggiunta degli amici complici (che troviamo dal soggetto I al soggetto Z), oltre al solito titolo Non c’è tempo da perdere. Idea per un film di Cesare Zavattini. Per la regia di Alessandro Blasetti, troviamo la nota a mano: “Maria! 3 copie più l’originale”. I soggetti AB e AC si intitolano invece L’arrivista (ma una nota a mano aggiunge il titolo Non c’è tempo da perdere), e portano l’indicazione del deposito alla SIAE del 26/6/1964, quindi nello stesso giorno del deposito SIAE del soggetto R, ma queste due varianti presentano molte differenze. L’incipit infatti recita: “Questa storia si svolge a Roma nel 1964. è la storia di un Premio Letterario, cioè di una istituzione che oggi è entrata negli usi e costumi italiani al punto da raggiungere la popolarità” (Soggetto AB: 14); si mantiene nel soggetto il modo della terza persona e lo stile del riassunto esplicativo, con il protagonista che si chiama Giorgio T. Il soggetto AB presenta numerose correzioni e riscritture, non recepite dal soggetto AC, che ne presenta altre. I soggetti successivi (da a4 a a8), indicati come AD-AF, sono copie senza correzioni del soggetto H, ma portano in allegato un corposo soggetto alternativo dal titolo Note aggiuntive a Non c’è tempo da perdere, con una intestazione a mano: Dopo il soggetto. Vi leggiamo di Antonio e Corinna che partono da un paese vicino a Napoli, su “una cinquecento piuttosto scassata […] stracarica di mozzarelle di fiori e di vino […] due bravi ragazzi, sposati per amore da un annetto o due. La cultura di Antonio è modesta, si è fatto da solo, […] suo padre e sua madre hanno una di quelle piccole botteghe di mozzarelle, di vino, poste ai margini della strada che da Napoli va verso Roma, povera gente che sbarca appena il lunario; e altrettanto la famiglia di Corinna” (soggetto AD: 49). Il racconto segue parzialmente le vicende del soggetto principale: Antonio ha degli amici a Roma che lo aiutano nel cercare il consenso degli elettori per il premio (portando loro le mozzarelle), ma mentre Corinna si dispera per la sua ignoranza (non riesce a capire le poesie del marito, dice che ha fatto solo la terza elementare) e non lo tradisce, Antonio si fa irretire dalla moglie di un grande elettore e finisce a rotolarsi sul tappeto della casa di lei (per poi fuggire senza consumare l’atto). Questa variante, alternativa ai soggetti principali, si interrompe prima del finale.
Tra la numerosa documentazione conservata, sono presenti un biglietto da visita del produttore Elio Scardamaglia e i ritagli di giornale di articoli del 1964 (da Il Corriere della Sera, Tempo, Paese sera) sui premi letterari e sul progetto di Zavattini di farne un film. In una lettera a Blasetti del 7 luglio 1971, Za così riassume le traversie della prima idea di progetto, fornendo anche interessanti riflessioni sul proprio lavoro: “tre anni fa, la sera del premio Strega, ne pubblicò un sunto Berenice sul Paese Sera provocando la immediata richiesta di Lino Del Fra e Lina Mangini, proprio immediata, con un colpo di telefono, se lo davo a loro che avrebbero cercato di realizzarlo in film. Dissi di sì. Un’ora dopo la stessa richiesta mi veniva inoltrata da Valerio Zurlini, ma io ero già impegnato con i suddetti. Successe che Del Fra e la moglie non riuscirono a varare il progetto ma lo tennero congelato per tanto tempo, finché entrò nei progetti di De Sica che lo annunciò perfino per televisione. Come ci si appassiona e come ci si dimentica di un progetto è una delle cose più misteriose e caratteristiche del nostro ambiente. Io stesso lascio nel cassetto per anni certe idee che mi rivengono in mente di colpo in occasioni più impreviste. Così fu per Diario di una donna con te, e così è per quest’altra idea che considero oggi matura e attuale ancora più che nel momento della sua nascita. Un premio letterario è diventato un oggetto di consumo che ha ormai il valore simbolico di una delle tipiche gare per raggiungere il successo a ogni costo. A me sembra, con il conforto della tua reazione così spontanea e vivace appena che te ne accennai, che si tratti di una vicenda dal ritmo forsennato e tuttavia limpido, attraverso la quale si fa un incalzante e spietato ritratto, grottesco, satirico, spregiudicato, di una Roma e di una società forse ancora più cinica, esagitata, corrotta ecc., di quanto non l’abbiano vista però altri ed egregi uomini di cinema. Come immagini, ho altri appunti in proposito ma siccome non c’è proprio tempo da perdere e un film noi due dobbiamo farlo senza farci battere dai giovani in fatto di coraggio, direi che queste paginette contengono il sufficiente per far comprendere il carattere del loro successivo svolgimento, la spettacolarità, l’allegria e anche la tristezza dell’impresa. Il che non significa accantonare per sempre Diario di una donna, ma mettersi subito in un’impresa che probabilmente ha più immediate e non gratuite possibilità d’intesa con l’ambiente, con il mercato ideale e pratico italiano e straniero” (Lettera di Zavattini ad Alessandro Blasetti del 7 luglio 1971, Archivio Zavattini, collocazione 918/92). In un’altra lunga lettera del 1971, che costituisce quasi un’ulteriore variante del soggetto, troviamo anche alcuni paragoni con la produzione personale di Za e il suo Non-libro, più disco (del 1970): “Se avessi avuto tempo mi sarebbe piaciuto fare la scena finale, l’ambiente intellettuale e falso intellettuale fastoso ipocrita borghese nel senso più deteriore del termine dove anche quelli che si atteggiano a contestatori vivono i riti che contestano alla pari dei banchieri dei ministri ecc.; e lui che fa toccare il pancino della moglie a tutti per dimostrare che è incinta (e invece non lo è) ed è disposto, in vista del quasi sicuro premio per agguantare il quale basta ormai un soffio, a essere ancora più corrotto, vile, contraddittorio, pur di raggiungere il successo, anche se un certo malumore la coscienza comincia a esprimerlo davanti alla consorte silenziosa, un po’ pallida, anche lei ipocrita a modo suo; tutte quelle facce che abbiamo già visto in dettaglio durante la randonnée delle 24 ore (perché, caro Alessandro, continuo a essere convinto che uno dei caratteri del film potrebbe essere proprio questo tempo stretto, dalla notte a letto alla notte del premio. L’ho sempre sentito così, scandito così, non si tratta di un ritmo estraneo, ma intrinseco all’idea e perfino al titolo del film […]). Seguito a dettare precipitosamente: e il discorso! Mi sarebbe piaciuto scrivere il discorso, il suo atto d’accusa, la sua catarsi, il suo sfogo, che poi finisce, con rispetto parlando in merda; con la trovata proprio da intellettuale, da artista com’è, di convogliare tutta la sua crisi reale, che ha toccato persone reali, interessi reali, e la moglie in testa, in un progetto di romanzo, in un libro insomma. Vedi perché ho fatto il NONLIBRO” (Lettera di Zavattini a Blasetti del 3 novembre 1971, collocazione 918/92).
Pubblichiamo nel volume e online il soggetto H (già in Mazzoni 1979: 227-233; Caldiron 2006: 282-289); pubblichiamo online i soggetti A e Z.
Scrive Mazzoni: “Lavoro in passato già ampiamente pubblicizzato. Nel numero di luglio del 1964 il settimanale – rotocalco Gente riportava un articolo di G. Vigorelli dal titolo: Arpino vince lo Strega e col sottotitolo Zavattini farà un film arroventato dei premi letterari, dove si dice tra l’altro: ˂Nessuna meraviglia, data l’aria che tira, che Zavattini col suo fiuto sempre sicuro, abbia avuto l’idea, maturata esattamente in questi giorni di agonia stregatoria, di fare subito un film imperniato sulle avventure da Sodoma e Gomorra dei premi letterari.˃ […] Zavattini lo ha anche recentemente raccontato nella trasmissione radiofonica Voi e io, insieme ad un altro soggetto, Buongiorno Italia (ottobre 1976)” (Mazzoni 1979: 325-326).
Come riporta anche Caldiron: “Non c’è tempo da perdere – altro titolo L’arrivista – risale al 24 giugno 1964, data del deposito Siae. ˂Questa storia è il frutto di una lunga appartenenza a giurie di premi letterari e artistici˃, dichiara Zavattini in un’intervista a Jolena Baldini (riportata nelle note di Mazzoni 1979), ˂Ho imbussolato esperienze raccolte tra Nord e Sud creando una storia che si svolge al Centro, a Roma, nelle ventiquattr’ore che precedono l’assegnazione di un premio letterario. Il giovane protagonista (uno scrittore di provincia che proviene da un paese ciociaro) vuol vincere. È impaziente di affermarsi, e nella sua caccia al voto procede battente, dispiegando tutte le sue doti di duttilità e istrionismo; passando dal tragico al grottesco, dalla crudeltà alla viltà, arrivando persino a toccare il sublime. Scomoda ministeri e sacrestie, alcove e studi di pittori. Secondo le circostanze e l’opportunità il nostro scrittore è informale, comunista, malato, suicida, impotente, omosessuale, amante di domestiche, fidanzato fulmineo. Il giovane scrittore promette, minaccia, blandisce, va a letto con una vecchia, va a caccia di voti al funerale di un amico, convince quella signora che è l’ispiratrice della pagina trentadue, l’altra del finale. Per accaparrare pietà fa sentire il battito del suo cuore emozionato al telefono˃” (Mazzoni 1979: 326).
“Antonio è l’autore di un bel romanzo sinceramente morale, per imporre il quale è disposto a comportarsi immoralmente”: così è sintetizzato nelle prime righe del soggetto il fulcro di tutta la vicenda. La contraddizione etica che il personaggio di Antonio incarna (non sorprende, ancora una volta, l’ipotesi di affidarlo a Sordi) raggiunge l’apice nel coup de théâtre del discorso finale, a vittoria ottenuta: lo scrittore, nella crescente preoccupazione degli elettori, comincia a raccontare i dettagli e le bassezze della giornata appena trascorsa; soltanto con una decisione presa all’improvviso annuncia infine “che ciò che ha detto con tanta impetuosa e quasi mostruosa franchezza non è altro che il tema del suo nuovo libro”.
Per quanto riguarda la tematizzazione dei premi letterari, l’idea del soggetto ricorda, tra i riferimenti cinematografici, l’episodio La musa de I mostri (Risi, 1963). Tredici anni dopo Bellissima, in cui Maddalena utilizzava i suoi risparmi e la sua avvenenza per raccomandare la figlia, Zavattini elabora ancora un’idea attorno all’ambiguità delle strategie messe in atto per raggiungere i propri scopi all’interno di contesti spietati: là Cinecittà, qui il prestigioso premio letterario; Roma in ogni caso. Se in entrambe le storie la vittoria viene anelata sulla base di motivazioni che poco hanno a che fare con la pura sopravvivenza (Maddalena guadagnava bene, di Antonio sappiamo che non vuole tornare al paese per “guadagnare poco e sognare molto”), in Non c’è tempo da perdere non solo la vittoria viene ottenuta ma gli sforzi compiuti per raggiungerla acquistano un aspetto paradossale alla luce della moralità di facciata del giovane (il contenuto del suo romanzo, la madre che accende i ceri in chiesa). Il tema è ovviamente una costante in Zavattini (si veda la voce Morale di Mino Argentieri nel volume Lessico zavattiniano), rintracciabile anche in numerosi altri momenti della soggettistica, realizzata e non. Come chiosa Mazzoni: “qui il lavoro diventa pretesto per fare un’acuta e crudele satira di un mondo che fabbrica manifestazioni vuote e superficiali, che si trasformano sempre più spesso in luoghi di sottocultura, intrallazzi e interessi personali” (Mazzoni 1979: 21).
Za a Genzano nella casa del figlio Marco, anni Settanta (foto Mimmo Frassineti)
Per gentile concessione dell’Archivio Cesare Zavattini, Biblioteca Panizzi, Reggio Emilia