Si espone il progetto di un film a episodi sull’amore in Italia, attraverso un taglio critico che denunci le ipocrisie ancora imperanti nella società italiana dei primi anni sessanta. Gli episodi del film si ispirano alle migliaia di lettere scritte da donne di ogni parte d’Italia ai settimanali femminili, che lamentano l’ignoranza e il pregiudizio di una cultura maschilista.
Dati d’archivio. La cassetta con collocazione Za Sog R 31/1-5 è costituita da 563 pp., suddivisa in cinque cartelle. La cartella 1 contiene un soggetto: A) 1 p., L’amore in Italia, con sottotitolo «soggetto di Cesare Zavattini, Sceneggiatura di C. Zavattini e Carlo Musso, Regia di Carlo Musso», dattiloscritto e con firma di Zavattini. La cartella 2 contiene due scalette: A) 4 pp., Le italiane si confessano. Variazioni alla scaletta del treatment, dattiloscritto con note manoscritte; B) 7 pp., Le ital. si confessano, manoscritto, datato «23/11». La cartella 3 contiene due note di lavorazione: A) 1 p., «Riepilogo Bandini Zavattini», manoscritto; B) 4 pp., «Maselli», dattiloscritto. La cartella 4 contiene undici trattamenti dattiloscritti: trattamento A) 30 pp., «Copia di quella consegnata a Malenotti il 13.3.61», con note manoscritte; B) 42 pp., Le italiane si confessano. ii Trattamento, datato 16.2.1961, con timbro della Gesi Cinematografica; C) 14 pp., Le Italiane si confessano. Episodio pag. 27 e segg. (Carlo Musso), ciclostilato, datato 29.4.61, con la dicitura: «Per Cesare Zavattini da parte di Musso. Urgente»; D) 14 pp., Il ritorno, di Enzo Muzii e Piero Nelli; E) 32 pp., Le italiane si confessano, con note manoscritte; F) 32 pp., [stesso titolo], con molte note manoscritte; G) 50 pp., [stesso titolo], con 2 pp. manoscritte; H) 31 pp., [stesso titolo], con molte note manoscritte; I) 35 pp., [stesso titolo], rilegato, con molte aggiunte manoscritte, con l’annotazione: «Trattamento di Cesare Zavattini, con la collaborazione di: Baccio Bandini, Carlo Musso, Gabriella Parca, Giulio Questi», e con timbro della «GESI Cinematografica» nel 1961; L) 35 pp., [stesso titolo], rilegato; M) 47 pp., Le italiane e l’amore, rilegato, con note manoscritte, con timbro della Magic Film. La cartella 5 contiene sei sceneggiature dattiloscritte: sceneggiatura A) 31 pp., Le ragazze madri. Storia di Orietta Umile, con annotazione: «di Nelo Risi e Gaio Fratini»; B) 20 pp., Balera e prova d’amore; C) 31 pp., «F. Maselli, Le adolescenti per Le italiane e l’amore», con note manoscritte; D) 61 pp., «Florestano Vancini, Episodio Il tribunale per Le italiane e l’amore», con molte note manoscritte; E) 39 pp., «Musso», con firma di Carlo Musso, con note manoscritte; F) 16 pp., «Musso, Le italiane…».
Il soggetto unico di ACZ espone in modo conciso il progetto di un film a episodi (per la regia di Carlo Musso) incentrato sull’amore giovanile nella società italiana per mostrare i pregiudizi e le ipocrisie dei primi anni sessanta.
La scaletta A riporta in modo telegrafico 37 scene, presentandoci donne di varia età e provenienza: dalla moglie «meridionale», segregata dal marito, all’adolescente ingenua. Da una scena nel reparto maternità di un ospedale si passa alla situazione in cui alcune «bambine parlano in segreto» del parto. Le scene 14 e 15 sono ambientate in una balera con la cosiddetta “prova d’amore”; la scena 16 un «doppio suicidio d’amore» (p. 2); mentre la 18 è incentrata sulla prima notte di nozze, con la scoperta della «mancanza di verginità» (p. 2) della sposa. Nelle scene 24 e 25 si tratta del «reciproco adulterio di due coniugi borghesi» (p. 2). Le scene seguenti sono incentrate sulla «tarantata» (p. 2) e sui «mezzi magici per riconquistare il proprio uomo» (p. 2). Si passa al tema della separazione legale tra coniugi (con annullamento per omosessualità del marito). La scaletta prevede tre possibili finali: nel primo una ragazza calabrese fugge all’estero con un contrabbandiere per amore; nel secondo la moglie di un emigrato va a cercarlo all’estero e «trova un’altra donna accanto al marito. Si finge sorella di lui, […] e quando vanno insieme a prendere l’uomo che esce dal lavoro, lo uccide» (p. 3): una soluzione già presente nel precedente soggetto di Zavattini mai realizzato Braceros (1958), poi riadattata nel film I girasoli (Vittorio De Sica, 1970; si veda la scheda in questo volume). Il terzo finale in scaletta è «una conclusione ottimistica» (p. 4) di un matrimonio. La scaletta B aggiunge nodi tematici e culturali centrali per l’intero film: la «posizione incerta della donna tra schiava e libera» (p. 6); «la soggezione economica della donna» (p. 7); l’incapacità di ogni marito di «accettare un rapporto d’uguaglianza con la moglie» (p. 10); il pregiudizio che bolla «il lavoro autonomo della donna come guasto» (p. 10); la “moralità” del divorzio (p. 11).
Il trattamento A si apre con «un grido di protesta [lanciato da una donna]: “La Costituzione dice che noi siamo uguali all’uomo, ma la realtà è un’altra […] i padroni sono loro”» (p. 1). Si mostrano poi in rapida successione diverse figure di donna: dalla calabrese costretta dai genitori a sposare un uomo che non ama, alla emiliana obbligata dal marito a non lavorare, e alla contadina marchigiana vittima di violenze domestiche. Il trattamento A sviluppa vari personaggi e scene presenti nelle scalette: la balera (in un contesto emiliano); la donna “sfregiata” (nei vicoli napoletani); l’episodio dello stupro (subito da una dattilografa); quello della “tarantata”, con una citazione dell’antropologo Ernesto De Martino (pp. 13-14). Il trattamento B sviluppa A, ma sposta l’ordine degli episodi e ne aggiunge altri: l’amore infelice di una giovane vicentina per un ragazzo non vedente; la storia di una quattordicenne incinta di un uomo adulto; lo stupro di una dodicenne; la storia di una ragazza di Genova costretta a prostituirsi.
Il trattamento C è probabilmente opera di Carlo Musso, e si concentra esclusivamente sull’episodio da lui diretto, ambientato a Torino, con la scoperta da parte della ventitreenne Amelia dell’omosessualità del marito Renato e un disperato appello al divorzio da parte di lei. Il trattamento D, scritto da Enzo Muzii e Piero Nelli, si concentra su un episodio di stupro una notte d’agosto «sul lungomare della Versilia» (p. 87), poi tagliato in fase di montaggio del film.
Dal trattamento E al trattamento L si tratta di varianti scritte progressivamente da Zavattini. Tuttavia E precede B, visto che manca una corposa cancellazione: l’episodio di una giovane coppia borghese che per trasgredire dalla routine prova ad assumere della droga (un racconto che ritroveremo nell’episodio scritto da Zavattini Cocaina di domenica per il film Controsesso [1964; rinviamo alla scheda in questo volume]). H è successivo a E, approfondendone taluni episodi, come quello della “tarantata”. Il trattamento I riscrive l’episodio sull’educazione sessuale dei bambini. Il trattamento L (copia di I) elenca nel frontespizio, a p. 282, i registi cui affidare i vari episodi (alcuni poi non parteciperanno al film): Bolognini, Pontecorvo, Zurlini, Pasolini, Damiani, Petri, Strehler. Non compare invece il nome di Lorenza Mazzetti, il cui episodio sui bambini è inizialmente affidato a Pontecorvo. M, ultima variante di trattamento, reca per la prima volta il titolo del film, Le italiane e l’amore, pur mantenendo il sottotitolo Le italiane si confessano. Il trattamento M ricalca in buona parte I, ma introduce alcuni episodi inediti: delle ragazze di provincia arrivano a Roma per lavorare nel mondo dello spettacolo, ma sono vittime di uomini senza scrupoli; un adulterio viene commesso sia dal marito sia dalla moglie borghesi.
La sceneggiatura A, scritta da Nelo Risi e Gaio Fratini, riguarda le «ragazze madri» (episodio girato da Nelo Risi). La sceneggiatura presenta «la storia di Orietta Umile, una ragazza di sedici anni […] nativa di un piccolo paese della pianura padana […] venuta a Milano insieme al padre, per qualche mese occupata in piccole aziende. Poi il padre […] la costrinse alla prostituzione» (pp. 2-6). Rimasta incinta, la ragazza medita il suicidio, poi grazie allo psicologo di un centro di aiuto decide di tenere il bambino. Troviamo anche una lunga inchiesta statistica sulle ragazze-madri in Italia (pp. 17-31), condotta da Gaio Fratini presso il Villaggio della madre e del fanciullo di Milano. La sceneggiatura B accorpa due episodi prima distinti, quello della «balera emiliana» e quello della «prova d’amore». La sceneggiatura C riguarda l’episodio dell’ingenua adolescente Silvia che scrive nel suo diario i suoi primi impulsi d’amore, viene messa in guardia dal padre, e grazie a lui spiega che è «cambiata […] gli uomini non m’incantano più» (pp. 81-82). La sceneggiatura D riguarda La separazione legale, un episodio con due coniugi in procinto di separarsi, il legale che li sta assistendo, e il personaggio di un amico comune che sarà poi espunto dal film. La sceneggiatura E riguarda l’episodio Un matrimonio (poi diretto da Carlo Musso) e amplia il trattamento C. La sceneggiatura F riguarda lo stesso episodio, ma è più concisa: abbandona tutta la prima parte di E (ambientata a casa di Amelia e Renato), e si apre direttamente (come poi nel film) per le strade serali di Torino, con lei che sta pedinando il marito. Nel finale Amelia invoca il divorzio, ma aggiunge un pensiero di suicidio.
Pubblichiamo nel volume il soggetto unico e l’introduzione del trattamento M, e online le scalette A e B (manoscritta) e il trattamento M integrale.
Il film a episodi Le italiane e l’amore è tratto dal volume Le italiane si confessano, pubblicato nel 1959 dalla giornalista Gabriella Parca, selezionando «trecento tra le ottomila [lettere] arrivate nell’arco di tre anni alla piccola posta di due settimanali femminili “a fumetti”» (Parca 1977, p. V): lettere scartate dai direttori perché ritenute troppo scabrose, con autrici «operaie, donne di casa, contadine, domestiche, sartine, impiegate e studentesse» (Parca 19661, p. 4), un campione rappresentativo del mondo femminile italiano del proletariato e della piccola borghesia. Dal volume emerge un’immagine di donna tra pregiudizi e tabù, “imprigionata” in «una società fatta dagli uomini e per gli uomini [e] ossessionata dai problemi del sesso, inibita dai pregiudizi, insoddisfatta della propria vita […]: l’opposto dell’immagine tramandata da secoli, […] della donna tranquilla e serena nel suo ruolo di moglie-madre, quasi asessuata» (Parca 1977, p. VI).
Nel solco dei rapporti Kinsey sul comportamento sessuale di uomini e donne americani (Kinsey 1948; 1953), Le italiane si confessano desta scandalo e preconizza le principali battaglie femministe in Italia, quali l’abrogazione del reato di adulterio femminile (1969) e l’introduzione del divorzio (1970). Pasolini legge nella rimozione sociale della tematica sessuale (di cui sono vittima le donne autrici delle lettere) il sintomo di una società italiana «piena ancora di strati arcaici, di livelli culturali primitivi, tipici dei paesi sottogovernati» (Pasolini 1960, p. XVII). Il libro colpisce Zavattini per il metodo da inchiesta, che egli auspica si adotti nel nuovo medium televisivo. Zavattini si augura inoltre «che si formi presto un vero e proprio corpus di lettere degli italiani, lettere di domestiche, di emigranti, di militari, di impiegati, di pensionati, e che entri nelle biblioteche e nelle case», a dispetto di «quei signori che protestano contro chi all’estero mostra qualche piaga italiana, in quanto essi dicono che i panni sporchi si lavano in famiglia» (Zavattini 1959, p. XX).
Il produttore Maleno Malenotti, affiancato dal regista e produttore Baccio Bandini, comincia a imbastirne una trasposizione cinematografica, e propone il progetto dapprima a Federico Fellini poi a Zavattini, il quale è da tempo propenso a un film inchiesta sulla donna italiana. In una lettera a Bandini del 17 novembre 1960, Zavattini racconta di aver visto fallire un progetto di film inchiesta (diretto da Carlo Musso e prodotto da Carlo Ponti) sull’amore giovanile in Italia, probabilmente quello che pubblichiamo come soggetto conservato in ACZ: tale progetto confluisce nella proposta di Malenotti, coinvolgendo lo stesso Musso e, per volontà di Zavattini, anche Gabriella Parca. Da una lettera di Zavattini al giornalista Franco Calderoni del 24 novembre 1960, apprendiamo talune questioni da risolvere: «È incerto se lo chiameremo Le italiane si confessano o L’amore in Italia o Le italiane e l’amore; è certa la sua struttura e il suo senso, e che sarà diretto da alcuni giovani e molto qualificati registi». Nel gennaio 1961, Zavattini confessa che il progetto in questione porta avanti «lo stesso discorso» delle sue precedenti operazioni collettive Amore in città (1953) e Siamo donne (1953), precisando però che «questa volta cercheremo di articolarlo in maniera più moderna […] con un linguaggio vivo» (Zavattini in Kezich 1961, p. 37). A marzo 1961, Zavattini confida a Valentino Bompiani: «sto per terminare la stesura delle Italiane si confessano, ed ho la speranza che verrà fuori un film singolare, spregiudicato e utile» (Zavattini 2005b, p. 924). Il 25 settembre 1961, con il film già in fase di riprese, Zavattini fissa alcuni concetti chiave: «L’Harem. L’uguaglianza fittizia. L’ipocrisia matrimoniale (i figli ecc.). La fedeltà a priori (la chiesa). […] Il lavoro come libertà» (Zavattini 2023, p. 37). Come aveva teorizzato per il film mai realizzato Italia mia (1951), Zavattini spiega di aver «fatto questo film non proprio “ad episodi”, ma “a momenti”»: Le italiane e l’amore contiene infatti «delle storie brevissime, rasentate proprio […] dove ci sono le donne che in due parole riescono a fare capire il loro dramma, che è il dramma dell’emancipazione della donna italiana che si sta allineando insieme alle altre donne dei paesi più progrediti». È quanto Zavattini ribadisce in un’altra intervista: «non intendiamo fare i moralisti ma soltanto sottoporre una serie di problemi all’attenzione di tutti. […] È importante che la donna lavori; ciò le dà indipendenza, consapevolezza di sé e possibilità di infrangere preconcetti e usanze sorpassate» (Zavattini in Morandini 1962, p. 56). Zavattini realizza la selezione dei capitoli e delle lettere dal volume della Parca da trasporre in episodi cinematografici, mentre alla scrittura del soggetto più avanzato (non disponibile in ACZ) partecipano, oltre a Zavattini, anche Gabriella Parca, Gaio Fratini e Lorenza Mazzetti. Alla sceneggiatura collaborano molti altri, con Zavattini come supervisore, e l’aiuto di Bandini: Fratini e Nelo Risi (per l’episodio Ragazze madri); Mazzetti (ep. I bambini); Enzo Muzii e Piero Nelli (episodi La sfregiata e Il prezzo dell’amore); Sergio Perucchi e Francesco Maselli (ep. Le adolescenti); Giulio Questi (ep. La prima notte); Gianfranco Mingozzi (ep. La vedova bianca, consulente Ernesto De Martino); Marco Ferreri e Rafael Azcona (ep. L’infedeltà coniugale); Elio Bartolini e Florestano Vancini (ep. La separazione legale); Carlo Musso e Alberto Bevilacqua (ep. Un matrimonio); Luigi Cavicchioli e Giulio Macchi (ep. Il successo); Ottavio Jemma e Gian Vittorio Baldi (ep. La prova d’amore). Ogni sceneggiatore manda a Zavattini il suo lavoro per la revisione e l’approvazione finale.
A film già uscito nelle sale, Zavattini esaminerà molto criticamente parlando a Lorenzo Pellizzari i punti di forza e di debolezza dell’intero progetto: «L’idea iniziale per Le italiane e l’amore era buona […]. Capita che io difenda l’idea di adattare il libro di Parca, di rivivere alcuni dei suoi temi e di visualizzarli. È nato così un mix composto da un lato da alcuni elementi di vera e propria inchiesta – messa in scena da un punto di vista quasi esclusivamente televisivo – e, dall’altro, da alcuni elementi narrativi ricostruiti. […] Pertanto non ha la novità o la forza dirompente che dovrebbe avere. […] Le italiane e l’amore non è altro che un abbozzo levigato di temi importanti per la vita del Paese, temi che generalmente non vengono affrontati: ma questi temi non sono trattati né con la violenza né con l’approccio multidimensionale necessari» (Zavattini 1962c, p. 66).
Le riprese del film iniziano nel giugno 1961, accompagnate dalle aspettative della stampa (Selva 1961) e dalle dichiarazioni di Zavattini: «Si poteva fare il film con un solo regista, ma abbiamo preferito una équipe così numerosa perché il soggetto ha una unità morale sulla quale siamo tutti d’accordo. […] Ogni regista l’affronterà a suo modo, ma direttamente, in senso realistico». Nella rivista femminista «Noi donne» Zavattini spiega che il film è «un folto campionario di donne: […] tutte invocano aiuto, lumi, come delle sepolte vive tra pregiudizi oscuri, talvolta con l’omertà stessa del Codice. […] abbiamo inteso portare davanti a un vasto pubblico temi che la censura ha fin qui tentato di stornare» (Zavattini 1961, p. 38). Ancora Zavattini ricorda i criteri di scelta delle attrici, distinguibili in due categorie: «donne che i registi hanno fatto “recitare” […]; donne che i registi hanno incontrato svolgendo inchieste vere e proprie in diversi ambienti, e che rappresentano pertanto, schiettamente, se stesse» (p. 39). Nella squadra di registi va notata la scrittrice e documentarista Lorenza Mazzetti, salutata dalla critica come «la prima italiana che si sia messa in testa di dirigere un film» (Cambria 1961, n.n.); sulle pagine della rivista comunista «Vie nuove» la regista contesta l’istituzione del matrimonio e il «concetto di “peccato” imposto alle fanciulle» (Mazzetti 1962, p. 31) rispetto al rapporto sessuale.
Le italiane e l’amore, una coproduzione italo-francese che vede coinvolti Malenotti per la Magic Film (Roma) e la Consortium Pathé (Parigi), esce nelle sale il 22 dicembre 1961 per la regia di Risi (ep. Ragazze madri), Mazzetti (ep. I bambini), Nelli (ep. Lo sfregio), Maselli (ep. Le adolescenti), Questi (ep. Viaggio di nozze), Mingozzi (ep. Le tarantate o La vedova bianca), Ferreri (ep. Gli adulteri), Vancini (ep. La separazione legale), Musso (ep. Un matrimonio), Macchi (ep. Il successo), Baldi (ep. La prova d’amore). Come già detto, il film trasforma, accorpa o prende spunto da lettere e capitoli del libro di Gabriella Parca.
Diamo conto rapidamente di alcune trasformazioni del film rispetto alle sceneggiature esaminate. Il primo episodio (Ragazze madri) riprende e amplia la sceneggiatura A, ma cambia il finale: non vediamo il bambino già nato, bensì la giovane incinta che passeggiando per l’istituto che la ospita (tra bambini e partorienti) decide di non abortire. Il quarto episodio (Le adolescenti) ricalca la sceneggiatura C, anche per il lungo discorso paternalistico rivolto alla ragazza da suo padre, ma abbandona l’accettazione finale della protagonista chiudendosi invece con un suo sguardo pensieroso e spaventato. L’ottavo episodio (La separazione legale), con due coniugi che affrontano la propria separazione, riprende la sceneggiatura D ma aggiunge una sequenza finale: nonostante in tribunale arrivi il figlio bambino, i due procedono determinati nel loro proposito. Il nono episodio (Un matrimonio) riprende fedelmente la sceneggiatura F, sin dall’incipit con la protagonista che pedina il marito per le vie della città; tuttavia, rispetto alla sceneggiatura E, nel film il giovane amante del marito non appare più come un ribelle, ma un semplice ragazzo borghese. Il decimo episodio (Il successo) riprende dal trattamento M le figure del cronista (interpretato da uno dei registi del film, Giulio Macchi) e della ragazza di provincia giunta a Roma per provare la carriera di attrice (e qui ingannata e abbandonata), ma aggiunge dei personaggi inediti come una ragazza lasciata dal fidanzato per aver mandato le proprie foto a un’agenzia cinematografica. L’undicesimo e ultimo episodio (La prova d’amore) ricalca la sceneggiatura B, con una balera lungo il Po in cui un ragazzo meridionale chiede la “prova” alla giovane fidanzata settentrionale, ma quando infine lei si concede, lui glielo rinfaccia e la abbandona.
Alcuni critici ravvisano nel film Le italiane e l’amore certi antecedenti come La francese e l’amore (1960), film collettivo a episodi uscito in Francia, oppure il già citato L’amore in città (1953), per la capacità di «affrontare la “realtà obiettiva” con la macchina da presa» (Vollaro in Morandini 1962, p. 56). Morandini (1962, p. 56) contesta proprio «la formula del filminchiesta a episodi, fonte di superficialità, di frammentarietà, di disordine, […] e di mancanza di unità concettuale e di una base comune d’intesa [tra i vari registi]». Anche Sechi (1962, n.n.) giudica il film «una antologia di casi ovvi e superficiali [che] non scontenta nessuno […] ma che non ci dice nulla di nuovo sui rapporti tra i sessi». Si parla inoltre di un tentativo non riuscito di riproporre metodologie neorealistiche (Rondolino 1963), oppure si imputa a Zavattini l’orientamento populista e tendenzioso di un’inchiesta fondata su un campione inattendibile: «non le italiane e l’amore, ma certe italiane, in condizione di arretratezza morale e intellettuale: vittime predestinate dei pregiudizi e delle ipocrisie» (Lanocita 1962, p. 29). Per il periodico di destra «Il Borghese» il film sarebbe un inventario di «porcherie, sudicerie neorealistiche, retoriche social-sessuali della sinistra nazionale. Non un film-verità, quindi, ma una galleria di mostri dell’orrore» (Quarantotto 1962, n.n.). Il fronte conservatore accusa Le italiane e l’amore di anacronismo: «i “film inchiesta” andavano di moda qualche anno fa: ai tempi del secondo neorealismo […]. Questa volta, però, Zavattini si è lasciato prendere la mano dalla ripetizione e dall’esasperazione di una formula che, oltre a non essere più di moda non riesce ad approdare a nulla» (Rondi 1962a, p. 36). Il Centro Cattolico Cinematografico lo bolla come «Escluso» (CCC 1962b), e «L’Osservatore Romano» definisce il film come «un insieme di volgarità, di brutture, di miserie realizzato all’insegna della più bassa speculazione», lo accusa di marxismo e pornografia, anche perché si esprime «contro l’indissolubilità del vincolo matrimoniale […] per suffragare la necessità del divorzio» (Ciaccio 1962, n.n.). L’articolo indigna Zavattini e Malenotti, che sporgono querela nei confronti del giornale.
Le italiane e l’amore riscuote però anche notevoli apprezzamenti. Viene salutato come la «prima inchiesta cinematografica su uno dei più scottanti e attuali problemi della nostra società», nonché un appello a «risolvere i problemi secolari che fanno della nostra società una delle più tribali sulla faccia della terra» (Calderoni 1962, p. 92). Tra i più entusiasti sostenitori troviamo la stampa femminista, ma anche delle testate meridionali sensibili alle condizioni delle donne del Sud Italia sollevate da diversi episodi del film (Cavallaro 1962). Le italiane e l’amore costituisce inoltre un punto di riferimento cui Pasolini guarda per la realizzazione, nel 1965, del suo Comizi d’amore: un film-inchiesta girato con l’intento di far luce su aspetti quali la vita matrimoniale, le differenze tra i sessi, la gelosia, l’infedeltà, l’omosessualità, le perversioni, l’onore, la prostituzione. L’imbarazzo e l’ignoranza che emergono dalle risposte dei vari intervistati dimostrano – in modo alquanto simile a Le italiane e l’amore – come «la società italiana dell’epoca, a cavallo tra la rigida morale cattolica e i nuovi imperativi consumistici, non avesse ancora trovato un modo per raccontare e raccontarsi il sesso» (Porrovecchio 2018, n.n.), stagnando in uno stato di profonda arretratezza culturale e sessuale. Del film la critica del tempo coglie anche la «vocazione televisiva» (Cesareo 1962, n.n.), confermata più avanti da Gambetti che lo considera uno «dei progetti televisivi ante litteram di Zavattini […] (realizzabili cioè televisivamente, se ce ne fossero state le condizioni necessarie) […], in cui inchiesta, immediatezza, ricerca della realtà e contatto personale si fondono ben al di là di uno schematico film ad episodi» (Gambetti 2009, p. 230).
LL