Episodio La riffa. In una sagra a Lugo di Romagna, Ebo vende i biglietti per una riffa segreta, il cui premio in palio consiste nel trascorrere una notte con la bella Zoe, la quale ha accettato per guadagnare il denaro necessario a sposare chi vuole lei. Quella notte, tuttavia, Cuspet – il vincitore della riffa –, viene gentilmente respinto da Zoe, la quale mostra invece il suo amore per il paratore di buoi Geno.
Dati d’archivio. Collocazione Za Sog R 10/3/1-3 è costituita da 465 pp., in 3 cartelle. La cartella 1 contiene tre varianti di soggetto dattiloscritte: A) 2 pp., Boccaccio ’61, opuscolo ciclostilato il 26 ottobre 1960, con tagli e correzioni manoscritti; B) 1 p., La riffa, opuscolo ciclostilato il 9 dicembre 1961; C) 18 pp., Boccaccio 61 (Episodio De Sica-Loren), datato 19.7.61, con note e correzioni manoscritte, e con le ultime 2 pp. di note (dattiloscritte) al soggetto. La cartella 2 contiene due sceneggiature dattiloscritte: A) 92 pp., Boccaccio ’61 (episodio De Sica-Loren), con molte correzioni e aggiunte manoscritte; B) 116 pp., [stesso titolo], con nota: «Copia consegnata per ciclostilatura il 13.9.1961». La cartella 3 contiene due sceneggiature dattiloscritte rilegate: C) 118 pp., [stesso titolo], con note manoscritte; D) 118 pp., [stesso titolo].
Il soggetto A – variante più antica – espone l’intento dell’intero film: «raccontare dieci storie boccaccesche, […] in dieci città italiane» (soggetto A, p. 3). Attraverso «un ritratto festoso, satirico, pagano», il soggetto si propone di smuovere quella «sessuofobia [che] grava sopra il costume italiano» (p. 3). Vengono inoltre elencati i registi dei dieci episodi, da concepire come «vere e proprie barzellette, […] significative nella loro brevità […]: Antonioni, Blasetti, De Santis, De Sica, Fellini, Lattuada, Monicelli, Rossellini, Soldati, Visconti» (p. 4). Si prevede la possibilità di ridurre a sette gli episodi, e di affidarli non solo a registi affermati, ma anche a giovani emergenti. Il soggetto C (già strutturato come un trattamento) è la prima variante dedicata esclusivamente all’episodio filmico in questione. L’ambientazione si focalizza: «Settembre, grande sagra a Lugo di Romagna» (soggetto C, p. 1), e si definiscono i protagonisti e le loro relazioni: Ebo, «un uomo sui quaranta, magro, piuttosto piccolo, con una faccia tra il furbo e il deluso»; il premio in palio: una notte con Zoe, «una ragazza vestita di rosso […] vistosamente bella, sicura di sé» (p. 3); i diversi uomini che comprano uno o più biglietti, il vincitore della riffa («un povero mediatore […] brutto ma tanto buono», p. 12), e il giovane che invece farà innamorare Zoe. Il soggetto B – successivo a C – condensa quest’ultimo in una sola pagina, presentando per la prima volta il titolo definitivo La riffa. Il vincitore della lotteria diventa il vecchio «sagrestano del paese» (soggetto B, p. 3), il quale «vivrà felice e invidiato da quanti nutrono la certezza che Zoe è stata sua sia pure per una sola notte», mentre Zoe «sposerà il [suo amato] sorvegliante di tori» (p. 3).
La sceneggiatura A introduce vari personaggi inediti, a partire da Turàs – rozzo commerciante di bestiame – e i suoi vari “compari”, quali il Bas, Gigiasa e Calsèt. Come nel soggetto B, il vincitore Cuspèt è il sagrestano del paese. La sceneggiatura B integra le cassazioni e quasi tutte le aggiunte manoscritte della A, tra cui l’ambientazione iniziale al «mercato lughese del bestiame» (sceneggiatura B, p. 96). In una sequenza inedita – ripresa poi dal film –, troviamo Turàs e gli altri assistere in una trattoria all’estrazione del lotto in televisione. Turàs tenta poi di estorcere a Cuspèt il numero vincente, offrendogli fino a cinquantamila lire. La sceneggiatura B amplia il finale della variante A, con Zoe e Geno che «restano a guardarsi da lontano, immobili e pieni di desiderio» (p. 208), mentre Cuspèt viene portato in trionfo su un camioncino dai suoi compaesani. Una nota a inizio della sceneggiatura D specifica che i personaggi parlano in dialetto romagnolo, a eccezione di Ebo e la moglie Wilma – che parlano in italiano – e di Zoe, che ha un accento napoletano. Appare anche il personaggio di Gina, aiutante di Zoe, bruttina ma simpatica. Le sceneggiature C e D ci mostrano inoltre Cuspèt apprendere della sua vincita fortunata mentre è intento a portare in processione un altare votivo, con Turàs e altri che lo raggiungono per acquistargli il biglietto vincente. La sceneggiatura D presenta l’anziana madre di Cuspèt che lo aiuta a prepararsi per la notte con Zoe; prima del finale, dopo esser stata schiaffeggiata da Geno, Zoe ribatte fieramente: «Io sono una persona seria… libera, io vado con chi mi pare. Paratore… bifolco».
Il soggetto B e la sceneggiatura D vengono pubblicati nel 1962 da Carlo Di Carlo e Gaio Fratini (Zavattini 1962a, 1962b), il soggetto C nel volume curato da Caldiron (Zavattini 2006, pp. 222-229), mentre la sceneggiatura B da Enio Iezzi nel 2013 (Zavattini 2013).
Pubblichiamo nel volume i soggetti A e B e online il soggetto C.
Ispirato al Decameron di Boccaccio – che propone novelle di taglio spesso umoristico ed erotico (Menetti 1994) –, il film Boccaccio ’70 si propone come una raccolta di «dieci storie boccaccesche, cioè gioiose, libere, tipicamente italiane» (soggetto A, p. 3), da affidare a dieci registi, ambientate in altrettante città. Zavattini espone l’idea originaria del film già nel 1952 al regista spagnolo Luis García Berlanga, e la propone come film satirico a Carlo Ponti in una lettera del 18 ottobre 1960, però «Ponti ridusse le storie a quattro. Io ero per un numero maggiore […], mi battei perché della partita fossero Antonioni e Rossellini». La prima parte della lettera a Ponti viene pubblicata sotto forma di soggetto dal titolo Boccaccio ’61 in un opuscolo del 26 ottobre 1960 (in ACZ è il soggetto A, che pubblichiamo); nella seconda parte della lettera, Zavattini afferma l’esigenza di «lasciare carta bianca [ai vari registi coinvolti]. Circa i contenuti, si può saccheggiare sia nella realtà che nella letteratura, con stretto riferimento però all’oggi». Il titolo originario Boccaccio ’61 viene di lì a poco modificato, in quanto «c’era [l’Expo] Italia ’61 […] e qualcuno avrebbe potuto credere ad un rapporto ironico fra le due cose» (Zavattini in Di Carlo, Fratini 1962, p. 19). Nei mesi seguenti, Zavattini descrive le trasformazioni dell’idea originaria: «io ho dato l’idea […] e faccio il testo per De Sica e forse per Fellini» (Zavattini 2005b, p. 924); «ho immaginato una passeggiata attraverso le più importanti città italiane e alcune vicende amorose tipiche del nostro tempo […], una specie di moderno Decamerone» (Zavattini in Argentieri 1961, n.n.). Il film diventa infine uno «scherzo in 4 atti» – come li ribattezza Zavattini –, diretti rispettivamente da Monicelli, Fellini, Visconti e De Sica. Oltre a Ponti aderisce al progetto il produttore Tonino Cervi (Campana 1962).
De Sica racconta che Zavattini inizialmente pensa l’episodio come un adattamento di alcune novelle del Boccaccio: «ci piaceva la storia di Andreuccio da Perugia andato a Napoli a comperare cavalli, e anche quella della Marchesa di Monferrato che con un convito di galline […] reprime il folle amore del re di Francia» (De Sica in Di Carlo, Fratini 1962, p. 51). Abbandonata l’idea, Zavattini opta per «una delle tre o quattro storie che [aveva] già pronte» (lettera di Zavattini a Golino, p. 1.), tra le quali una storiella salace ispirata a una barzelletta luzzarese (Allora coprilo), a cui deve rinunciare per l’opposizione di Ponti. Altri episodi abbandonati sono L’ascensore – una donna e un uomo restano intrappolati in un ascensore, suscitando le gelosie del marito di lei – e Il neo-realista, in cui un marito chiede di filmare il tradimento della moglie a un cineamatore, scontrandosi però con il suo gusto estetico; dal progetto si elimina anche il racconto delle «tentazioni di un prete, il quale compie un peccato di gola» (Argentieri 1961, n.n.), molto simile al soggetto mai realizzato Don Antonio del 1954. Tra i soggetti sacrificati da Boccaccio ’70 troviamo infine La gelosa e Cocaina: il primo confluirà nel film collettivo Capriccio all’italiana (1968), il secondo in Controsesso (1964; si vedano le schede in questo volume). È Ponti a ricordare a Zavattini che a Trieste «una cassiera di un bar […] vendeva i biglietti ai clienti di una straordinaria lotteria in cui metteva se stessa come premio» (p. 2): si tratta di un fatto di cronaca che Bandini aveva suggerito mesi prima a Zavattini per Le italiane e l’amore (1961), bocciato perché non adatto a quel film. Come apprendiamo da una lunga lettera del 16 giugno 1962 all’avvocato Emanuele Golino, Zavattini riprende lo spunto ambientandolo dapprima a Torre Annunziata, poi ricorda «il mercato coperto del bestiame fatto dalla Cassa di Risparmio a Lugo [di Romagna]» (p. 3), visto nel documentario di Virgilio Tosi Un quarto d’Italia (1961). Il 7 luglio 1961 Zavattini è a Lugo: «Alle sei del mattino ero già davanti al cancello del mercato del bestiame […] l’altoparlante gridò che il mercato era aperto, duecento o trecento persone si buttarono dentro quasi di corsa, già le bestie erano pronte negli stalli ma muggivano e si agitavano […]. Le contrattazioni cominciano con un gran vociare in dialetto, il compratore e il venditore si prendono forte la mano, il mediatore fa dondolare queste mani, quando si lasciano separare l’affare è fatto. […] il veterinario in camice bianco si aggirava a sorvegliare […] questi paratori quando scaricano il bestiame dagli autotreni che fatica fanno; e sono a contatto del pericolo ogni secondo, però guadagnano bene; sono alti, robusti» (Zavattini 2002c, pp. 490-492). «In mezzo a quel chiasso da fiera mi nacque l’idea chiave» (pp. 3-4), scrive Zavattini, ovvero la storia di una ragazza «meridionale portata a Lugo dal vento delle fiere. […] andammo con Mimmo, l’autista di Ponti, a cercare dei bersagli e dei baracconi da fiera a Bagnacavallo, a Faenza, e infine a Riccione […] per sapere se le ragazze dei bersagli che giravano per l’Emilia potevano essere anche napoletane; seppi che c’erano ragazze d’ogni genere, domestiche, puttane, e anche ragazze per bene, fra le quali una che mette se stessa in lotteria, ci sarebbe potuta anche essere» (pp. 4-5). Dopo questa ricerca etnografica, Zavattini telefona a Ponti: «la storia la consideravo fatta» (p. 5). Zavattini consiglia quindi a De Sica di girare l’episodio a Lugo: «laggiù c’è gente ghiotta e buongustaia che ama i tortellini e le donne polpose». De Sica approva la scelta del paese, «adatto per il carattere della gente, per il suo gusto alle cose proibite, alla risata che ha dentro un sordo, pungente rancore», e anche «perché solo qui sanno fare autentiche pazzie per una bella donna» (De Sica in Di Carlo, Fratini 1962, p. 51). Il 19 luglio 1961, dieci giorni dopo il sopralluogo a Lugo, è pronto il soggetto dell’episodio (soggetto C in ACZ); nelle note allegate al soggetto, tuttavia, Zavattini mette in guardia dal «pericolo che la storia possa insabbiarsi in un bozzetto strapaesano». Il titolo definitivo, La riffa, compare nel soggetto ciclostilato il 9 dicembre 1961 (soggetto B).
A Zavattini va riconosciuta l’idea generale del film Boccaccio ’70 e la scrittura dell’episodio La riffa, mentre gli altri episodi impegnano altri sceneggiatori. Il soggetto di Renzo e Luciana – tratto dal racconto di Italo Calvino L’avventura dei due sposi (Calvino 1958) – è opera di Suso Cecchi D’Amico (con il titolo iniziale Gli sposi della domenica) (Cecchi D’Amico 1961), ma il trattamento è di Giovanni Arpino (1962). Cecchi D’Amico partecipa inoltre – con Visconti – al soggetto e sceneggiatura de Il lavoro, tratto a sua volta dal racconto del 1883 di Maupassant Sul bordo del letto. Fellini, Ennio Flaiano e Tullio Pinelli, infine, scrivono il soggetto de Le tentazioni del dottor Antonio, coadiuvati in fase di sceneggiatura da Brunello Rondi e Goffredo Parise.
Le riprese del film iniziano con la regia di Fellini il 30 maggio 1961 (Locatelli 1961), mentre l’ultimo episodio a venir girato è La riffa, con inizio il 13 settembre 1961. Per il ruolo di Zoe viene scelta Sophia Loren, la quale accetta soltanto a condizione di essere diretta da De Sica e di lavorare su un soggetto di Zavattini. Il ruolo di Turàs viene affidato all’attore non professionista Tano Rustichelli, di mestiere “paratore” di buoi, scoperto da Zavattini nel suo primo sopralluogo a Lugo. Il 18 ottobre si gira la scena del mercato del bestiame, e le riprese del film terminano a fine ottobre.
Boccaccio ’70 viene presentato in prima mondiale a Milano il 22 febbraio 1962, coprodotto da Ponti, Cervi, Concordia Compagnia Cinematografica e Francinex – Gray Film, con distribuzione Cineriz. Il 7 maggio il film inaugura il xv festival di Cannes, privo tuttavia dell’episodio di Monicelli. Il quarto atto del film, La riffa di De Sica, ricalca fedelmente la sceneggiatura D conservata in ACZ, amplificando le connotazioni fisiche e caratteriali dei vari personaggi.
Boccaccio ’70 suscita «più perplessità che consensi sia nel pubblico sia nella critica» (Caldiron in Zavattini 2006, p. 233). Una delle critiche più frequenti è l’incongruità del titolo (Chiaretti 1962): «il film ha ben poco di Boccaccio. Non basta esaltare l’amore e fare dell’ironia sui bigotti» (Campana 1962, n.n.). La riffa viene però considerata «l’episodio più “boccaccesco” del film. […] una storia che Zavattini deve aver scritto a Luzzara, […] con i cinque sensi, tanto vivi si avvertono in essa l’odor del bestiame, il sapor dei cibi e dei vini, la soda presenza delle carni giovani e vogliose» (Castello 1962, p. 22). Liliana Cavani vede nel «film-novelliere» un’efficace rivisitazione del Decamerone, che acclara l’immutabilità degli umani «costumi immorali» (Cavani 1962, n.n.). Giovanni Grazzini, invece, accusa il film di riproporre «il vieto cliché di un Boccaccio tutto amoroso e piccante. […] Zavattini non va ormai al di là dell’aneddoto» (Grazzini 1962, n.n.). Al film si rimprovera inoltre la disomogeneità dei quattro episodi (Biondi 1962).
Le critiche negative vengono amplificate dal fronte cattolico, che bolla il film come «escluso» (CCC 1962a), accusandolo di aver ripreso da Boccaccio solo «lo spirito licenzioso e grassoccio» (Castellani 1962, n.n.). Per alcuni «nel film […] l’irriverenza ha qualcosa di compiaciuto, di maligno», e gli episodi maggiormente stroncati sono quelli di De Sica e Fellini: «L’episodio di De Sica è una storia sbracata, piena di sottintesi equivoci, di scurrilità malcelate [che] riproduce una Romagna falsa […] esaltando [solo] la sensualità»; «l’episodio felliniano è un libello cattivo, acre, sgradevole» (Rondi 1962b, n.n.), anzi «vendicativo» (Rondi 1962c, n.n.). Anche il fronte critico comunista bolla il film come «il Decamerone del neocapitalismo» (Casiraghi 1962, n.n.), ma ravvisa ne La riffa «il più “boccaccesco” degli episodi» (Savioli 1962, n.n.), nonché «una sanguigna favola zavattiniana» (Trombadori 1962, n.n.). Vi è chi percepisce ne La riffa un infiacchimento della vena creativa zavattiniana e una degradazione della scrittura neorealistica (Ferrero 1976).
In tempi più recenti, Boccaccio ’70 va incontro a una rivalutazione critica. De Santi riconosce a La riffa il merito di porre «in relazione (ma anche in dissonanza) il sacro con il profano ma anche l’impulso naturale con le regole della società del boom economico» (De Santi 2003, p. 124). Brunetta osserva invece che «Boccaccio ’70 raccoglie un poker di episodi degni di occupare un posto d’onore nella filmografia dei rispettivi cineasti» (Brunetta 2007, p. 359). Lo stesso Zavattini tornerà sul film, con un forte spirito autocritico: «ogni volta che faccio Boccaccio ’70 o altre cose simili, faccio solo un compromesso, una corruzione professionale che mi fa soffrire» (Zavattini in Rondi 1975, p. 42). Già dal 1963 Zavattini medita di girare un seguito del film aggiornato ai tempi moderni, ipotizzando anche possibili titoli, quali Boccaccio 2000, o Boccaccio dei giovani (Zavattini 2023, pp. 63, 79).
LL