In una villetta semiabbandonata nella periferia di Roma, ogni settimana, Giulia e Antonio si incontrano segretamente all’insaputa delle loro famiglie. Un giorno, la presenza di un leone di fronte alla porta impedisce loro di tornare a casa, mettendo a rischio la loro copertura. Tra un litigio e l’altro escogitano soluzioni, e alla fine riusciranno a fuggire di nascosto.
Dati d’archivio. Collocazione Za Sog R 21/1 contiene quattro varianti di soggetto, rispettivamente: A) 13 pp., Il leone, dattiloscritto, con poche correzioni formali e grammaticali a penna, e una dicitura in rosso nella prima pagina recitante «sketch» (p. 1); в) 13 pp. dattiloscritte con le stesse correzioni sempre a penna; c) 13 pp. dattiloscritte ancora con le medesime correzioni; D) 11 pp. dattiloscritte con note e correzioni manoscritte a penna e una dicitura in prima pagina, fra parentesi, che recita «buona» (p. 40).
I quattro soggetti dell’episodio Il leone – confluito nel film Le coppie (Monicelli, Sordi, De Sica, 1970) – risultano praticamente identici. I soggetto D, anche se la dicitura «buona» lo fa sembrare la versione definitiva, è invece una versione antecedente alle tre copie, poiché le molte note manoscritte in vengono riprese dattiloscritte nelle altre versioni. Forse si indica una versione avanzata del soggetto rispetto al passaggio da una fase di «prima idea» (Zavattini 2022b) a una forma più compiuta in via di realizzazione, a cui seguirà una riscrittura più approfondita. Le versioni A, a e c sono in effetti copie, che riportano a mano le stesse note manoscritte negli stessi punti.
Pubblichiamo nel volume il soggetto A. Pubblichiamo online il soggetto D.
Già all’inizio degli anni sessanta Zavattini riporta nei suoi diari una «discussione sul leone» (Zavattini 2023, p. 68) che potrebbe essere una prima idea alla base del soggetto divenuto l’episodio diretto da De Sica di Le coppie (Monicelli, Sordi, De Sica, 1970). Ancora nei diari di Zavattini, un’apparizione più ufficiale si trova all’inizio dell’anno di uscita del film, all’interno delle tipiche lunghe liste di progetti cinematografici in progress – scritte spesso nei periodi di passaggio, come quello tra un anno e l’altro – con un titolo che recita: Il leone (Zavattini 2023, p. 231).
Anche se appare poco presente nelle corrispondenze con De Sica e con i diversi sceneggiatori, De Santi ricorda che «il soggetto di Il leone era tra quelli che stavano più a cuore a Lavattini […] la vicenda dei due amanti che non riescono a uscire dalla villa dove convengono per i loro incontri, è di quelle che accendono la fantasia in investimenti surreali» (De Santi 2003, p. 169). Questa idea inizia a essere presa in considerazione per il film prodotto da Hecht Lucari che però, prima di coinvolgere Zavattini, prevedeva un semplice nucleo “binario” composto da uno scambio equo tra Il frigorifero (diretto da Monicelli, con Monica Vitti ed Enzo Jannacci) e La camera (diretto da Sordi, anche attore protagonista), ovvero due episodi speculari e di equa durata (40, 50 minuti a testa) (De Santi 2003, p. 168). Lo sketch scritto da Zavattini viene inserito perché la produzione vuole un terzo episodio – aggiunto per questioni di minutaggio – e impone la direzione di De Sica. Rodolfo Sonego a proposito ricorda: «Il leone è una sciocchezza di Zavattini. Cesare aveva un difetto: non sapeva mai dire di no. Non voleva perdere un’occasione. Erano andati da lui perché per contratto il terzo episodio del film doveva essere diretto da De Sica. “Cesare, ce l’hai un episodio?”. “C’è un leone fuori dalla porta di casa. Sullo zerbino. E allora la nostra coppia non sa più cosa fare. C’è il leone fuori e la coppia dentro…”. “Cesare, ma che [c…] dici?”. “No, no, no!!! Non avete capito. Il leone è una metafora del mondo di oggi”. De Sica era affranto: “Con Cesare non si può più parlare”. E Zavattini finì con lo scrivere una di quelle stronzate […]. Andando avanti nel mestiere si era messo in testa di essere infallibile» (Sonego in Sanguineti 2015, p. 295). A differenza di Sonego, per De Santi il problema sta nell’adattamento dell’idea di Zavattini che, nella sua versione embrionale, era invece «graffiante e solida» (De Santi 2003, p. 169), un’intuizione che purtroppo si trova a fare i conti «con i contingenti bassi del linguaggio dei film a episodi, epigoni della commedia all’italiana» (p. 169).
Il leone − sceneggiato da Ruggero Maccari, Rodolfo Sonego e Stefano Strucchi − porta squilibrio all’originario nucleo “binario” del film, anche perché ha una durata diversa rispetto agli altri due episodi (meno di 20 minuti) e prevede entrambi gli attori, Monica Vitti e Alberto Sordi, insieme in scena. Anche se sembra una scelta di chiusura a coronamento e sintesi del film, essa non viene accolta come tale dalla critica rimanendo uno sketch satellitare, che nella versione francese viene addirittura tagliato (Bernardini, Gili 1990, p. 240), mentre in alcune versioni la regia è firmata Elmo De Sica (Gambetti 2009, p. 276). Il risultato è «l’assenza di inventiva − nel senso di un evento che ci si presenti in una sua determinazione e istanza, strano però reale − o un’inventiva non attraversata dalla crudeltà dei corrispettivi esemplari surrealisti e nemmeno dalla innocenza zavattiniana. Diciamo che la potenzialità degli spunti presenti nella sceneggiatura eccede i margini della poetica desichiana del tempo» (De Santi 2003, p. 169). Quello che rimane, per De Santi, è «uno sketch spietato e illuminante, questo ideato da Zavattini: rovinato dai due interpreti, pesi massimi della commediaccia all’italiana che giocano a rubarsi i primi piani del tutto dimentichi di lavorare con uno dei maestri della storia del cinema. Ne sarebbe potuto uscire un breve film di impianto buñueliano − il pensiero può correre facilmente a L’angelo sterminatore (1962) − con la crudeltà metafisica ingentilita nell’umorismo e nella satira» (p. 169).
La ricezione critica non è positiva: negli anni settanta Kezich (1977b, n.n.) lo stronca sostenendo che «arriva in ritardo: la formula è logora, la struttura risulta pretestuale e i motivi di fondo non esistono», mentre oggi il film viene ricordato come «frutto tardivo di una commedia all’italiana in via di esaurimento» (Della Casa 1982, p. 59).
A sostegno della tesi difensiva di De Santi, tra il soggetto e il film realizzato le differenze sono numerose e probabilmente motivate da questioni progettuali. I due protagonisti, sempre Giulia e Antonio, sono rispettivamente napoletana e romano, a sostegno di una struttura che differenzi le rappresentazioni regionali (dopo i protagonisti sardi a Torino del primo episodio e l’operaio di Terni in costa Smeralda nel secondo). A scoprire la presenza del leone è lei (con annessa rottura del vestito) e non più lui, ma la dinamica per cui lei ha paura più di essere scoperta, mentre lui più di essere aggredito, rimane invariata. L’ortolano del soggetto diventa il pescatore del film, molto meno rilevante. La villetta diventa di proprietà del commendatore – del quale il protagonista pare essere un sottoposto – e viene usata senza farglielo sapere. Questo comporta l’assenza di tutta la parte in cui vengono interpellati l’amico del protagonista e i cacciatori, tra cui il marito della donna, che nel soggetto si presentano davanti a casa. Nel film invece il leone scappa quando i due, a quattro zampe come animali, iniziano a urlarsi in faccia degli sboccati insulti personali. L’animale viene poi ucciso da dei cacciatori (chiamati però dai carabinieri e non dai due protagonisti). I due amanti nel film alla fine si ricompongono e si danno appuntamento alla settimana successiva, mentre nel soggetto di Zavattini, oltre a dover fare i conti con una folla davanti a casa insieme alla televisione, riescono a scappare camuffati, proprio quando il marito di lei troneggia ignaro sul cadavere del leone.
AS