Il ricco Gold decide di travestirsi da povero e di scambiarsi i ruoli col mendicante Blim, con il proposito di donare un’ingente somma di denaro a colui che compia un gesto di carità verso di lui. I due vivono numerose peripezie, inseguimenti e scambi di identità fino a quando Gold riceve la carità da parte dell’ignaro Blim. Lo premia e Blim può coronare il proprio idillio d’amore con la giornalaia Anna.
Dati d’archivio. Catalogata tra i soggetti non realizzati (collocazione Za Sog NR 3/9) troviamo la fotocopia (incompleta e non numerata, e in 2 pp.) del soggetto scritto da Cesare Zavattini e Giani [Giaci] Mondaini, pubblicato sulla rivista «Quadrivio» (Zavattini, Mondaini 1934) col titolo Buoni per un giorno. Presso ACZ è presente anche la fotocopia integrale (26 ritagli in fotocopie) dell’intero soggetto uscito su «Quadrivio» (ACZ Cart. rosse 405bis), ma non sono presenti scalette, né trattamenti o sceneggiature.
Seppur archiviato con la dicitura «soggetto», ci troviamo di fronte a un autentico trattamento, come si desume dall’introduzione pubblicata su «Quadrivio»: «Siamo lieti di pubblicare questo scenario – prima che sia tradotto in pellicola – per un film umoristico, dovuto a Cesare Zavattini e a Giani Mondaini. […] pur mantenendo integro il suo carattere di “Scenario” abbiamo soppresso quelle indicazioni che ingenerano confusione nel lettore poco esperto. Abbiamo però lasciate scritte quelle indicazioni tecniche più chiare, come ad esempio: di fronte, di lato, dall’alto, le quali rivelano la posizione della macchina da presa, di fronte all’azione» (in Zavattini, Mondaini 1934, p. 3). L’accezione di «scenario» propostaci dai redattori di «Quadrivio», più che al “soggetto” rimanderebbe semmai alla categoria terminologica – in lingua francese – di scénario, ossia di trattamento, o, meglio ancora, di sceneggiatura. L’azione del racconto prende avvio all’alba «alla periferia della grande città» (Zavattini 2006, p. 5). Il primo protagonista a entrare in scena è il giovane mendicante Blim, innamorato di «Anna, la piccola giornalaia dell’edicola» (p. 5). Il racconto presenta altri personaggi minori: il borsaiolo e il poliziotto, ma anche un suonatore ambulante o il guardafili del telefono e il giardiniere municipale. A partire da un’illustrazione di un libro di fiabe che un bimbo tiene in mano si innesca la storia, con il sogno di Gold che lo convince a travestirsi da povero e a premiare colui che gli farà un’elemosina: un proposito subito messo in circolazione con un passaparola, fino a comparire sulla prima pagina del quotidiano locale. Iniziano delle peripezie da slapstick comedy, in cui incappano Blim e Gold che si sono scambiati l’abito, innescando così una serie di equivoci. La sequela di inseguimenti e peripezie culmina nella sequenza finale, in cui Gold in un luna-park riceve inaspettatamente l’elemosina proprio da Blim, e gli dona un pacco di «biglietti da mille», rivelando la propria identità. Blim, Anna, Gold e gli altri personaggi principali salgono poi «sul tapis roulant del toboggan […] perdendosi fra le nubi» (pp. 28-29).
Uscito per la prima volta nell’agosto 1934 su «Quadrivio» con il titolo Buoni per un giorno (Zavattini, Mondaini 1934), il trattamento viene ripubblicato da Orio Caldiron nel 2006 (Zavattini 2006, pp. 5-29). La sceneggiatura viene invece pubblicata – col titolo definitivo Darò un milione – tra agosto e settembre 1935 su «Cinema illustrazione» (Mondaini, Patti, Perilli, Zavattini 1935a, pp. 4-5), e a settembre 1935 anche sul supplemento mensile di «Cinema illustrazione» (Mondaini, Patti, Perilli, Zavattini 1935b).
Pubblichiamo nel volume il soggetto di «Quadrivio» (e di Zavattini 2006) e online le pagine originali di «Quadrivio», con alcune testimonianze di Zavattini sulla collaborazione con il regista Camerini nella stesura di Darò un milione (ACZ Cart. rosse 405).
Seppur archiviato in ACZ , con il titolo Buoni per un giorno, fra i «lavori cinematografici non realizzati», da questo soggetto viene tratto il film Darò un milione (Mario Camerini, 1935). Buoni per un giorno è uno dei primi soggetti scritti da Zavattini per il cinema, nel 1934, anno che vede Angelo Rizzoli affidare allo stesso Zavattini la direzione di «Cinema illustrazione», dopo la prova compiuta da quest’ultimo – sempre nel 1934 – con la scrittura del soggetto Cinque poveri in automobile, realizzato soltanto nel 1952 per la regia di Mario Mattoli, in quanto a suo tempo acquistato da Rizzoli ma rifiutato da Camerini per una presunta assenza di trama (Caldiron in Zavattini 2006, p. 29).
Camerini sostiene che il soggetto Buoni per un giorno proviene da un omonimo racconto/novella di Zavattini (Camerini 1980, p. 7); tuttavia, un’accurata ricerca fra la nutrita produzione di racconti zavattiniani, editi e inediti, non suffraga tale ipotesi. Certo è però che, nell’agosto 1934, Zavattini scrive con Giaci Mondaini – umorista e disegnatore del rizzoliano «Bertoldo» – il soggetto Buoni per un giorno, per poi rielaborarlo da solo, come egli stesso conferma in un’intervista dell’agosto 1936: «Nella redazione definitiva di questo soggetto rimasi solo. Il mio vero lavoro, del quale posso assumere piena e intera la paternità è […] il soggetto che fu pubblicato in “Quadrivio”» (Zavattini in Masto 1936, p. 152). Nel 1935 la società cinematografica di Angelo Rizzoli, Novella Film – nata da poco più di un anno e con al suo attivo una sola pellicola, La signora di tutti (Max Ophuls, 1934) – acquista il soggetto originale Buoni per un giorno, producendo il film con il titolo Darò un milione, affidandone la regia a Camerini e la sceneggiatura allo stesso Zavattini, oltre che a Ercole Patti e Ivo Perilli.
Buoni per un giorno/Darò un milione costituisce l’opera maggiormente rappresentativa dell’“epoca milanese” di Zavattini (Zavattini in Gambetti 2009, pp. 110-111). Nella sua corrispondenza epistolare, Zavattini torna più volte sulla genesi dell’idea originaria, a partire da una lettera a Carlo Bernari di fine 1934: «In questi giorni sto alla vigilia di qualche cosa: credo che alla fine del mese saprò il mio destino cinematografico» (Zavattini 2005b, p. 65). In una lettera del 1934 all’editore e amico Valentino Bompiani, Zavattini scrive poi: «ieri sera a Canzo a veder girare il film e siamo tornati alle 3. Sto lavorando in ufficio come un asino. […] Ho avuto altre 300 lire d’aumento al mese ora, ma non sono sufficienti né corrispondenti all’enorme lavoro che faccio. […] So di valere, di fare il mio mestiere come i migliori e di essere in quella casa il solo che può avere idee, dividersi tra l’industria e l’ideale» (pp. 610-611). Il film cui allude Zavattini è per l’appunto Darò un milione: dopo l’acquisto del soggetto Buoni per un giorno da parte di Rizzoli, Zavattini si ritrova a scrivere la sceneggiatura insieme a Camerini, Patti e Perilli nella villa rizzoliana a Canzo (vicino a Como). Il ritiro per la stesura è rievocato anche da una testimonianza di Camerini, dalla quale trapelano peraltro i non pochi contrasti che insorgono tra lui e Zavattini: «Darò un milione era una storia molto piacevole, ma secondo me non conteneva gli elementi per farne un film. E ricordo che, invitati da Rizzoli, andammo a Canzo […] e ci inventammo noi stessi una storia, quella che poi rimase nel film» (Camerini in Savio 1979a, p. 213). I dissapori tra Camerini e Zavattini sono confermati anche da quest’ultimo in un’intervista rilasciata a Gambetti, in cui ricorda di aver «litigato con Camerini: mentre Camerini era abituato ad avere tutti ai suoi piedi, era considerato un maestro, io avevo avuto un grosso scontro per Darò un milione, lui se l’era legata al dito. Non è mai stato mio amico» (Zavattini in Gambetti 2009, p. 112). Lo scoglio maggiore con cui Zavattini si trova a fare i conti risulta la personalità autoriale di Camerini, come testimonia il cosceneggiatore Ercole Patti: «fu una cosa penosa. Ora fra Camerini e Zavattini c’era un abisso di vedute. E io che dovevo fare da trait d’union fra questi due. A un certo punto succedeva l’ira di Dio. Camerini cominciava a dire “A me questa roba non mi fa ridere per niente”. E a questo punto Zavattini quasi piangendo “Io invece rido moltissimo”. […] Darò un milione è il più zavattiniano dei film di Camerini perché [egli] ha fatto degli sforzi per avvicinarsi a Zavattini […] ci furono delle liti furibonde a Canzo». Un ruolo di mediatore tra i due viene giocato anche dall’altro cosceneggiatore del film, Ivo Perilli (Perilli in Savio 1979c, p. 918).
Nella prima pagina del Diario cinematografico, datata 8 febbraio 1940, Zavattini testimonia inoltre talune divergenze sorte in quell’occasione tra Rizzoli – che «credeva nel film comico e negli attori di varietà» – e Camerini, convinto che i comici fossero persone da evitare e «che il “ridere ridere” fosse in decadenza» (Zavattini 2002c, p. 29). È ancora Zavattini a evidenziare la netta discordanza di Camerini con la propria poetica di allora: «Io tendevo a dare al soggetto una sua manifestazione comico-umoristica fra Chaplin e Clair […]. Io volevo, a ogni costo, che [Camerini] portasse la commedia più verso il freddo Nord. Tanto è vero che a me non andava il bravo Almirante, io volevo che prendesse Buster Keaton. […] Venivo dal mio primo libro che era già nell’ordine di un umorismo diverso dal suo. E, insomma, mi impuntai e sbagliai perché lui era il regista. Era inutile che mi battessi. Tanto è vero che una mattina, solennemente, in presenza degli altri collaboratori, mi mise un aut aut, e io fui sconfitto». Camerini manifesta subito le proprie perplessità sul soggetto edito su «Quadrivio», affermando che «il film deve essere un racconto, non si può fare un film solo su due uomini che corrono e scappano e non si fermano mai» (Camerini 1980, pp. 7-8). Il soggetto zavattiniano viene quindi criticato da Camerini: «Fu proprio la pagina di “Quadrivio” che Camerini lesse. E ricordo che, agitando il foglio, disse freddamente: “Qui non c’è una sola cosa che faccia ridere. […] E poi qui ci vuole una trama”. Mi avvidi con terrore che ci divideva una terribile diversità di natura. Camerini, infatti, ha un concetto della comicità che io definirei tradizionale, fatta di sentimentalismo, di realismo appena appena spinto […]. Impossibile ad essere adeguato al concetto mio, che è quello di una comicità sottile, che dà nell’astratto e nel lirico […]. A me pare che il film comico moderno possa anche esser privo di trama narrativa, dialogata, cronologica, consequenziale». Solamente quando il film uscirà nelle sale, Camerini avrà in parte modo di ricredersi, come ricorda Zavattini: «quando poi a Venezia fu dato il film, e ci furono alcune risate in alcuni punti nei quali la mia invenzione non aveva fallito, Camerini mi venne a cercare e mi disse: “Ci avevi anche tu la tua parte di ragione”» (Zavattini 2006, p. LVIII ).
Nel tribolato rapporto con Camerini un ruolo rilevante viene giocato anche da Mario Soldati, con il quale Zavattini visita le riprese del film: «Conobbi Soldati a Roma nella primavera del 1935. Subito dopo andammo a Verona insieme, con la troupe di Camerini. Camerini aveva reclutato tutti i poveri di Verona per la scena dei poveri sulla giostra, il finale di Darò un milione. […] Soldati aveva voglia di confidarsi ma io lo odiavo perché mi era stato avversario nelle polemiche con Camerini» (Zavattini 2002c, pp. 50-51). Le incompatibilità artistiche tra Zavattini e Camerini riaffioreranno in occasione della seconda e ultima collaborazione ufficiale tra i due: il film L’angelo e il diavolo (1946), per il quale, come per Darò un milione, Zavattini lamenterà un indebito stravolgimento e peggioramento del proprio soggetto da parte del regista (Zavattini 2005b, p. 139).
Nonostante la collaborazione alla sceneggiatura, Zavattini considera infatti Darò un milione un sostanziale travisamento delle potenzialità comiche del soggetto, come conferma anche Giuseppe Marotta: «Suppongo che il mio vecchio Cesare [Zavattini] non ricordi volentieri di aver partecipato alla sceneggiatura della propria trama, che fu principalmente eseguita da Camerini e dai suoi. […] Darò un milione risultò composto di pochi preziosi attimi in cui l’intelligenza e la sensibilità degli spettatori doveva trasalire, e di molti lunghi brani imparentati con la più volgare farsa; quei rari momenti, quelle virgole di poesia, quelle strenue code di lucertola che staccate dal corpo continuavano a vibrare, erano di Zavattini» (Marotta 1948, pp. 21-23).
Darò un milione segna inoltre la prima collaborazione – seppur in forma indiretta – tra Zavattini e Vittorio De Sica: «quando come attore De Sica aveva girato Darò un milione, non ci eravamo neanche conosciuti, pur essendo […] sul set a Verona. Quindi scambio di cordialità e di simpatia, c’era anche un fondo d’interesse» (Zavattini in Gambetti 2009, p. 114). Sarà infatti soltanto nel 1939 che Zavattini conoscerà meglio De Sica, a Milano, attraverso il critico teatrale Adolfo Franci.
Uscito nel 1935 per la regia di Mario Camerini, il film Darò un milione presenta i seguenti titoli di testa: «Racconto di C. Zavattini e G. Mondaini; Sceneggiatura di M. Camerini, I. Perilli, C. Zavattini». Darò un milione racconta la storia del giovane miliardario Gold (Vittorio De Sica), il quale, stanco della propria sontuosa esistenza e dell’ambiente frivolo dell’alta società in cui vive, si getta dal proprio panfilo, con l’intento di suicidarsi in mare. Desistendo da tale proposito, egli mette in salvo un vagabondo di passaggio, Blim (Luigi Almirante), anch’egli gettatosi in acqua con il proposito di farla finita. Gold decide allora di scambiare i propri abiti con quelli del barbone, promettendo che ricompenserà con un milione chi compirà un’azione di bontà gratuita nei suoi confronti (sotto le sue attuali spoglie di straccione). La notizia, propagata dalla stampa, induce le persone della città a una gara di carità “pelosa” verso tutti i poveri della città, sotto i cui stracci può celarsi il munifico milionario. Mentre si scatena una caccia al misterioso benefattore, Gold incontra Anna (Assia Noris), una dolce impiegata di un circo equestre disposta ad amarlo disinteressatamente. Con lei il milionario ritrova fiducia nella vita, e la conduce con sé sul proprio panfilo. Se tra i personaggi principali del soggetto di «Quadrivio» trovavamo: «Blim, giovane e povero. Gold, molto buono e ricchissimo. Anna, 17 anni, quasi 18. Il Marito, grande, grosso, geloso. Il Poliziotto. Il Borsaiuolo » (Zavattini, Mondaini 1934, p. 3), nel film Darò un milione alcuni personaggi scompaiono, ad esempio il poliziotto e il borsaiolo, e ne troviamo di nuovi: in particolare il direttore del circo e il direttore del giornale, il quale viene in qualche modo a sostituire, nei caratteri e nel tradimento amoroso del quale finisce vittima, il marito geloso di Buoni per un giorno.
Come spiega Germani, «che il film non respinga populisticamente la ricchezza lo testimonia già l’inizio: il povero e il miliardario si ritrovano in mare dopo aver tentato contemporaneamente, non si sa con quanta convinzione, il suicidio»; il seguito offre poi «uno scatenamento rizzol-cameriniano di mass-media, da quello “fascista” della radio alla falsificazione più “americana” della stampa» (Germani 1980, p. 65). Nel suo meccanismo narrativo il film manifesta un forte debito nei confronti del soggetto di «Quadrivio», che presenta subito un intreccio di media tra loro: dai manifesti delle «girls con molte belle gambe» (Zavattini 2006, p. 5) alla lotteria del milione, al quotidiano con tanto di fotografia della rotativa. Anche Caldiron nota che nel soggetto zavattiniano «non può sfuggire d’altra parte il ruolo centrale dell’edicola, soglia della visione voyeristica, con i giornali illustrati che ostentano […] le gambe femminili in copertina» (Caldiron in Zavattini 2006, p. XII). Uno degli aspetti di maggior interesse del film consiste nella sua oscillazione tra il mondo del lusso e il suo contraltare, costituito dal mondo dimenticato dei mendicanti, una tensione che si esplicita in alcuni numeri coreografici dello spettacolo circense, durante la serata della lotteria. E al mondo del circo appartiene nel film la protagonista Anna, la cui storia d’amore non si sviluppa con il mendicante Blim, come nel soggetto di Zavattini, bensì con il giovane milionario Gold. Se, inoltre, nel soggetto era Blim a compiere un gesto caritatevole nei confronti di Gold, ricevendo per questo la lauta ricompensa, nel film sarà invece Anna a farlo e quindi a essere premiata.
Ricordiamo alcune scene del soggetto, tagliate dal film, che Zavattini recupera diversi anni dopo per altri film. È il caso del sentimento di vergogna che coglie Blim mentre è intento a chiedere l’elemosina: «Blim, mortificatissimo, volta la mano con dorso in su e guarda per aria, come per vedere se piove» (Zavattini 2006, p. 14), una scena ripresa poi in Umberto D. (Vittorio De Sica, 1952), dove torna anche il tenero rapporto tra Blim e il cagnolino bianco; il finale del soggetto con la sparizione verso il cielo prelude invece a quello di Miracolo a Milano (De Sica, 1951).
Tra gli elementi più significativi che accomunano soggetto zavattiniano e film realizzato vi è il ritmo talvolta vorticoso della girandola di inseguimenti ed equivoci, che deve molto ai film di Chaplin con Charlot, «in un crescendo parossistico di forte impatto farsesco, che moltiplica gli ingressi dei nuovi personaggi, dall’accoppiata poliziotto/borsaiolo via via fino ai cercatori di cani, ai turisti in autobus, al corteo nuziale, agli uomini sandwich, alla banda musicale» (Caldiron in Zavattini 2006, p. XII). La critica del tempo annota che «il film, partito con un’andatura indiavolata, si placa nel patetico per riaccendersi nella girandola finale che conclude un film intelligente come pochi, […] quasi sempre gustosissimo» (Gromo 1935, p. 12). Anche altre recensioni ne esaltano il ritmo incalzante, «fresco, spigliato, veloce, [che] corre alla conclusione senza lentezze e rallentamenti (unica eccezione, la parte centrale della scena del circo) […]; la vicenda sentimentale si innesta su quella grottesca senza saldature forzate e in tutto il film si nota un ammirevole equilibrio e un tocco leggero e felice; la trovata iniziale si arricchisce via via di nuovi spunti, di una vis comica sana, gioconda» (Bernardinelli 1935, pp. 14-16).
Caldiron ravvisa in questo «antico incunabolo dell’apprendistato cinematografico [di Zavattini…] una sorta di boite à surprise in cui l’onnivoro riepilogo di motivi fondamentali del comico, del muto e della commedia, dalla slapstick comedy alla screwball, coincide con l’accumulo bulimico dei contrassegni della incipiente modernizzazione» (Caldiron in Zavattini 2006, p. XI). Buoni per un giorno/Darò un milione rivela insomma esplicitamente i suoi modelli di riferimento: «dalle situazioni chapliniane [al] cartone animato […]. E perché non evocare anche il milione del signor Bonaventura, dalla striscia di Sergio Tofano […]. Rimane però soprattutto un modello di genere americano: il musical da we are in the money, quello berkeleyano del New Deal» (Germani 1980, pp. 65-66). L’ascendenza chapliniana non sfugge a Casiraghi, che in un intervento dall’emblematico titolo Zavattini vale un milione, ma Camerini quanto? ravvisa nel travestimento del milionario Gold nelle vesti di barbone «il geniale, ma anche pericoloso spunto del film. Pericoloso perché c’era il rischio di invadere il regno del “sociale”. Ma pericoloso anche sotto il profilo strettamente cinematografico: la commedia alla Camerini era una pratica ormai inserita in un filone medio e accettabile, il comico alla Zavattini poteva essere una provocazione incontrollabile e sovvertitrice. […] Morale: ciascuno dei due aveva un cinquanta per cento di ragione e l’opera che ne è sortita reca il segno di questo compromesso» (Casiraghi 1981, p. 16). Come affiora da questa lettura, le prime esperienze da soggettista di Zavattini possono essere lette in relazione alla sua parallela produzione letteraria, ad esempio I poveri sono matti (Zavattini 1937): la “fauna disgraziata” di tale romanzo rimanda infatti ai mendicanti di Buoni per un giorno/Darò un milione, ben rappresentati da Blim, sempre pronto ad accogliere con stupore e gratitudine anche la giostra del finale. Premiato alla Mostra internazionale del cinema di Venezia del 1935 con la Coppa del ministero delle Corporazioni come miglior film comico italiano, Darò un milione viene acquistato dalla 20th Century Fox di Darryl F. Zanuck, che nel 1938 ne realizza un remake per la regia di Walter Lang, I’ll Give a Million (Chi vuole un milione?). Nel film di Lang il soggetto originario è quasi del tutto irriconoscibile, come lo stesso Zavattini avrà modo di lamentare: «Le sorti di questo soggetto erano segnate: gli americani, che lo acquistarono nel 1936, finirono con l’accentuare la parte amorosa, De Sica diventò Warner Baxter e il ruolo del suicida venne assunto da Peter Lorre. Nell’edizione della Fox, il balletto sparì del tutto e dei miei prediletti mendicanti non rimase che un’ombra» (Zavattini in Gambetti 1996, p. 101).
LL