L’assessore Rivelli tiene un discorso per il sindaco moribondo, mentre suo figlio Paolo si dispera per amore di Maria (c’è un veto famigliare perché è figlia dello spazzino). Rivelli litiga con un automobilista senza sapere che si tratta del sig. Colombo, un ricco industriale milanese, con il quale poi si riappacifica e si allea per divenire sindaco. Rivelli minaccia il padre di Maria di fargli perdere il posto di lavoro se non impedirà la relazione amorosa. Durante una cerimonia Rivelli riceve un biglietto dai due giovani, che comunicano la volontà di uccidersi.
Dati d’archivio. Collocazione Za Sog R 4/5/6/7. Nella cartella 4 il primo fascicolo contiene cinque soggetti: A, B, C, D, E. Il Soggetto A è datato 9 aprile 1956, in 19 pp. Nella prima pagina, note manoscritte informano: «Rivelli fa un elogio commosso, infinito, al sindaco che purtroppo è ammalato e per incarico del quale egli compie questa bella cerimonia. “Che Dio lo conservi!” esclama Rivelli e invita a grida di evviva e di gratitudine all’indirizzo del sindaco malato e insostituibile, come ha detto Rivelli calcando valorosamente sulla parola “insostituibile”» (p. 1). A p. 10, la frase con «quegli schiaffi che Maria gli ha detto di prendere quotidianamente» prosegue nella nota manoscritta: «ma soprattutto per il terrore che la ragazza venga allontanata da lui». Una diversa nota a mano, forse di Blasetti, è presente a p. 11 indicando che «il pubblico deve volere che il ricovero sia ricostruito. E per questo bisogna che si [affezioni] al personaggio che lo vuole e combatte per averlo contro la [arroganza] di Colombo e l’ipocrisia di Rivelli». Queste note autografe non passano nei soggetti successivi, perché il soggetto B (datato 2 giugno 1956, di 19 pp.), che pubblichiamo, è una rilettura psicologica dal titolo Riassunto del soggetto: «con la facoltà concessa all’autore, guardiamo i pensieri dei nostri principali personaggi» (p. 22). In questa versione si entra dunque nella mente di Colombo, di Rivelli e degli altri personaggi, tra cui Paolo, le mogli dei due protagonisti, Borghi ecc. Paolo e Maria partono per Roma, intenzionati a visitare la città e poi a suicidarsi, ma lo stare insieme li porta a voler continuare, anche se lontani dalle loro famiglie. In questa variante il comune è nominato come la città meridionale di «R.». Il soggetto C, costituito da 8 pp., è incompleto delle prime pagine, e presenta la data 17/4/1954 che renderebbe questa variante la prima in ordine cronologico. Ciò è confermato dall’unica nota manoscritta a p. 40: «Poi però un pochettino di trepidazione per il nostro Paolo la proviamo in quanto abbiamo intravisto nel tavolo presso il quale è seduto nientemeno che una rivoltella»; la nota viene infatti integrata nel testo della variante A. La parte finale è espansa, con la famiglia Rivelli che cerca i due ragazzi e si rende conto che manca la pistola, mentre i due sono a Roma a vivere diverse avventure. La variante si conclude con diverse frasi schematiche e non con il finale. Il soggetto D, in 8 pp., è incompleto e termina con la proposta di fuga di Paolo a Maria. A p. 48 è scritto a mano «Pagine doppie». Sul retro di p. 55 è presente un appunto manoscritto simile a una scaletta in punti numerati da 1 a 8, in cui si dividono le scene in diverse ambientazioni: il bosco, l’aranceto, il funerale, la casa ecc. Il soggetto E, in 11 pp., è marcato come Finale e contiene tre diversi estratti: la conclusione della storia, con inserti in forma di appunto; un’espansione «Da inserire a p. 8» sui pensieri di Rivelli nella parte iniziale della storia; altre pagine di espansione del rapporto fra Rivelli e Colombo, non collocate precisamente.
Nella cartella Za Sog R 4/2 troviamo trentuno scalette, molte parziali, di un’unica pagina e tutte datate fra l’aprile e il novembre 1956. La scaletta A (datata 4 aprile 1956), di una sola pagina, appare come la più antica, prima della lista delle scene: inizia con due «Problemi fondamentali. 1. Allargare il contenuto satirico. 2. Trovare le origini, la professione di Rivelli» (p. 1). Le varianti B, C, D, E, F, G, tutte dattilografate, sono appunti o elenchi numerati delle scene incomplete nel finale. La variante H, datata a mano «12 maggio», è significativamente più corposa (31 pp. divise in paragrafi numerati) e ricca di note manoscritte, espansa come un primo trattamento: il racconto specifica che del discorso iniziale «non udremo nemmeno una delle parole di Rivelli. È l’autore che parla per lui, anzi di lui, presentandoci con acconce parole il senso del suo discorso» (p. 11). Nel finale Paolo vende la rivoltella del padre per comprare i biglietti e portare Maria allo stadio, dove i due ragazzi vengono ritrovati dalle guardie. Poi riprende la parola il narratore per «farci ammirare la statua che il paese ha eretto in onore del Signor Carlo Colombo proprio là dove doveva sorgere il muro dell’ospizio […] abbattuto in vista del nuovo» (p. 41). La variante di scaletta I (datata 15 maggio 1956) è ancora una lista parziale di scene numerate, mentre la variante L (con la stessa data) descrive in poche righe ogni scena della scaletta-trattamento H, numerandole fino alla 31. La variante M del 24 maggio 1956 è incompleta, e presenta aggiunte autografe nell’ultima pagina (p. 56); anche la variante N (del 27 maggio) è incompleta. La scaletta O, di 8 pp. dattiloscritte, è intitolata Accordi aggiunti alla scaletta del 27 maggio – Bla.Za. e datata dal 29 maggio al 1° giugno 1956; è costituita da appunti numerati che approfondiscono le circostanze del racconto, fornendo prospettive sulla costruzione narrativa. Seguono numerose considerazioni sia dello sceneggiatore che del regista, inerenti i temi del suicidio di Paolo e Maria, le reazioni degli adulti, l’ipocrisia dell’ambiente famigliare, e il finale non ancora definito. In una nota sui difetti del soggetto datata 30 maggio, Zavattini ipotizza infatti due finali, uno con Rivelli sempre più assoggettato a Colombo, tra «ambizione e […] corruzione […] che si alleano contro le ingenuità della povera gente» (p. 63), l’altro che invece apre maggiormente sulla storia dei due innamorati, in modo più ottimista (i ragazzi fuggono a Roma ma «non si ammazzano […] perché sono seri, perché arrivano a sentire la loro forza, la loro unione» [p. 64]). Seguono alcune pagine, dattiloscritte probabilmente da Blasetti, datate 31 maggio 1956, nelle quali si ipotizza che nel finale “positivo” sia Rivelli ad andare in galera, o «comunque allontanato dalle guardie o […] destituito. In questo modo, tra figlio e padre ciascuno dei due ha la fine che meritava e che il pubblico desidera. L’acutezza della polemica sarà nel raccontare in due parole […] che il muro è stato distrutto, che i vecchi sono stati fregati, che Colombo ha avuto una statua in onore di quello che non ha fatto» (p. 65). La scaletta P è parziale. Anche la scaletta Q è particolarmente lunga (37 pp.), datata 29 giugno 1956, con il titolo provvisorio Salviamo il panorama: essa vede nel finale i due ragazzi nascosti che si ripromettono di fuggire insieme e uccidersi, ma sono ritrovati da Rivelli (e Paolo prende un secondo schiaffo). La variante R, datata 20 luglio 1956, è una breve scaletta «assolutamente indicativa», con il «finale da decidere» (pp. 109-110). Le scalette S, T, U, V sono liste incomplete. La variante Z, dal titolo Scaletta prima stesura di sceneggiatura, datata 14 agosto 1956, finisce con un litigio tra Colombo e Rivelli, preoccupato perché il figlio è scappato a Roma con la ragazza, cui segue il ritorno dei due giovani alla stazione e una riconciliazione familiare. Le varianti da A1 a F1 sono scalette parziali. G1 si intitola Primo Scalettone: è una riscrittura del soggetto ambientato a Salerno, con il futuro sindaco che si chiama solo «Vittorio»; la variante H1 è una copia con correzioni autografe; le varianti I1 e L1 sono scalette incomplete. L’ultima variante di scaletta, archiviata come M1, porta il titolo Scaletta finale, ma è composta da 2 pp. manoscritte con appunti numerati da 1 a 13.
La cartella Za Sog R 4/3 contiene due trattamenti. Il trattamento A, di 69 pp., è descritto come «1° trattamento 12/3/1956», con il titolo provvisorio Quattro passi sotto le nuvole e le alternative Anno nuovo, vita nuova e Salviamo il panorama. Sono presenti diverse note manoscritte tra cui delle «Osservazioni generali» all’inizio, in cui si sottolinea l’ipocrisia di Rivelli con cui si apre il film. Il trattamento B, di 60 pp., porta la scritta «terza stesura, 4 maggio 1956», e il titolo provvisorio Quattro passi sotto le nuvole o Salviamo il panorama, e ambienta il film in una «piccola città del meridione», i due ragazzi sono ritrovati allo stadio e Rivelli (che per un attimo aveva vacillato) rilancia davanti alla folla il valore dell’«uomo del nord» Colombo (p. 133).
Nelle cartelle Za Sog R 4/4-5 sono conservate quattro versioni di sceneggiature dattilografate, intitolate Salviamo il panorama: la A, 138 pp., sottotitolata Prima sceneggiatura di Cesare Zavattini, è datata 14 settembre 1956, e riduce ai divieti di Rivelli, che spadroneggia, la storia d’amore tra i due ragazzi; la B, 229 pp., incompleta, porta lo stesso titolo e sottotitolo e la stessa data. La C, 248 pp., contiene diverse note manoscritte ed è precedente (perché espande la variante di scaletta Z, con riconciliazione finale della famiglia Rivelli); la D è una copia parziale e incompleta di quest’ultima (17 pp.), con note manoscritte.
La cartella Za Sog R 5/1 contiene primo e secondo tempo dattiloscritti, con note manoscritte, della variante E di sceneggiatura, per un totale di 541 pp., datata «seconda quindicina» di ottobre 1956; il frontespizio oltre a Zavattini cita la collaborazione di Isa Bartalini e Alessandro Blasetti, e in copertina si indica: «Stesure Blasetti». La cartella 5/2 presenta la variante F di sceneggiatura di 251 pp. (stesso titolo di A), senza correzioni, apparentemente più avanzata, in cui Rivelli si chiama «Vittorio Bonelli», come nella scaletta M1; anche nella variante G di sceneggiatura (254 pp.) (stesso titolo), contenuta nella cartella Za Sog R 6/1, dattiloscritta con note e correzioni manoscritte, si parla di «Bonelli». Nel retro dell’ultima pagina si specifica il finale conciliatorio con il ritorno in treno dei due ragazzi e il ravvedimento del sindaco; una nota autografa sulla camicia recita «Seduta del 18/2», e fa supporre si tratti di febbraio 1957 (per quanto le note di lavorazione arrivino solo a fine 1956). Le cartelle 6/2-3 e 7/1-2 presentano 52 versioni incomplete (e parziali) di sceneggiatura, dalla prima stesura in poi. La cartella 7/3 contiene invece 82 pp. di dialoghi dattiloscritti con note manoscritte (le prime 73 pp. sono divise per «rullo», dall’1 al 9); nonché molte note di lavorazione dal 23 maggio al 30 novembre 1956. Nella nota di lavorazione A si spiega che il film è di «natura satirica», e che Rivelli «è un grande ambizioso, […] ingenuo e comico» (p. 83). La nota B del giorno dopo (24 maggio 1956), dal titolo Esigenze, chiarisce il disprezzo del ricco industriale del Nord Colombo per il piccolo borghese del Sud Rivelli «infatuato dalla potenza del capitale», e il senso del film: «far vedere questo […] diffuso ossequio alla ricchezza, alla potenza, mentre intorno sia la saggezza della vecchiezza sia la poesia della giovinezza ci fanno risaltare l’enormità di questa pratica della vita» (p. 89). Nella nota F del 15 luglio si specifica la funzione del figlio di Rivelli come «coscienza» del padre (p. 103). Nella nota I del 13 agosto Zavattini fa una «critica alla prima stesura della sceneggiatura (10 agosto) (col metodo della scena per scena)», e puntualizza «le ragioni ambientali e di carattere» dei personaggi (p. 116) citando i film di Frank Capra; inoltre rivela che la figura di Rivelli sarà interpretata da De Sica, i cui personaggi hanno sempre un «fondo umano [ma] umoristico e contraddittorio» (p. 130). Zavattini sintetizza «l’intuizione centrale [del film]: storia di una piccola famiglia borghese attraverso il conflitto tra […] genitori e figlio, cioè tra ambizioni spurie ed un sentimento ancora puro» (p. 129). Blasetti risponde apprezzando questa «linea guida di tutto il lavoro» (nota L del 18 e 19 agosto, p. 132). La nota di lavorazione E1, una sola pagina dattiloscritta, elenca le fasi della scrittura di Salviamo il panorama (Amore e chiacchiere), indicandolo come «Nuova versione sogg. unico Zibaldone n. 3»; vi troviamo delle date utili per organizzare le molte stesure di scalette, osservazioni e sceneggiature: «10 agosto 1956 […] sceneggiatura prima stesura: 14 settembre 1956 […] secondo trattamento […] novembre 1956», cui segue la seconda parte della sceneggiatura con primo e secondo tempo della «stesura Blasetti», e poi ultime varianti successive (p. 182). Infine, la documentazione contiene una fotografia di scena e un facsimile di telegramma utilizzato nel film, con la scritta a mano «Roma doveva essere meta nostro viaggio di nozze sarà invece nostra tomba addio per sempre vi perdoniamo. Mary» (documentazione B).
Nel volume pubblichiamo il soggetto B, mentre online pubblichiamo i soggetti A, C e le scalette H, M1, oltre alle note di lavorazione I del 13 agosto e L del 18 e 19 agosto 1956.
L’idea di due industriali rivali che decidono di allearsi dopo uno screzio automobilistico proviene verosimilmente dal soggetto Prima io (del 1953), nato per il film a episodi mai realizzato con la regia di Alessandro Blasetti, Zibaldone n. 3 (Zavattini 2022b, pp. 205-215), e si ritrova poi nel film È più facile che un cammello… diretto da Luigi Zampa (1950). Nel soggetto Prima io i due personaggi si chiamano proprio Colombo e Rivelli, come quelli che ritroviamo nei soggetti di Amore e chiacchiere, ma nel soggetto originario il primo produceva le scatole che il secondo utilizzava per impacchettare le caramelle della sua azienda. Nel film Amore e chiacchiere, diretto da Alessandro Blasetti e uscito nel gennaio 1958, i due protagonisti (interpretati da Gino Cervi e Vittorio De Sica) diventano Bonelli e Paseroni. Come nel caso di Zibaldone n. 3, oltre a Blasetti e Zavattini è coinvolta nella sceneggiatura anche Isa Bartalini. Il film tra l’altro rappresenta l’esordio cinematografico di Carla Gravina, insieme a Guendalina di Alberto Lattuada (uscito l’anno prima, nel 1957).
Come scrive Gianfranco Gori in un volume dedicato a Blasetti, «il titolo del film era originariamente Salviamo il panorama, ma fu cambiato per timore che il pubblico lo prendesse per un film turistico e disertasse le sale: Salviamo il panorama rimase come sottotitolo» (Gori 1983, p. 94). Fra le critiche dell’epoca, alcune riportate da Luca Verdone (nel libro I film di Alessandro Blasetti), quella di Giuseppe Marotta su «L’Europeo» del 9 febbraio 1958 si rivolge direttamente al regista: «L’idea fondamentale era bella: dagli occhi di un ragazzo che stimava il padre, cade la benda… tutt’a un tratto l’idolo si rivela un pagliaccio. Ma il tuo Bonelli è talmente scoperto! È di una infima, clamorosa futilità: dovuta (perdonami) al tuo rozzo, plateale senso del comico, non sbavatosi mai (da Retroscena ad Altri tempi a Tempi nostri) alle altezze dello humour» (Verdone 1989, p. 148; Faccioli 2011). In un saggio per «Bianco & Nero», Giulio Cesare Castello scrive: «Il film è nato da un nuovo incontro tra Alessandro Blasetti e Cesare Zavattini, sul piano di comuni esigenze morali. Come già in 4 passi fra le nuvole, come già in Prima comunione, tali esigenze si manifestano sostanzialmente in una condanna dell’egoismo, che isola l’uomo di fronte ai diritti e alle necessità dei propri simili. L’egoista di questo film – un avvocato di provincia – ama nascondere il proprio egoismo di fondo dietro la vacua sonorità di una compiaciuta retorica (con essa gli autori hanno inteso colpire un male “nazionale”) e dietro la accattivante veste di una fatua ipocrisia. […] Quest’avvocato risulta quindi sostanzialmente in buona fede, e quindi non condannabile con troppa recisione: un uomo pieno di debolezze e di piccole vanità, ma abbastanza innocuo. Di qui l’indebolimento del messaggio morale che al film è stato affidato. Una spiegazione di tale indebolimento potrebbe essere ricercata nella genesi dell’opera, una genesi faticosa di “compromesso”, derivante, dopo sforzi successivi, dall’originario progetto di uno “zibaldone” zavattiniano dalla tematica coerente ma assortita, progetto caduto in seguito al declino del film ad episodi nel favore delle platee» (Castello 1958, pp. 69-70). E ancora: «le parti satiriche rimangono a mezza via tra realismo e deformazione, non senza l’accettazione di certo repertorio umoristico, ormai un po’ trito, proprio dello Zavattini minore e manieristico» (p. 70). Filippo Sacchi, il 16 febbraio 1958, su «Epoca» rileva invece elementi positivi: «Si sente dappertutto una presenza calda e cordiale, che è naturalmente la presenza di Blasetti, la sua passione per la vita, la eterna fiducia e buona fede di fronte ai suoi personaggi e al suo mondo» (Verdone 1989, p. 138). Il risultato finale è un’opera sostanzialmente tiepida, come scrive ancora Gori, anche sul piano del contenuto: «quando si tratta di risolvere i conflitti, il film cade nel banale e Blasetti sembra, in qualche modo, ritornare al “ruralismo” che aveva caratterizzato i suoi esordi. Bonelli non cambia per un moto di onestà o di senso civico, ma per la salvaguardia dell’unità famigliare: la famiglia, dunque, come grande cemento unificante della società. I giovani fuggono sì in città, ma se ne ritraggono ben presto per tornare fra le mura amiche della casa e nella quiete del paesino di Matorno, opposta al disordine della metropoli: insomma, questi giovani sono rivolti al passato. E se ciò non bastasse, si noti che è proprio un medium “moderno” come la televisione a sconvolgere la vita nel borgo» (Gori 1983, p. 96). Per Giacovelli (1995, p. 28) invece il film «È una favola aerea, malinconica, in punta di macchina, quasi a disagio nel panorama baldanzoso del neorealismo rosa, dei poveri-ma-belli che credono solo all’aldiquà, alla fisicità, a ciò che vedono».
MM