Un film che si compone di sette storie, ognuna ambientata in una città italiana diversa, basate su spirito d’osservazione e studio degli ambienti. Le storie e le città sono: Genova, partenza degli emigranti al porto; Napoli; trasmigrazione degli inquilini dei Granili alle case nuove; Milano, fogne cittadine; Venezia, mercato del pesce; Roma, la Stazione Termini di notte; Firenze, Caserma fortezza da basso; Palermo, vita dei pupari.
Dati d’archivio. Collocazione: Za Sog NR 27/2 contiene: soggetto A) 1 p., Sette città. Idea per un film di Cesare Zavattini, datato 14/12/1953.
Il soggetto viene depositato in S.I.A.E. in data 14 dicembre 1953, le carte sono firmate da Cesare Zavattini. Il soggetto è composto da mezza pagina: poche frasi nemmeno troppo discorsive, una sorta di scheletro dell’idea, estremamente essenziale. Il tema del viaggio a tappe non è una novità per Zavattini. Questa idea sembra una versione ridotta del grande progetto Italia Mia e, assieme alla grande maggioranza dei soggetti non realizzati nel periodo degli anni Cinquanta, può essere inserita all’interno dei film che Zavattini vorrebbe realizzare come documentari. Le immagini per lui enunciano più delle parole, perché raccontano senza filtri la realtà di una zona geografica grazie allo sguardo oggettivo della macchina da presa.
Si pubblica il soggetto A nel volume e online, non sono presenti altre varianti.
La scelta di queste città e su che cosa soffermarsi ad ogni fermata non è casuale. Molto interessante una lettera che Zavattini scrive circa un mese prima, il 19 novembre. “Presi un tassì dunque e dissi ai Granili con l’articolo di Ansaldo in tasca […] Che cosa c’entra il neorealismo? […] Il neorealismo c’entra; […] chiamatela lotta, chiamatela come credete, ma, visti i Granili, uno non lascia passare dieci anni”. Zavattini insiste sulla tempestività nella realizzazione del film e spiega l’approccio documentaristico con queste parole: “è una quantità di tempo reale che bisogna dare alle cose e da tali contatti non può che nascere una prospettiva diversa, mi basta per ora dire diversa, da quella che abbiamo ottenuta sino a questo momento. […] La tecnica deriva dalla intensità di questo desiderio: più forte è, più troverete la tecnica per concretarlo: pedinare con la macchina da presa è impossibile solo per chi non crede alla importanza di questo cinema” (Zavattini 1991: 115-116).
D’altronde celebre è la frase di Zavattini “il tempo è maturo per buttare via i copioni e per pedinare gli uomini con la macchina da presa” (intervista Pasquale Festa Campanile, Il Cinema, Zavattini e la realtà, “La Fiera Letteraria”, 9 dicembre 1951, ora in Cesare Zavattini, Cinema cit., pp. 702-705). Nella tesi di Laurea redatta da Nicoletta Zavattini, si parla del soggetto Sette Città come di “una sorta di versione romanzata e ridotta di Italia Mia, le cui tappe avrebbero dovuto coincidere con i principali agglomerati urbani italiani” (N. Zavattini 1995/1996: 59). Nella lunga dissertazione raccolta nel Diario cinematografico alla data 15 ottobre 1960 dedicata anche a soggetti possibili – ad esempio sulla tortura, oppure un film intitolato Roma (come quello che poi farà Fellini), su “una Roma in atto […] un film di una giornata, come di un anno”, o anche una inchiesta TV sul fascismo – Zavattini torna sull’idea di questo soggetto: “Mi torna su anche l’idea di un film su otto città italiane, Milano, Venezia, Torino, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Palermo; dare a otto registi quattrocento metri a testa perché colgano un aspetto di quella città, un aspetto riassuntivo, o significativo, analitico o sintetico, su una persona o su un coro, in un solo luogo o in venti; purché l’ispirazione gli sia nata da questa città, e ne intenda esprimere il carattere o uno dei suoi caratteri fondamentali […]. Otto grandi registi favorirebbero l’affare, si capisce, darebbero garanzia, però con otto giovani l’impresa ha un suo fascino (Zavattini 1979 [2002]: 476).